Branded World

Brandalism

Così come per altri titoli di precedenti pezzi del blog, inizierei dicendo che non è una parolaccia.

Non mi sarei mai permessa. Come premessa direi che è uno dei tanti modi per dar voce, attraverso arte e pubblicità, a movimenti o, meglio, a forme di protesta “contro”.

 

In tempi recenti si assiste ad una tensione continua che trova espressione in nuove forme comunicative (e di boicottaggio) - significative e connesse al contesto sociale - che accendono un crescente e vivace dibattito che trascende dal politico-economico, giungendo al culturale, artistico e tecnologico, sovente persino urbanistico. All’interno di tale attualità, il Brandalism, termine coniato da Bunsky nel 2006, è una delle tante manifestazioni creative che ha intenso collegare la capacità espressiva e creativa, nonché la street-art alla società e alla continua evoluzione di quest’ultima, trasferendo per tale via le numerose preoccupazioni che, inevitabilmente, si richiamano e chiamano in causa i mondi artistici, della comunicazione pubblicitaria e del branded world. 

 

In realtà, sempre più di recente, il Brandalism, inteso in senso più generale, e in specifico la cosiddetta Subversion Creativa (Sargent, 2017) sembrerebbe offrire - grazie alla realtà aumentata:  Augmented Reality (AR) - delle nuove opportunità di creazione ipermediale, quale potenziale canale, ulteriore mezzo e nuovo strumento tecnologico atto a generare una riflessione critica circa la cultura consumistica da parte di attivisti interessati alla cosiddetta comunicazione sovversiva.

 

A ciascuno il suo posto

Un parallelismo quale necessaria premessa

La retorica in Arte e Pubblicità sono strettamente influenzate dal contesto sociale in cui trovano origine e, naturalmente, all’interno del quale si sviluppano e trovano la loro collocazione. La pubblicità è stata riconosciuta come una forma d’arte, giungendo ad essere battezzata come realismo capitalista e, benché la retorica in pubblicità svolge un ruolo diverso rispetto all’arte, il processo retorico è stato riscontrato affatto simile (Borghini et. al, 2010): l'arte influenza e dà senso alla vita e la pubblicità modella la cultura del consumo contemporanea; l'arte rispecchia le verità condivise, ideali e le metafore di una data società e la pubblicità riflette la cultura popolare; l'arte incarna fantasie universali, sentimenti e pensieri, e la pubblicità esprime, trasferisce e rappresenta le esperienze emotive e gli stati d'animo dei consumatori. Quindi, trovano il proprio appropriato terreno nel più fervido, vivace, vero, reale e autentico contesto sociale in cui sono inserite. 

 

La street art: arte e pubblicità “di strada”

Non volendo entrare in questa sede in ciò che viene studiato e descritto quale  inquinamento visivo e ambientale, sovente connesso alla street art, e tantomeno ricadere nella dicotomia - richiamata dall’arte di strada - tra sporco e pulito, fuori posto e ordinato, abbellimento o imbruttimento, arte pubblica (si pensi a Banksy o Haring) o deturpazione urbana, ritengo invece affascinante pensare che “i primi umani furono attratti dall'esprimersi disegnando sulle pareti delle caverne, producendo le prime prove della guerrilla-art” (street-art) (Smith 2007: 11).

Di fatto, se ci si sofferma sulle generiche decorazioni e iscrizioni stradali impossibile non riconoscerne la forma espressiva più antica; i graffiti preistorici delle grotte divengono scritte, segni e ornamenti delle città romane - come quelle presenti nei siti archeologici di Pompei ed Ercolano - ma anche delle chiese e dei palazzi nobiliari delle strade europee nel Medioevo, quando il sacro si fonde con il profano e l'impegno civico; oppure, ancora, come elementi di abbellimento estesi ai luoghi pubblici nel Rinascimento giungono a permeare un immaginario estetico all’interno della geografia urbana europea della fine del XX secolo (Visconti et al. 2010). Ereditando tali forme d’arte e di grafica dei e nei luoghi, ai giorni nostri i paesaggi urbani – osservati attraverso numerosi studi di marketing e pubblicità (es. Borghini et. al, 2010; Visconti et al. 2010) - divengono degli schermi attraverso i quali gli artisti di strada aggiornano il patrimonio urbanistico, stimolano gli abitanti a stabilire o ristabilire un rapporto di scambio con i luoghi, dichiarano la loro protesta sociale e, altrettanto di sovente, richiedono al pubblico di esprimere e immedesimarsi nello spirito libertario e di protesta rappresentato proprio da tale forma d’arte. Ciò è sempre accaduto attraverso forme, grafiche e simbologie diverse, a partire dagli anni anni '70 nella città di New York, con i tag volti a diffondere il nome di un artista di strada che contesta marginalità e bruttezza della vita sociale -  ripetendo soprannomi o parole di ribellione sui muri pubblici – gli stilemi e i graffiti quale esercizio estetico per autoaffermazione all'interno di una comunità di pari, oppure i disegni e i simboli “incollati” negli spazi pubblici per  diffondere brevi messaggi a un pubblico più ampio; ad essi si devono aggiungere gli stencil imitativi della pubblicità e di loghi e simboli di marche - replicati in più luoghi - e le poesie scritte su noiosi spazi pubblici (ad esempio, muri, parapetti, tapparelle, cassette postali) per infonderli con contenuti lirici e aggraziati sino alla progettazione urbana quale pratica estetica per abbellire l'architettura pubblica e lo stile urbano (Borghini et. al, 2010), ma anche, ad esempio, l’AR-Protest lanciata a Londra nel 2010 - ad opera di Mark Skwarek, un “new media artist” - contro la fuoriuscita del petrolio nel Golfo del Messico e, quindi, contro il logo BP.

 

Tali forme così diverse, evidenziano il modo per raccontare, esprimere, condividere e scambiare ideologie, idee, messaggi e, più semplicemente, parole, segni, simboli, scritte e così via, che affrontino problemi riferiti a temi alti, ampi come ambientalismo, cambiamento climatico, diritti umani e degli animali ecc. Proprio perché “le persone hanno sempre sentito il bisogno di condividere ed esprimersi in modo pubblico, a volte raccontando una storia o ponendo una domanda, molte volte presentando un'ideologia politica” (Smith 2007: 11).

 

Banksy, pseudonimo impiegato da un artista mai visto e mai svelatosi al pubblico, è attivista politico e pittore noto per la sua arte satirica dei graffiti e gli epigrammi sovversivi, che combinano l'umorismo oscuro con i graffiti realizzati con una tecnica di stencil distintiva (Buser et al., 2013). L’artista tende a esporre la sua arte sui muri di strade, vicoli, tunnel ed edifici in tutto il mondo.

Brandalism e Subadvertising

Fatte le dovute premesse, raggiungiamo il Brandalism!

Esso è un termine derivato dalla frase brand-vandalism, e rappresenta un movimento anti-pubblicitario fondato nel luglio 2012 a Londra. Tale movimento prende vita “per mano” di ventisei artisti britannici che traggono ispirazione dall'arte e, in specifico, dalla Street Art quale mezzo di protesta, nonché ispirandosi ad altri movimenti come Agitpropr e Situationist.

Brandalism | a short film trailer

 

Iniziato come progetto artistico, ha raccolto sin da subito artisti provenienti da ogni angolo del mondo, preoccupati del predominio dei messaggi di marca negli spazi pubblici (nel media planning OOH-Out Of Home!), su cui si voleva provocare una discussione circa la legittimità nel relativo impiego e la costrizione cui era sottoposto il pubblico. Peter Marcuse, uno dei co-fondatori del movimento Brandalism,  ha evidenziato come "l'idea su cui si è basato il gruppo era semplice: sovvertire i cartelloni pubblicitari, concetto vecchio quasi quanto i cartelloni pubblicitari stessi e di cui ne esistevano numerosissimi esempi; Banksy lo faceva da anni”.

Il concetto chiave è Subvertising, fusione di due parole di origine anglosassone: il verbo to subvert e il nome comune advertising, che letteralmente significano:  sovvertire la pubblicità. Nel subvertising rientrano l’insieme di pratiche di “vandalizzazione” creativa di affissioni, manifesti e spazi pubblicitari. Attraverso la parziale modifica, la sostituzione o la brutalizzazione, il subvertising attinge codici, linguaggi e stilemi della semiotica pubblicitaria, sovvertendone il messaggio.

 

Per il Subadvertising, non viene richiesto il permesso perché si prende il sopravvento in “stile guerriglia”, usando strumenti semplici e vari per esprimere l’azione sovversiva: dall’aggiungere una parola con una bomboletta spray allo stampare parole e incollarle sui manifesti . E, infine, è stato anche realizzato un Manifesto che funge anche da giuda sul come accedere e rivendicare gli spazi da parte di tutti gli attivisti, inserito all’interno del sito in cui sono visibili progetti, nomi degli artisti, luoghi, progetti specifici, marche e settori e così via.

 

Per il Brandalism, attraverso il Subvertising  ­– brutale, détournista o mimetico – si applicano pratiche diverse concepite come attacchi rivolti a marche, grandi multinazionali e, più in generale, la società stessa, proprio perché trovano collocazione al suo interno: mercato, consumi, mezzi, canali, OOH, tecnologie, vandalismo, art, street art, branding e unbranding, dando vita a uno dei più evidenti esempi di culture jamming (sabotaggio culturale) (Klein, 2009: 280). Quest’ultimo è divenuto un termine-contenitore che descrive un ampio insieme di pratiche e attività diverse, partite come anticonsumistiche e di protesta creativa contro la cultura mediatica e di marca, ma giunte a incastonare comportamenti, attività e iniziative diverse e, in generale, contro l’imposizione di modelli contemporanei non più solo di consumo ma anche estetici, professionali, politici, economici e, più in generale, sociali.

SHARE SU