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Italia - Toscana - Il Borro e Dynamo Camp: il genius loci (quarta puntata)

Per l’Italia e la sua vocazione turistica…difficile non pensare alla Toscana - in cui il genius loci assume un valore inestimabile, per la sua natura denotativa e connotativa che ne imprime spirito e senso unici e distintivi – e a due luoghi che necessitano di averne vissuto il “senso” per poterne interpretare e descrivere lo “spirito”: Il Borro e Dynamo Camp. Destination differenti (per visitatori, target, benefici, valori, storia, etc.); ospite di entrambi con ruoli diversi: al Borro, per un progetto di studio del MiMeC della nostra Università; al Dynamo Camp, per un’esperienza pluriennale da volontaria. Oltre alla “fruizione” estetica ed emotiva di entrambi, ho fatto ricorso alla dimensione più cognitiva (che ha preso il sopravvento!) cercando di interpretare lo spirito del luogo

 

La differenza esistente tra i due luoghi è definita dalla loro storia, dall'attività economica avvenuta in ciascuno di essi, dai personaggi, diversi, che la popolano o l’hanno popolata, nonché dalla “mescolanza” di tali elementi. Tre sono gli elementi-chiave da impiegare per qualsiasi tipologia di luogo e coglierne lo spirito: significato, identità e storicità (Norberg-Schultz, 1980). In ciascun luogo risiedono forma e manifestazione del paesaggio e/o sua architettura, che però dischiudono solo parzialmente lo spirito; esse divengono il “viatico identitario” finalizzato a diffonderne l’aura, l’anima e lo spirito, alimentando l'esperienza vissuta da parte di tutte le generazioni fruitrici e trasferita attraverso i mediatori (cd. “genius tutelari”). Sono questi ultimi che, attraverso percorsi di recupero, ripristino, riconversione, conservazione e...accumulo (Neri, 2006) garantiscono o hanno garantito la longevità, per farne rivivere e muovere l'economia del luogo fino ad oggi.

 

 

Sinteticamente…(con grande sforzo!)

Il Borro: luogo fisico, esperienziale, di comunità di persone, con un'aurea del "genius"

Il Borro: luogo fisico e architettura

 

Il Borro è un borgo si trova a 20 km da Arezzo, equidistante da Firenze o da Siena. E’ una tenuta che si estende su di una superficie di 1.100 ettari tra le alture del paesaggio toscano, nel cuore del Valdarno Di Sopra, un ampio bacino naturale segnato dal passaggio dell’omonimo fiume. Il Borro ha una storia che parte da lontano: la sua esistenza risale al XII secolo come castello ed anche comunemente indicato come villaggio medioevale, attraversato da una strada romana (la via Cassia); tuttora sono visibili una parte delle antiche mura e il ponte, che ne lasciano immaginare la fortezza posizionata su una balza (il termine toscano “borro” indica, di fatto, un burrone formatosi dal letto di un torrente), rendendo il Borro una rocca inespugnabile. La sua storia è legata alle importanti famiglie che si contesero la roccaforte per secoli; risale all’anno 1000 l’acquisto della fortezza da Borro de Borris di Medulano (Podestà della città di Arezzo), che prese il nome dal castello stesso. Nella metà degli anni ‘50 il Duca Amedeo di Savoia-Aosta divenne il proprietario della tenuta e del borgo, per poi venderlo nel 1993 a Ferruccio Ferragamo

 

Il Borro: luogo esperienziale e di comunità di persone

 

Il concetto stesso di villaggio medievale mette in luce il divario esistente con la città in termini localizzativi, costruttivi (pietra squadrata, calce povera o fango, pavimentazione in argilla con o senza isolante di legno, tetti e travi di ciliegio, finestre, focolari a fiamma libera e non, etc. etc.) e di controllo economico. Al signore, al nobile e al “proprietario” - solitamente residente nel castello - erano attribuibile la terra e tutto ciò che da essa proveniva per auto-consumo, vendita, diletto e così via: il bosco per la legna, il pascolo o la caccia; i campi per il lavoro dei contadini e i relativi raccolti, il pascolo, etc.; i vigneti e gli uliveti; gli allevamenti per latte, formaggi, etc.; le stalle e i granai in cui accudire, conservare, preparare, allenare; etc. etc. Difficile non rilevare però come, nei villaggi medievali - intesi come unità organizzative dotate di abitanti, lavoranti, padroni e infrastrutture per un’esistenza autonoma (e di difesa), quale vero e proprio ecosistema – si è assistito ad un crescente “abbandono del luogo” da parte degli abitanti.

 

Tra le famiglie nobili e proprietarie succedutesi nella proprietà del borgo di Il Borro, con l’estinzione della famiglia Dal Borro (1766), ritroviamo: i Medici Tornaquinci, la famiglia Hohenlohe-Waldenburg, i Principi Germani di Savoia-Aosta, il Duca di Aosta Emanuele Filiberto sino al Duca Amedeo di Savoia-Aosta (dagli anni ’50). Anni dopo la tenuta “passò nuovamente” - e per ora definitivamente (?!?) - di mano perché il nuovo proprietario si innamorò del luogo a seguito di frequentazioni con famiglia e amici per battute di caccia e per soggiorni di vacanza.

 

Anche nel Borro si è avuto un continuo spopolamento; la frazione del Borro nel 1833 contava 369 abitanti, nel 1931 ne aveva 249, nel secondo dopoguerra iniziò il suo significativo processo di spopolamento, per cui nel 1981 si ritrovano 36 abitanti. Nel 1993 tanti erano gli abitanti della tenuta, coincidente grossomodo con il nucleo antico del paese.

 

Il Borro: luogo come aura, anima attraverso il “genius”

 

Il Borro. «Un atto di fede che dura nel tempo» ama dire Ferruccio Ferragamo che, con la famiglia al suo fianco (oggi, a gestire la Tenuta ci sono due dei suoi figli: Salvatore, Responsabile dell’attività vitivinicole e ricettiva, e Vittoria, Responsabile dell’Orto Biologico, dei progetti Speciali e della Sostenibilità), ha ridato vita al millenario borgo, valorizzandone territorio, storia, tradizioni ed eccellenze locali, con l’applicazione della filosofia del rispetto e della conservazione della bellezza del patrimonio naturale e delle caratteristiche uniche del luogo. E da quando si decise di compiere l’importante restauro conservativo, si pensò anche alle modalità attraverso cui apportare migliorie e innovazione alla Tenuta rendendola avanguardista nel campo della sostenibilità.

 

Dal 1995 si susseguono le numerose iniziative e i progetti di conservazione e valorizzazione; giusto per citarne alcune: il recupero dell’intero borgo medievale, la riqualificazione dei vigneti antichi, il riportare alla luce le storiche cantine e il recupero di vecchi ruderi abbandonati (il complesso di Aie e le ville in campagna). Girando al suo interno è difficile non farsi “incantare” dal luogo, dalla sua autenticità manutenuta e rinnovata, dall’evidente rispetto dell’ambiente che balza subito agli occhi guardandosi intorno arrivando dalla strada che conduce al cancello principale e superando tale delimitazione! Tutto ciò che è nel luogo (con le botteghe artigiane, la cucina fatta di materie prime biologiche del villaggio, il cosiddetto “farm to table”) parla di cultura e valorizzazione due dei principali cardini della filosofia del Borro che, quotidianamente, ne guidano le scelte. 

 

La sostenibilità, altro “concetto-cardine” che ispira la filosofia aziendale, ne abbraccia tutte le attività e le arre strategiche: dall’attività vitivinicola all’Orto Biologico, all’allevamento di pecore, cavalli, galline e chianine; dalla produzione di olio extra vergine d’oliva a quella casearia e al miele; dalle farine alle uova biologiche. Inoltre, l’avanguardismo sostenibile si ravvisa in: l’impiego di fonti energetiche rinnovabili (la costruzione dell’impianto fotovoltaico nel 2010, che porta ad una maggiore produzione di energia elettrica di quella che viene consumata e ad avere case completamente autonome a livello energetico), i sistemi di riutilizzo dell’acqua (con i laghi artificiali), il sistema di irrigazione a goccia, le misure di economia circolare per la gestione dei rifiuti organici, la predisposizione di alcuni punti di attingimento idrico per l’abbeveramento degli animali selvatici, la predisposizione di beccatoi per la fauna avicola e tanto tanto altro! Il Borro ha anche aderito, su base volontaria, al Global Compact delle Nazioni Unite per l’integrazione dei Dieci Principi fondamentali all’interno della propria strategia aziendale per contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile previsti dall’Agenda 2030.

Dynamo Camp: luogo fisico, esperienziale, di comunità di persone, con un'aurea del "genius"

Dynamo Camp: luogo fisico e architettura

 

Dynamo Camp: è un campo di terapia ricreativa, attivo dal 2007 e situato sull’Appennino Toscano, nella località di Limestre, in provincia di Pistoia, all’interno di un’Oasi affiliata WWF e fa parte di Fondazione Dynamo https://www.dynamocamp.org/chi-siamo/fondazione-dynamo/, fondata da Enzo Manes nel 2003. Il Camp, nel cuore della Toscana, in un ambiente preappenninico, tra mare Tirreno e mare Adriatico – nel comune di San Marcello Piteglio - si estende per oltre 900 ettari su un territorio prevalentemente boschivo, a circa 1.100 metri di altitudine: qui si aprono prati e pascoli dedicati all’allevamento bovino e suino. Proprio questa localizzazione lo rende un luogo dalle caratteristiche morfologiche e naturalistiche favorevoli alla terapia ricreativa.

 

Dynamo Camp è situata lì dove un tempo sorgevano residenza di famiglia, riserva di caccia ed uno degli stabilimenti di SMI - Società Metallurgica Italiana - attiva nella produzione di semilavorati in rame e ottone. La SMI tra i suoi stabilimenti deteneva quello principale a Livorno (dal 1886), cui si aggiunse quello di Mammiano e la fabbrica di Limestre, in provincia di Pistoia (1899). Nel 1902 la famiglia Orlando, una delle più antiche dinastie industriali italiane (cantieristica navale, siderurgia, telecomunicazioni, energia, munizioni in tempo di guerra, etc.) assunse il controllo della SMI, dei suoi impianti produttivi, cui aggiunse anche quello di Campo Tizzoro (1911). Nel 1940 proprio a Limestre, la SMI - poi KME Group (2006) e Intek Group (2012) sotto la guida il suo fondatore, presidente e amministratore delegato, Enzo Manes - realizzò anche una moderna azienda agraria e... tanto tanto altro era all'orizzonte!!

 

Dynamo Camp: luogo esperienziale e di comunità di persone

 

Impossibile slegare Dynamo Camp da SMI, la famiglia Orlando, la sua storia e, soprattutto, la “vocazione” sociale dei luoghi in cui erano collocati gli stabilimenti industriali. Come per molte delle Industrie italiane storiche, la "vita della fabbrica" era la vita delle persone che ad essa appartenevano e, soprattutto, della “vita intorno” alla fabbrica". Nell’Archivio Storico Orlando SMI in Museimpresa è raccolta la documentazione attraverso cui è possibile osservare e ricostruire la lunga storia della società, comprendendone sia l’evoluzione tecnologica e industriale sia la storia dei lavoratori, delle comunità, del territorio e dei “luoghi” sorti intorno alle fabbriche di SMI e, in specifico, a Campo Tizzoro e Limestre (Pistoia).

 

Fin dall’inizio la SMI attuò numerosi programmi sociali – le prime iniziative vennero realizzate a Limestre nel 1907- a vantaggio dei dipendenti e delle loro famiglie, che ebbero a disposizione alloggi di nuova costruzione realizzati nei pressi degli impianti produttivi, asili, scuole, mense aziendali, centri di assistenza sanitaria, spacci di generi alimentari e beni di prima necessità; i figli dei lavoratori potevano frequentare colonie estive al mare e in montagna e negli anni ’30, a Campo Tizzoro, furono aperte scuole professionali. In quest’ultimo e a Limestre furono anche costruite chiese parrocchiali e, nel 1937, a Campo Tizzoro si costruirono rifugi antiaerei ampi, sicuri, accessibili a tutti e corredati dei servizi necessari. Negli anni a seguire, la riconversione post-bellica delle fabbriche, lo spostamento produttivo altrove e la chiusura di alcune di esse, con il conseguente “abbandono” degli stabilimenti, mutò il ruolo sociale di questi luoghi anche quale principale fonte di sostentamento della comunità.

 

Il complesso degli stabilimenti industriali SIM localizzato in Limestre - benché dismesso negli anni successivi al grande conflitto mondiale - era in una zona inizialmente isolata e priva di infrastrutture ma ricca di acqua fondamentale per produzione industriale e energia elettrica, che continuava ad avere dalla sua: la bellezza paesaggistica con monti, colline e cielo azzurro all’orizzonte, un clima fresco e asciutto e rigogliosi campi, le cui distese avevano reso il territorio adatto a coltivazioni agricole, pascolo, foreste e legname, nonché la presenza dell’Oasi. Tutto ciò lo rendeva un ambiente favorevole alla creazione di comunità gioiose, aperte e conviviali…proprio come quelle dei bambini!

 

Dynamo Camp: luogo come aura, anima attraverso il “genius”

 

«C’è tanto da imparare dalla corporate philanthropy americana…e le potenzialità per l’Italia sono tante. Vorrei che il mio sogno diventasse realtà!» Queste le parole di Vincenzo Manes al rientro dal suo periodo di lavoro in Usa. Dynamo Camp: come “materializzare e concretizzare” il suo big-dream!

 

Quando Paul Newman (indimenticabile!), pensando al suo “giving back” alla vita, fondò il primo Camp di SeriousFun nel 1988, probabilmente non immaginava che la Terapia Ricreativa avrebbe cambiato la vita a milioni di bambini, famiglie e volontari. Sì, mi ci metto anch’io! In origine l’organizzazione si chiamava Association of Hole in the Wall Camps (https://www.holeinthewallgang.org/) ma poi, dal 2012, ha assunto il nome di SeriousFun Children’s Network http://www.seriousfunnetwork.org/, per esprimere in modo chiaro il credo del suo fondatore: «far comprendere quanto lo svago sia da considerare seriamente nella vita dei bambini malati.» Troppo spesso, questi ultimi, perdono l’importante opportunità di “essere semplicemente bambini” e rischiano di rimanere indietro anche con le loro capacità sociali a causa della disabilità e della malattia, nonostante il “care” di tutti coloro che gli sono intorno (genitori, familiari, medici etc.); in più, come dimostrato da numerose ricerche, il sostegno proveniente da coloro che hanno condiviso esperienze simili può incidere in modo significativo sulla loro vita. Da ciò il “concept” basilare della Terapia Ricreativa che pone al suo centro il divertimento.

 

Spesso il “caso” (il più delle volte fortuito, per chi sa coglierlo!) è un grande alleato dei sogni! L’idea di Dynamo Camp nasce anni prima, durante una cena tra amici in cui Manes, che aveva acquisito il controllo della storica azienda KME (2005) - poi divenuta parte di Intek Group di cui lo stesso philantropist è fondatore, presidente e amministratore delegato - ascoltò il racconto commovente ed entusiasta della mamma di un bambino ospite nel primo camp del Connecticut fondato da Newman. Da allora la dimensione onirica prese il sopravvento, ma il progetto non avrebbe mai preso la forma che oggi possiede senza la moglie, Annalisa, i figli, e top-manager da sempre al suo fianco: Diva Moriani e Serena Porcari, ma anche tanti altri…che ne hanno “assecondato” il sogno!

 

Dynamo Camp per consentire l’attuazione di programmi di terapia ricreativa ha bisogno di spazio! E il progetto organico e in continua espansione, ha dovuto “recuperare e convertire” il complesso degli edifici industriali sull’area precedentemente occupata dagli stabilimenti industriali della SMI, a Limestre, ormai dismessi e situati in un contesto ambientale di assoluto rilievo, nonché dichiarato Oasi Naturale dal WWF, oltre che avere già “l’imprinting sociale”!

 

A partire dalla primavera del 2006, il fondatore, gli architetti (Elio Di Franco e altri che si sono succeduti nel tempo) e le imprese di costruzioni hanno “raccolto” la sfida e realizzato l’intervento sull’area industriale, riconvertendo, ripulendo il complesso da tutto ciò che non era funzionale e congruo alla nuova destinazione, ma che mantenesse la “memoria” di ciò che il luogo aveva rappresentato. Gli edifici ritenuti più significativi sotto il profilo stilistico e più adeguati sotto l’aspetto funzionale sono stati preservati, trasformati e restaurati, mentre per altri si è scelta la demolizione. Obiettivo: creare nuovi spazi e adattare gli esistenti per “aprirli” alla terapia ricreativa. Spazi stimolanti, facilmente riconoscibili, accessibili in ogni parte, in grado di favorire quelle attività così importanti per gli ospiti, ed in grado di integrare la vita quotidiana con l’ambiente naturale in cui il complesso è immerso. Quest’ultimo spazia – è l’unico termine che posso impiegare! - tra 3 nuclei funzionali diffusi nel territorio: residenze; aree ricreative, di socializzazione e di formazione; strutture sportive.

 

I ragazzi - suddivisi in gruppi (le “casette”) - di sessione in sessione (settimanale), sono ospitati al Camp secondo una calendarizzazione che segue i periodi di vacanza o i fine settimana; vengono accompagnati e seguiti dai numerosissimi volontari provenienti da tutta Italia (il rapporto è di un volontario ogni due bambini), guidati questi ultimi, a loro volta, da “responsabili di cassetta-gruppo” (esperti, psicologi, assistenti sociali, etc.); si aggiungono poi i volontari-tecnici, che si occupano di attività operative (manutenzione, mensa, trasporti, etc.), sempre affiancati da uno staff qualificato (cuochi, responsabili della logistica, agronomi, etc.). E…difficile dimenticarsi di medici e infermieri – tutti volontari e con una "grazia" infinita - che operano all’interno del Club Med del Camp (che brand-name per l’infermeria!), insieme a tanti altri che, come me, sono vicini a questa incredibile realtà!

 

 

Sicura di non essere riuscita ad esaurire tutto quanto avrei voluto dirvi, chiudo con un ultimo punto…

 

…ogni luogo ha uno spirito locale o un'intelligenza che lo rende vivo; questo spirito viene spesso definito unico, attribuendogli la denominazione di “spirito guardiano” o “genius loci”, unico in grado di far sentire e far distinguere quel luogo da un altro… 

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