Branded World

Brand per Diversity & Inclusion

Trattare di un tema come la Diversità & Inclusione (D&I) è un po' come aprire il mitologico vaso di Pandora; la lente di osservazione proposta cerca di analizzarne alcuni tratti e componenti in ottica di branding.

Parole come Diversità e Inclusione (D&I) convivono sempre più con termini quali ecologico, green o environmentally-friendly, facendo ricadere le diverse attività realizzate nell’ampio ambito della corporate social responsibility.

 

Occorre precisare come, attualmente, le imprese operanti in diversi settori stiano orientando le attività di corporate social responsibility (CSR), storicamente legate ai temi della sostenibilità, a tematiche sociali più ampie, in cui Diversità e Inclusione (D&I) assumo connotazioni affatto particolari.

Diversity & Inclusion

Diversity & Inclusion si riferiscono a una strategia manageriale orientata e finalizzata a una cultura aziendale inclusiva, basata sulla valorizzazione delle differenze individuali quali fattori di innovazione e di miglioramento delle performance organizzative, sociali e delle persone (Castaldo, 2019). La letteratura esistente evidenzia come si sia notevolmente accresciuto l’interesse sull’argomento, benché sovente si ritrovi soprattutto con riguardo alla gestione delle risorse umane per aziende leader a livello di singoli paesi o globale, lavorando in modo integrato sull’empowerment e sulla self-confidence per la piena autorealizzazione di dipendenti, management e delle persone. Certo è un passo avanti molto importante, ma non basta.

 

In realtà, la D&I rappresenta un tema rilevante anche a livello di mercati, marche, consumatori e target di mercato, rendendo il management della D&I e dei brand D&I-focused veri e propri propulsori nell’implementazione di strategie aventi l’obiettivo di “dar voce” - fornendo una risposta di marca, e non solo di narrazione di marca - a parti della società e segmenti di mercato precedentemente messi da parte, quali minoranze, e le cui voci sono state per anni sottaciute. Gli sforzi di gestione della diversità si stanno via via concentrando su alcune dimensioni rilevanti e riferite a: etnia e razza; cultura; genere; età; orientamento sessuale e disabilità (Bell, 2012; Castaldo, 2018), per creare un clima orientato all’inclusione.

 

Numerose sono le iniziative, recenti e meno recenti, che i brand hanno impiegato e stanno impiegando per mostrare di essere D&I-focused, spesso modificando in buona parte la narrazione di marca e mostrando piena solidarietà (https://www.sdabocconi.it/it/sda-bocconi-insight/i-brand-della-solidarieta) agli accadimenti e ai momenti affatto particolari.

Solo alcune tra le numerose evidenze

Affrontare la diversità e l’inclusione a 360° e osservarla nella prospettiva dei brand e delle percezioni di mercato, secondo le dimensioni ad esso riferite, vorrebbe dire toccare numerosissimi ambiti, dalle donne al LGBTQ+, dagli anziani alle etnie, dai bambini alle disabilità e così via. Pride 2020 (ossia l'LGBTQ+ Day) in versione Covid, è divenuta una manifestazione digitale; una campagna di ambient marketing è stata realizzata in una fermata della metro di New York dagli studenti della Miami Ad School, nel 2016 per mostrare il “gender gap” connesso alla diversità tra uomini e donne. A seguito dell’uccisione del 25 maggio di George Floyd a Minneapolis, gli americani di tutto il paese hanno assistito e partecipato a uno scoppio senza precedenti di rabbia e protesta contro il razzismo e le ingiustizie stigmatizzate ai danni delle persone di colore. Le manifestazioni iniziate nelle città degli Stati Uniti si vanno diffondendo in tutto il mondo; proteste, scontri tra dimostranti e forze dell’ordine, saccheggi, sommosse, danneggiamenti e distruzioni si stanno intensificando sempre più. Leader di colore, celebrity, giornalisti, accademici, attivisti, artisti, creativi e brand, benché consapevoli che non esistano soluzioni facili ai problemi sistemici di razzismo, sono scesi in campo con l’intento di affrontare le disuguaglianze, riducendo la paura al suono di Black Lives Matter. Esso è lo slogan di uno dei movimenti di giustizia sociale, nato nel 2013, affermatosi e rafforzatosi nel 2014, quando si accende il dibattito nazionale su comportamenti razzisti e diritti civili a seguito dell’uccisione di un diciottenne afroamericano, disarmato - a Ferguson nel Missouri, sobborgo di St. Louis - per mano di un volontario delle guardie di quartiere, poi assolto. Black Lives Matter, diffusosi in questo decennio, ha galvanizzato i suoi seguaci anche attraverso la sua una forte identità visiva e un hashtag: #blacklivesmatter. Leggo quest’oggi di aziende grandi e piccole che hanno deciso essere giunto il momento di agire (Lego, che sa farne di tutti i colori…affianca i genitori nell’educazione fin da piccoli con il “serious play”; o Tecnogym attraverso lo sport) e rendere pubblico il loro sostegno verso la comunità di colore. Google, Amazon, Facebook, Doordash, Reddit, Uber, Nextdoor e Lyft sono tra i molti che hanno rilasciato dichiarazioni di supporto (Google ha cambiato l'aspetto della loro home page. I dipartimenti pubblicitari di tutte queste società hanno twittato o pubblicato che Black Lives Matter e che "stanno con questa comunità" su uno sfondo nero e con una scritta bianca). Black Entertainment Television ha modificato la sua programmazione nel tentativo di promuovere un dialogo significativo e fornire strategie per affrontare il razzismo sistemico e la violenza contro le persone di colore negli Stati Uniti.

 

Brand Diversity Index e applicazione alla disabilità

Quale risposta all’importanza assunta da ambiti, mercati, attività e iniziative, differentemente articolante dalle marche, oggi più consapevoli del legame virtuoso che lega D&I, etica e business, è necessario spingersi verso la costruzione di un sistema di valutazione e misurazione che sottolinei la rilevanza etico-economica dell’inclusione, di cui una possibile applicazione è riscontrabile nel Diversity Brand Index. Quest’ultimo, a partire dal 2018, persegue l’obiettivo di misurare il valore assunto per i brand dallo sviluppo di una cultura collettiva basata sull’inclusione e non sulla discriminazione.

 

Alcuni risultati provenienti da una ricerca condotta sul mercato italiano su 502 rispondenti - da cui un articolo scritto con Caterina Antonucci, studentessa appassionata di fashion, in corso di pubblicazione su MicroMacro Marketing - che ha impiegato il sistema di valutazione connesso al Brand Diversity Index nel settore della moda e, in specifico, sull’esperienza di Tommy Hilfiger con il brand della linea Tommy Adaptive, ci hanno confortato su come essere un brand D&I-focused possa divenire una rilevante leva per la brand equity, agendo su reputazione e fiducia di marca, ancorché favorendone le associazioni positive in grado di incrementarne il valore. Attraverso l'analisi svolta sul brand Tommy Adaptive si è potuto verificare come esso abbia conquistato l’apice della piramide che identifica il legame con il cliente all’interno della customer-based brand equity (Keller, Busacca, Ostillio, 2005); la campagna inclusiva promossa da modelli e testimonial con disabilità ha permesso di alimentare la considerazione della marca, la reputazione positiva e, per tale via, la fiducia nei confronti del brand.

 

Attraverso il caso preso in esame è stato dimostrato come “essere” un brand D&I-focused riesca a migliorare le percezioni generali del consumatore nei confronti del brand (brand reputation), traducendosi in un aumento della fiducia rispetto a quest’ultimo (brand loyalty) e alimentandone il passaparola positivo (NPS). La credibilità strategica e la reputazione del brand inclusivo, rappresenta quindi il punto di partenza del circolo virtuoso esistente tra reputazione, fiducia, fedeltà e NPS (Busacca, Bertoli, 2017), tramite cui generare e/o rafforzare associazioni di marca che incrementino l’immagine positiva agli occhi dei consumatori, rafforzandone la brand equity agendo su percezioni, attaccamento e resonance di marca. Le marche devono quindi essere in grado di operare un orientamento alla D&I che renda quest’ultimo il fine e non il mezzo per incrementare il proprio valore. Perché, agendo su fiducia, reputazione e immagine di marca, si riesce a instaurare un legame intenso con il consumatore (c.d. risonanza), che porta – di fatto – alla fedeltà, in termini di riacquisto del prodotto, e all’attaccamento alla marca, rendendola quindi preferibile a qualsiasi altra.

 

Dal lancio nel 2016 della nuova linea “Tommy Adaptive”, il corporate brand Tommy Hilfiger ha orientato la propria strategia di marca verso una delle più rilevanti dimensioni per la gestione D&I: la disabilità, specificamente di natura fisica. La nuova linea ha ottenuto grande risonanza, raggiungendo un forte impatto in tutto il mondo.

 

Il pieno godimento di tutti i diritti e delle libertà fondamentali, identificando e rimuovendo le barriere che ne ostacolano l’esercizio da parte dei disabili, dichiarato con “no one left behind” (Sdgs Preambolo, 2015), evidenzia la rilevanza assunta dal tema dell’inclusività per marche, imprese, istituzioni (United Nations, Department of Economic and Social Affairs, 2006) e, in generale, per la società. E, da un punto di vista economico-aziendale, l’effetto e i risultati connessi all’orientamento alla D&I, evidenziano come il potenziale di reputazione positiva possa trasformarsi in trust, alimentando un circolo virtuoso che porta al riacquisto della marca da parte dei consumatori e, quindi, a maggiori vendite e maggiori margini per le aziende che “sposano” i valori basilari di “no one left behind”. 

 

Quanto illustrato chiude, metaforicamente, il legame virtuoso che lega D&I, etica e business e sta a indicare come il far leva su D&I possa rappresentare una scelta vantaggiosa e di grande responsabilità sociale.

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