#ValorePubblico

Public leadership? Una sfida collettiva, basata sull’esperienza

Che ai dirigenti pubblici sia richiesto di essere anche leader è ormai cosa legittimata anche dalle recenti direttive ministeriali. Ma leader si nasce o si diventa? E come lo si può imparare? Per rispondere a questa domanda si prende ispirazione da un caso, quello di un’azienda ospedaliera pubblica che ha scelto di investire sulla formazione alla leadership di tutto il vertice aziendale. Ecco come. Con Elisabetta Trinchero

Le modalità attraverso cui si assumono ruoli di vertice nel pubblico sono vari, ma accomunati tutti da processi di selezione centrati sul possesso delle competenze tecnico-professionali più che manageriali. In sanità, ad esempio, si diventa direttore (“primario”, si sarebbe detto una volta) sulla base del riconoscimento clinico e scientifico. Eppure il mestiere del direttore richiede in genere di sacrificare la componente professionale (clinica, nel caso della sanità) a vantaggio di nuove incombenze che hanno a che fare con la definizione delle operations della propria unità e la gestione delle persone che la popolano.

Questa configurazione porta in genere ad un paradosso: si premiano i migliori professionisti offrendo loro posizioni in cui sostanzialmente si richiede cambiare mestiere.

Alcuni mostrano una sorta di naturale dimestichezza a mettersi alla guida di strutture anche molto grandi. Altri si difendono dalla sfida manageriale, interpretando il proprio ruolo più come quello di “primus inter pares” che non solo non rinuncia alla clinica, ma anzi tiene per sé i casi (o i dossier) più interessanti e sfidanti, al prezzo di trascurare lo sviluppo dei membri e della produzione della propria unità. In più, negli ultimi anni nelle amministrazioni ed aziende pubbliche – quelle sanitarie in testa – si osserva un fenomeno piuttosto nuovo, quella della fuga dei talenti verso altre opportunità professionali, che porta sul tavolo di direttrici e direttori una sfida del tutto nuova: trattenerli e motivarli, senza grandi leve economiche a disposizione.

Come supportare lo sviluppo di competenze di leadership diffuse in organizzazioni pubbliche con queste caratteristiche?

Questa è la domanda che con Elisabetta Trinchero abbiamo raccolto da parte della direzione strategica di una grande azienda ospedaliera del Nord-Ovest che si è rivolto a SDA Bocconi per rafforzare le competenze di leadership dei suoi direttori. Ne è nato un percorso, concluso da poco con successo, che può aiutare a mettere a fuoco tre ingredienti utili per lavorare su questi obiettivi formativi.

  1. Tutto il vertice dell’azienda in aula. Oggi in sanità tanta formazione (anche manageriale) viene offerta ai medici tramite le diverse società scientifiche, che da sempre si occupano dell’aggiornamento delle competenze dei propri associati. Questa pratica ha supportato ad esempio lo sviluppo e la diffusione di modelli organizzativi di cura su specifiche patologie (si pensi ai percorsi di integrazione tra diagnosi, terapia e assistenza). Ma non può assolvere alla funzione di costruire culture organizzative orientate all’assunzione di responsabilità diffusa e allo sviluppo delle persone. Per questo fine serve che tutto il management dell’azienda possa avere dei luoghi strutturati dove ricevere input specifici e dove poterli processare insieme, con riferimento al proprio specifico contesto aziendale. Assicurare ai vertici della propria azienda occasioni strutturate di elaborazione sulle sfide del ruolo direzionale trasforma gli apprendimenti individuali in apprendimenti organizzativi.
  2. L’aula come “spazio sicuro”. Se gli unici momenti in cui i vertici si incontrano sono i comitati di direzione a vocazione eminentemente negoziale, il rischio è che il tempo della riflessione collettiva non ci sia mai. Ma oltre al tempo a fare la differenza è il luogo e il contesto: trovare in un’aula formativa le stesse persone che si incontrano nelle riunioni aziendali, ma con un obiettivo diverso, fa accadere cose diverse. L’aula è un luogo allestito per favorire nuove conversazioni utilissime quando si tornerà nelle stanze riunioni dell’azienda, ma che è difficile che in quelle stanze nascano spontaneamente. Pertanto l’aula svolge la sua funzione quando diventa uno spazio sicuro dove potersi confrontare liberamente in modo guidato e strutturato su oggetti connessi alle sfide aziendali.
  3. Non solo aula: la formazione esperienziale. Non ci sono molti altri strumenti di leadership al di fuori del proprio comportamento. Pertanto, la formazione alla leadership deve consentire di fare tre cose: (1) proporre modelli scientificamente solidi e coerenti con la specificità dei contesti per comprendere il funzionamento del comportamento organizzativo; (2) allenare ad interpretare i comportamenti con chiavi di lettura più ampie e capaci di ispirare strategie nuove di gestione delle relazioni; (3) offrire occasioni per mettersi in gioco ed avere occasione di osservarsi e sperimentarsi in modo guidato. A questo scopo, la formazione esperienziale, che sollecita l’uso di specifiche competenze cognitive o relazionali, magari attivate in contesti anche molto diversi da quelli di provenienza, può accelerare l’apprendimento. In questo caso, per stimolare la consapevolezza del proprio stato emotivo si sono usati alcuni esercizi individuali e di gruppo di apnea in piscina, preceduti da esercizi di respirazione.

Aver distanziato nel tempo i moduli formativi ha permesso inoltre di incontrare direttori e direttrici per un tempo lungo quasi 6 mesi, in cui sperimentare i primi apprendimenti e cominciare ad osservarsi con occhi diversi.

 

In conclusione, i partecipanti hanno riportato di aver meglio compreso perché in alcune circostanze si sentono meno efficaci come leader (“ho capito che il modo in cui dicevo le cose non funzionava”), di aver cambiato il punto di vista su alcuni fenomeni organizzativi, ad esempio sul tema della fiducia (“i giovani medici ci guardano con pregiudizio, ma forse anche noi facciamo lo stesso e questo non aiuta”), di aver aperto nuove conversazioni trasformative nei propri reparti (“dare feedback più strutturati”; “quando assegno una delega, mi assicuro che sia stata ricevuta e che siamo sulla stessa pagina”). In più, essersi messi in gioco insieme ha permesso di scoprire che si affrontano problemi simili e che per affrontarli il confronto tra pari è stato utile e può continuare anche tornati in azienda, ora che ci si è conosciuti meglio e si è imparato a fidarsi reciprocamente un po’ di più.

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