Banche e A.I., l’algoritmo definitivo si chiama fiducia

EMF CEO Forum con A. Beltratti, G. Castagna, M. Morelli, A. Munari, C. Scardovi

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La domanda cruciale è: c’è un HAL 9000 nel futuro della finanza? Finché il discorso ruota attorno agli smart data e al machine learning siamo ancora in un ambito in cui la tecnologia, pur spalancando scenari ancora non del tutto immaginabili, resta fondamentalmente utile, governabile e amica. Ma se nel corso di un dibattito tra figure di vertice del mondo bancario italiano appaiono termini come cyber-manager (o, con una correzione semiseria, “cyborg-manager”) e si parla di macchine che prevarranno sull’uomo, citando Terminator o 2001 Odissea nello spazio, la prospettiva può diventare inquietante. Ma i quattro top manager che sono stati protagonisti del CEO Forum nell’ambito dell’iniziativa “Un giorno da EMF - Executive Master in Finance” – Giuseppe Castagna, CEO di Banco BPM, Andrea Munari, CEO di BNL-BNP Paribas e Responsabile di BNP Paribas per l’Italia, Marco Morelli, CEO di Monte dei Paschi di Siena, e Claudio Scardovi, Managing Director di AlixPartners e Docente di Bank Transformation and Turnaround di EMF  – hanno evitato scenari distopici e hanno maneggiato un argomento caldo come “I big data e l’intelligenza artificiale in finance” con lo spirito critico e la fiducia di chi sa che il futuro riserva grandi sfide ma anche grandi opportunità, e ad entrambe bisogna prepararsi da oggi.

 

Dati, il nuovo petrolio?

“Una copertina dell’Economist di un paio di anni definiva i dati il ‘nuovo petrolio’”, ha ricordato Marco Tortoriello, Full Professor del Dipartimento di Management e Tecnologia presso l’Università Bocconi, introducendo l’incontro. Una metafora calzante se si pensa che “un gigante come Amazon, solo estraendo dalle transazioni ed elaborando i dati dei suoi clienti, crea un giro di affari di pubblicità di 125 miliardi di dollari, più del valore di IBM, per intenderci”. La sfida – per restare nella metafora – sta quindi nella capacità di trasformare il petrolio in benzina e avere motori da far funzionare con questo carburante.

Una sfida che Andrea Beltratti, Academic Director di EMF, ha rilanciato al panel dell’incontro con una serie di domande e di stimoli sul futuro del mondo delle banche e della finanza nel quale ci saranno giacimenti di informazioni sempre più estesi e la parte delle Sette Sorelle la faranno le Fintech e i Tech Giants.

Una prima considerazione comune a tutti i CEO presenti riguarda proprio l’arena competitiva aperta dai nuovi player tecnologici, che grazie ai big data in loro possesso possono arrivare a offrire servizi finanziari mirati. “Le banche sono penalizzate fondamentalmente da due cose:”, evidenzia Munari, “un mindset ancora troppo legato alla loro organizzazione verticale a silos e la loro legacy, un patrimonio di dati costruito in decenni ma meno flessibile e ‘disponibile’, perché gestito da architetture tecnologiche spesso obsolete, e soprattutto perché sottoposto ai vincoli del regolatore”. La vera differenza sostanziale tra le Banche e i nuovi player è data dal fatto che loro operano in un mondo che nasce digitale, e questo inevitabilmente comporta dei gap che velocemente dobbiamo colmare. “Non è un gioco alla pari”, ribadisce Morelli. “I player tecnologici hanno dati e tecnologie nuove e soprattutto mani libere nell’utilizzarli. Amazon può decidere di vendere servizi finanziari e farlo in poco tempo. Se io volessi vendere cellulari nelle filiali della banca dovrei superare una quantità di ostacoli regolamentari. Anche volendo, noi non possiamo entrare in altri mercati con altrettanta facilità”.

 

Uomo-macchina, una partita aperta

Una condizione per sfruttare tutto il potenziale dei dati è dotarsi di sistemi che sappiano estrarli e conservarli. E soprattutto utilizzarli in modo critico. “Voglio forzare provocatoriamente la metafora del petrolio: siamo sicuri”, domanda Castagna, “che sia l’investimento giusto quando l’auto del futuro è elettrica? Non sto dicendo chiaramente che i dati sono irrilevanti, ma bisogna sapere utilizzare quelli giusti. E non possiamo pensare che la selezione possa prescindere dall’elemento umano”.

Eccolo qui, il convitato di pietra del futuro digitale: l’uomo. Sarà al comando o al servizio delle macchine? L’intelligenza artificiale moltiplicherà o mortificherà le sua possibilità di azione? La questione è dirimente. “L’AI non è un fenomeno nuovo”, evidenzia Scardovi, “ma negli ultimi tempi è cambiato l’atteggiamento culturale, è aumentata la fiducia nei suoi confronti”. La fiducia ma anche la diffidenza: “I fatti dimostrano che l’AI batte l’uomo sia nei processi deduttivi (top-down) che induttivi (bottom-up). Poi c’è la dimensione emotiva in cui la partita è ancora in corso”. E Beltratti rilancia: “sappiamo che esistono software in grado di ‘leggere’ le espressioni del viso per valutare la comunicazione non verbale e quindi la presunta veridicità di ciò che viene detto: questo è un miglioramento per il lavoro delle banche e per i loro clienti?”.

La risposta, pur con qualche sfumatura di differenza, è sostanzialmente univoca: non c’è software che possa sostituire, nel mondo della finanza e non solo, il rapporto di fiducia col cliente. Munari è convinto che sia “giusto che le banche investano in tecnologia perché molte funzioni di back end possono essere svolte meglio dalle macchine. E anche le potenzialità digitali del front end sono ormai evidenti a tutti. Dall’altro canto la digitalizzazione abilita un abbassamento del “costo del servizio” che ci consente di recuperare i gap di competitività rispetto a newcomers o a reinvestire parte dell’efficienza nello sviluppo di nuovi modelli e servizi al fine di migliorare l’esperienza cliente; considerando che, in tutti i settori e in particolare in banca, il vero investimento su cui dobbiamo puntare è quello sulla fiducia da parte dei clienti, e la si costruisce coltivando nel tempo un rapporto one-to-one”. “Con i social, ad esempio”, lo affianca Castagna, “siamo già al riflusso: ci si chiede se sia giusto affidare la propria immagine e costruire un rapporto attraverso uno strumento di comunicazione che agisce in gran parte sull’emotività del momento”.

 

Verso una tecnologia amica

Resta aperta la grande questione: è possibile definire, oggi, un criterio guida per rapportarsi a una tecnologia di cui possiamo solo intuire gli sviluppi futuri e le enormi (e inquietanti) potenzialità? Scardovi ipotizza una soluzione: “accettarla in modo acritico e fideistico no, ma nemmeno rifiutarla luddisticamente. Ogni processo deve conservare un elemento di controllo umano, dev’esserci qualcuno che abbia l’override. Non solo per evitare che l’aereo si schianti, cioè per garantire il risultato positivo di un’operazione, ma anche per inserire nel processo l’elemento etico, la valutazione di opportunità. Insomma, la complessità umana”.

Una considerazione che ha una ricaduta fondamentale in termini di formazione di giovani manager della finanza. La sintetizza Castagna a conclusione dell’incontro davanti alla platea di partecipanti EMF: “tenete presente che la tecnologia la si compra o la si copia facilmente, la professionalità e le competenze umane no”.

 

SDA Bocconi School of Management

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