La crescita delle PMI: continuità o start-up?

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Di recente, in occasione di un seminario con gli studenti, mi sono trovato a discutere dei modelli di business che le piccole e medie imprese devono adottare per dare continuità al proprio successo nei contesti competitivi emergenti. Scenari in cui la tecnologia, l’ampiezza dei mercati geografici e le caratteristiche della concorrenza, solo per citare qualche esempio, stanno guidando processi di rapida e profonda trasformazione. Quasi naturalmente il dibattito si è polarizzato intorno a due posizioni distinte.

Da una parte, la necessità di interpretare i profondi cambiamenti del contesto esterno e di proporre un modo di fare impresa più ambizioso, capace di “assorbire” i contenuti più profondi dei processi di trasformazione e di “ricombinarli” in maniera originale, adattandoli alle peculiarità della singola azienda. Un approccio non necessariamente orientato alla crescita dimensionale, ma che, riuscendo a creare nuove opportunità di mercato, consente alle aziende di diventare spesso più grandi e di accrescere la propria competitività.

Dall’altra, l’opportunità di mantenersi nel solco della tradizione, di presidiare il medesimo ambito competitivo e, in estrema sintesi, di continuare a fare quanto si è sempre fatto, concentrandosi sul proprio core business. Un approccio in cui sembra forte la sensazione che le aziende possano difendere la propria posizione a prescindere dalle dinamiche in atto nel settore, senza preoccuparsi troppo di rimanere piccoli, con l’idea che i rischi di intraprendere nuove strade siano così elevati da sconsigliare qualsiasi pericoloso cambio di direzione.

La questione della crescita

E’ vero, i rischi di affrontare nuove sfide esistono, gli errori sono dietro l’angolo e sarebbe sciocco pensare il contrario. Sono tuttavia altrettanto elevati i rischi di non rimettersi in discussione e di vedere rimpicciolirsi gli spazi di mercato consolidati sotto la spinta di alcuni fattori difficili da contrastare perché non dipendenti dal comportamento delle singole aziende. Innanzitutto, in una economia che attraversa una fase di crisi così difficile come quella di questi anni, viene meno un motore di sviluppo che in passato si è rivelato fondamentale per il successo delle imprese, rappresentato dalla crescita del settore. Un acceleratore che in tante fasi storiche ha creato nuove opportunità per le aziende, consentendo anche a quelle non eccellenti di trovare spazi propri e di avere spesso il tempo di affinare e di consolidare il proprio modello di business.

Un elemento però che quando viene a mancare, oltre a inasprire la competizione, in quanto in sostanziale parità di consumi complessivi – le aziende riescono a crescere e a migliorare le proprie performance necessariamente sottraendo spazi ai propri concorrenti – spinge le imprese a cercare al proprio interno le ragioni del successo e a sviluppare modelli che siano innovativi non solo sulla dimensione del prodotto. In secondo luogo e spesso in aggiunta alla maturità dei consumi, sovente gli spazi di mercato vengono erosi da concorrenti domestici e internazionali che diventano più grandi e che, per questa strada, riescono ad ottenere costi più bassi o a garantirsi un più ampio spettro di opzioni strategiche.

Pensare a nuovi modelli di business ...
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Fonte: IoMSE a cura di Carmine Tripodi, SDA Professor of Strategic and Entrepreneurial Management

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