Qualunque obiettivo annuale senza un monitoraggio costante rischia di essere bucato o perso di vista. Se decido di perdere peso nel giro di qualche mese, ma non salgo sulla bilancia con una certa regolarità per vedere se sono sulla strada giusta e il ritmo è costante, il rischio di non raggiungere l’obiettivo si fa maggiore. Ora, quale frequenza è quella ottimale? Ha senso definirne una che vada bene sempre e per tutti? Ecco, la stessa cosa vale per gli obiettivi di performance. Che le persone lavorino da casa o meno, se sono chiamate a svolgere attività in autonomia, il ritmo con cui monitorare lo stato di avanzamento dei loro contributi potrebbe avere delle differenze legate alla natura dei processi, alla tipologia di mansioni, al modello organizzativo e allo stile di leadership del dirigente responsabile. Il rischio che vedo nell’istituzionalizzazione standardizzata della frequenza dei monitoraggi è che lo sforzo collettivo sia concentrato nell’ottemperare l’effettuazione del monitoraggio, più che nel monitoraggio stesso. Un film che abbiamo visto mille volte all’indomani di una riforma con pretese di essere rivoluzionaria. E, in parte, abbiamo già visto in questi mesi con dipendenti impegnati più a scrivere relazioni sul lavoro svolto che a lavorare. E dirigenti subissati da cumuli di relazioni senza davvero il tempo di farsene qualcosa di interessante.
Non sarebbe più utile tenere lo sguardo sul valore pubblico generato dalle singole amministrazioni, lasciando all’autonomia gestionale dei singoli enti la libertà di trovare le soluzioni più adeguate allo scopo (quanti dipendenti in smart working e quanti in presenza, valutati come e con quale frequenza)? Sarebbe bellissimo se una volta il cambiamento venisse rivolto non già agli strumenti – in questo caso le modalità e i tempi del monitoraggio – ma sulle competenze delle persone. La vera urgenza per fare funzionare il lavoro agile nella PA (e forse non solo quello) è un massiccio investimento nelle competenze di guida, gestione ed esercizio della delega dei dirigenti pubblici, affinché siano in grado di utilizzare al meglio gli strumenti che già ci sono per assicurare che i contributi dei propri collaboratori siano allineati alle aspettative degli stakeholders, nella quantità, qualità e nei tempi. A partire dalla scoperta – questa sì potrebbe essere copernicana per qualcuno, per fortuna non per tutti – che si possono già assegnare obiettivi settimanali o mensili e non perché qualche OIV è deputato al loro monitoraggio, ma perché sono lo strumento di management con cui si assicura il funzionamento di un ufficio.