Lezioni apprese sulla gestione delle patologie croniche

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Milano, 9 aprile 2019
A cura di  Valeria Tozzi, Direttore Master in Management per la Sanità (MiMS)

Il background

Il tema dell’aumento della domanda di servizi per la tutela della salute indotta dal fenomeno della prevalenza delle malattie croniche è tra quelli cruciali dell’agenda politico istituzionale e delle scelte strategiche di quanti si occupano di management nel settore della sanità. Le rilevazioni ISTAT relative allo scorso anno evidenziano che in Italia il 39,9% dei residenti è affetto da almeno una malattia cronica (24.133.105 persone) mentre quella con almeno due malattie croniche è pari al 20,9% del totale. Le patologie più frequenti sono l’ipertensione (17,8%), l’artrosi/artrite (16,1%), le malattie allergiche (10,7%), l’osteoporosi (7,9%), la bronchite cronica (5,9%), il diabete (5,7%), i disturbi nervosi (4,5%), le malattie del cuore (4,1%) e l’ulcera gastrica o duodenale (2,4%).

L’aumentata prevalenza è da imputare sia all’invecchiamento della popolazione sia alla crescente esposizione a fattori di rischio ambientali, geografici e sociali. Basti pensare che la speranza di vita alla nascita tra il 2012 e il 2016 è aumentata di quasi un anno, attestandosi ad un valore di 82,8 anni. L’aspettativa di vita a 65 anni è a sua volta aumenta di +0,6 punti raggiungendo i 20,7 anni in media. Infine, anche la speranza di vita a 85 anni è cresciuta, passando da 6,3 anni del 2012 a 6,6 anni nel 2016 (OASI, 2018). Contemporaneamente, l’età media di manifestazione delle malattie croniche è scesa da 56,5 a 53,5 anni (CEIS, 2017).

Quali sono le risorse impegnate in questa sfida? Il Piano Nazionale della Cronicità dichiara che “circa il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale sia oggi speso per la gestione delle malattie croniche; il dato diviene ancora più preoccupante alla luce delle più recenti proiezioni epidemiologiche, secondo cui nel 2020 esse rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo” (PNC, 2016).

Cosa sta accadendo in Italia?

Volendo sintetizzare alcune tendenze in corso nel nostro Paese emerge un quadro popolato da una pluralità di iniziative sia sul piano delle politiche che su quello manageriale. Di seguito se ne descrivono alcune che stanno caratterizzando alcune piste di riflessione su scala nazionale e internazionale.

 

  • Dalla singola patologia alla policronicità. Molte sono le progettualità che attraverso forme di allineamento professionale hanno provato a disegnare modelli di “presa in carico” che fossero efficaci, equi e sostenibili nei diversi contesti di offerta. Si tratta dell’ampio cantiere dei PDTA (percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali) ha hanno avuto un ruolo importante nel porre al centro degli interventi la qualità delle cure nel sistema di erogazione. Molte di queste progettualità di stanno confrontando con il fenomeno della polipatologia che spinge le aziende sanitarie di erogazione di servizi (in alcuni casi supportate da politiche regionali) a fare in modo che la “presa in carico” non sia frammentata, costringendo il paziente a fare sintesi tra i diversi percorsi di malattia che vive in parallelo, ma ci sia una regia unitaria dei diversi percorsi di cura. Da qui la necessità di formulare modelli di offerta sulla polipatologia che migliorino accessibilità alle cure da parte del malato, rivedendo la sequenza dei servizi da erogare attraverso una regia unitaria. In questo solco si inseriscono le esperienze della Casa della Salute, dei Presidi Territoriali di Assistenza, ecc. Si tratta di quelle esperienze che concentrano fisicamente l’offerta dei servizi territoriali mettendo insieme la medicina generale, organizzata in forma associata, alcuni servizi diagnostici, la specialistica e quelli amministrativi. La vicinanza fisica tra più famiglie professionali sostiene la condivisione delle scelte sul piano clinico e la revisione della sequenza di servizi che devono essere erogati per il paziente comorbido. Significativi sono stati i risvolti di modelli denominati “dove si prescrive, si prenota” che hanno evitato che fosse il paziente a ricomporre il processo di erogazione delle cure. La policronicità interroga anche sul ruolo dei diversi professionisti nei percorsi di cura (è possibile fare una “sintesi” tra i diversi percorsi di cura sul piano clinico oltre a quello organizzativo) e sulle forme di skill mix tra medici e infermieri nella gestione quotidiana della pratica clinico assistenziale.

 

  • La cronicità ad alta complessità. Nel corso degli ultimi anni si è trasformato il dibattito sui modelli di gestione delle malattie croniche. Se in passato l’aggettivo “cronico” era sinonimo di “territorioi” e quello “acuto” di ospedale, oggi la consapevolezza che alcune malattie croniche possono richiedere un ruolo centrale delle competenze specialistiche e di risorse tecnologiche, complesse da gestire e presenti solo in luoghi caratterizzati da soglie importanti di attività, ha messo in luce il fenomeno delle cronicità ad alta complessità. Si tratta di quelle malattie croniche che hanno bisogno di una staffetta importante tra ospedale e territorio, tra competenze generaliste e specialistiche per la quale le forme di connessione tra servizi territoriali e ospedalieri risulta cruciale. In questo scambio è pivotale il ruolo delle tecnologie dedicate allo scambio di informazioni. In questo trend si inseriscono anche quelle condizioni patologiche che, grazie all’innovazione tecnologica, possono oggi essere considerate croniche: in questa direzione si pensi all’oncologia, alla neurologia a mero titolo esemplificativo. Il tema della connessione tra ospedale e territorio ha alimentato sia le scelte sui nuovi modelli di “cure di trasizione” che quelli di reti cliniche: le prime sono relative alle “agenzie di continuità ospedale-territorio”, alle “centrali opertive odpedale-territorio”, ecc. Si tratta di nuove funzioni delle aziende territoriali dedicate a gestire la transizione del paziente tra setting diversi. Il tema delle reti cliniche intercetta il medesimo fabbisogno e lo declina più puntualmente rispetto alle diverse aree di offerta (rete oncologica, rete diabetologica, ecc.) esplicitando i luoghi all’interno dei quali esistono le expertice di riferimento per i diversi target di popolazione.

 

  • Il Population Health Management. Molte Regioni hanno iniziato a ricostruire le coorti di popolazione residente affette da una o più patologie utilizzando le banche dati di natura amministrative a loro disposizione, alimentate attraverso i flussi sull’erogazione dei servizi (farmaci, ricoveri, specialistica ambulatoriale, accessi al Pronto Soccorso, ecc.) e su alcune condizioni di accesso alle cure (ad esempio, le esenzioni per patologia). Questo patrimonio di informazioni sulla popolazione, letto in chiave retrospettiva, consente non solo di conoscere quanti sono i casi affetti da una o più malattie croniche ma anche di rilevare il “modello di consumo di servizi” che tali coorti hanno avuto nel recente passato. Alcune esperienze italiane stanno alimentando un dibattito domestico specifico e partecipando a quello internazionale: a titolo esemplificativo si segnala il modello RiskER dell’Emilia Romagna che ha anche una valenza predittiva insieme all’ACG (Adjusted Clinical Groups) che la regione Veneto ha realizzato partendo da un modello internazionale. In questa direzione si inserisce anche l’esperienza della Lombardia che stratifica in più di 60 patologie la popolazione cronica, leggendo anche le combinazioni tra malattie attraverso algoritmi realizzati dall’Osservatorio epidemiologico regionale. Molte sono le regioni che hanno concretizzato un’unica banca dati sulla popolazione: come emerge dal Rapporto OASI 2018 (Fattore G, Morando V., Tozzi V, 2018) è in corso un processo mimetico che ha spinto molte regione a dotarsi di modelli simili (ad esempio, la Puglia).

Tali fenomeni delineano in modo molto sintetico alcune delle traiettorie in corso che consentono di disegnare modelli digitali di raccolta delle informazioni con una prospettiva nuova rispetto a quella adottata in passato. Si tratta di traiettorie emergenti ed è proprio in questa fase che l’interrogativo sul sistema di supporto all’informazione deve essere posto per evitare che esso arrivi quando le scelte di natura strategica sono già state compiute.

 

SDA Bocconi School of Management

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