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Brand Guardian del Vecchio Mondo o Brand Driver nel Nuovo Mondo? (terza puntata)

Seguendo Darwin, potremmo affermare che in natura non è la specie più forte a sopravvivere, né la più intelligente, ma quella più adattabile al cambiamento…e se applicassimo ciò al settore del vino?

 

Non sarà necessariamente il “miglior produttore” a sopravvivere, ma certamente quello più reattivo al cambiamento.

 

Osservando l’industria vinicola spesso si fa ricorso a due principali "modelli", che già in partenza collocano e identificano il nostro Paese all’interno di tale settore.

 

  1. Vecchio mondo, tipico di Europa ed Italia quali maggiori produttori con regimi di denominazione (DOC; DOCG; IGT, Vino da Tavola) all’interno di un mercato regolamentato dai disciplinari delle denominazioni d'origine, fonte dei percorsi di “premiumization” (con una differenziazione verticale legata alla qualità e all'eccellenza sotto il profilo organolettico) sviluppati dalle numerose aziende - agricole e non - in cui è rilevante la presenza familiare con le conseguenti frammentazione ed ereditarietà della proprietà.
  2. Nuovo mondo al cui interno si ritrovano paesi-produttori come Australia, Sud-Africa, Argentina, Cile, Sud-America, etc.; con una produzione in forte crescita ma con assenza di vitigni autoctoni; in cui prevalgono le dimensioni aziendali elevate, con scarsa presenza familiare, un forte controllo dell'intera filiera produttiva - spesso integrata verticalmente - e un significativo orientamento alla sperimentazione, soprattutto rivolta alla domanda, attraverso nuovi vitigni che si adattano a gusti (vini più leggeri, vini vegani, biologici, etc.) ed esperienze di consumo (Ux ed e-commerce, i "neofiti" avidi di sapere e impadronirsi della "cultura del vino", nuovi stili di vita, etc.).

 

Entrando un po’ più nello specifico, è innegabile il successo del settore vitivinicolo italiano - uno dei settori più importanti del “Made in Italy”, ma anche del “Made in Puglia” – che può essere ricondotto ad alcune variabili che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare tale industry (Mattiacci, Zanni, 2006):

 

  1. variabili – cosiddette - ambientali (di settore e specifiche del territorio), connesse proprio al luogo e al territorio in cui risiedono i vigneti (si dice che il vino inizi proprio in vigna!), ovvero in cui si procede alla produzione vinicola e alla vinificazione, ma anche collegati a specifiche abitudini di consumo spesso anch’esse di natura locale e territoriale (es. preferenze del vino rosso vs. il bianco, gusto e palato educati e indirizzati verso vitigni autoctoni, gradazione, etc.), nonché relativamente all’indotto impiegato e sviluppatosi localmente e afferente la logistica e la distribuzione, il turismo enogastronomico - con degustazioni e hospitality in masserie - fortemente connesso a luoghi e zone particolari, vigne,  cantine e così via.
  2. variabili specifiche dell’impresa: strutturali, collegate a livello organizzativo alle dimensioni aziendali e al numero degli addetti impiegati, ovvero alle superfici vitate, agli investimenti affrontati per la crescita e lo sviluppo, ma anche strategiche e connesse sia a proprietà e  passaggio generazionale - con l’avvento del “nuovo, del giovane, e delle nuove professioni” in azienda - sia collegate alla crescente spinta verso l’innovazione di prodotto e di processo (sfuso vs. imbottigliato, blended, e non solo!), ma anche alle politiche di marketing (basti pensare a linee ed etichette che divengono veri e propri “brand”), alle strategie di go-to-market e distributive, sempre più rivolte a processi di internazionalizzazione e/o di digitalizzazione.

 

A tutto ciò è d’obbligo aggiungere come l'industria vinicola sta implementando sempre più misure di conservazione ambientale per mitigare l'impatto ecologico (riciclaggio e conservazione dell'acqua, efficienza energetica con pannelli solari, illuminazione a LED e sistemi di recupero del calore, riduzione emissioni di gas serra, etc.) e promuovere una gestione sostenibile delle risorse, segnando anche il passaggio verso pratiche agricole biologiche (evitando pesticidi sintetici, erbicidi e fertilizzanti e optando per alternative naturali come compost, colture di copertura e insetti benefici), biodinamiche (incorporando principi olistici e cicli lunari nella gestione agricola per migliorare fertilità del suolo, vitalità della vite, etc) e di conservazione della biodiversità (ad esempio con ripristino dell'habitat, piantagioni autoctone, corridoi della fauna selvatica, etc.). Tutto ciò implica una crescente rilevanza e ricerca di conservazione ambientale, riduzione dell’impatto ambientale, miglioramento dell'efficienza operativa, dimostrando l'impegno verso la sostenibilità

 

 

 

Quanto evidenziato è immediatamente riscontrabile attraverso l'analisi del percorso intrapreso - e tuttora in corso - da Varvaglione 1921, che conferma l'estrema vivacità del Vecchio Mondo che, in Puglia, ha sempre saputo innovare senza rinnegare le proprie origini.

 

Buon ascolto.

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