Tesi al futuro

La rete dell’investitore è il valore nascosto del venture capital

 

Nel mondo ad alta incertezza del venture capital, non basta ricevere un investimento per avere successo: conta chi investe, quando lo fa e che reputazione si porta dietro. La tesi di dottorato discussa da Marta Zava alla Goethe-Universität di Francoforte ci fa comprendere l’influenza degli investitori, mostrando che la loro capacità di attrarre altri investitori nei round successivi è una risorsa decisiva per le startup, soprattutto nelle primissime fasi della loro vita.

 

Il Funding Attraction Index (FAI) sviluppato da Zava misura quanto l’ingresso di un investitore in un round aumenti le probabilità che altri lo seguano in round successivi. E i dati mostrano che il FAI prevede meglio il successo futuro delle startup rispetto a metriche tradizionali come il numero di exit passate o l’esperienza pregressa. L’influenza dell’investitore non è solo un indicatore passivo di prestigio o esperienza, ma ha un impatto concreto e causale sul futuro della startup.

 

In parallelo, la tesi mostra anche come gli investitori stessi acquisiscono reputazione. La strada più rapida consiste nel ricevere endorsement (cioè, investimenti diretti alle aziende già presenti nel proprio portafoglio) da parte di investitori già influenti nella rete. E anche se ciò può sembrare controintuitivo, questo effetto di legittimazione reputazionale vale anche se la startup in cui hanno entrambi investito fallisce. Perché nel venture capital, più che il successo individuale, sembra contare il riconoscimento all’interno del network.

 

Il contesto

 

La ricerca si colloca al crocevia tra finanza, network science e teoria dei sistemi complessi. Il punto di partenza è una revisione sistematica di 150 studi accademici apparsi su 61 riviste, che mette in luce un consenso diffuso: i network nel venture capital sono relazionali, dinamici e reputazionali, e influenzano ogni fase del ciclo di investimento, dalla selezione all’exit.

 

Tuttavia, la letteratura è frammentata: i network sono spesso analizzati con approcci statici, e manca un modello che ne consideri l’evoluzione temporale. Inoltre, si sa molto su come l’influenza funzioni, ma poco su come si costruisca. Le domande della tesi sono quindi:

 

  • Come si forma e si consolida l’influenza di un investitore nel tempo?
  • In che modo questa influenza incide sulla traiettoria di finanziamento delle startup?
  • È possibile sviluppare strumenti dinamici per misurare e prevedere questi effetti?

La ricerca

La tesi si articola in tre contributi principali: un’ampia rassegna di letteratura e due studi empirici originali che, insieme, offrono una visione nuova e più dinamica del venture capital.

Dalla rassegna emerge che le reti nel venture capital non sono semplicemente strumenti per accedere a informazioni o capitali: sono strutture complesse e dinamiche, attraverso cui si costruiscono reputazioni, si attivano collaborazioni strategiche e si orientano le traiettorie delle imprese finanziate.

La parte empirica della tesi si concentra su due studi principali, entrambi basati su dati relativi a investimenti in startup statunitensi tra il 2010 e il 2021, osservati su base mensile.

 

  • Il primo studio esplora come un investitore possa costruire la propria influenza nel tempo all’interno del network del venture capital. L’analisi mostra che uno dei meccanismi più efficaci per “scalare” nella gerarchia della rete è quando un investitore già affermato (con forte reputazione) decide di entrare in un round di finanziamento a cui ha partecipato in precedenza un investitore meno noto. In altre parole, l’investitore “emergente” guadagna influenza quando un attore influente del network investe in una startup che lui aveva già sostenuto in un round precedente. Questo “endorsement” agisce come una certificazione reputazionale: segnala al mercato che l’investitore emergente aveva “visto giusto” e che è capace di intercettare buone opportunità.
  • Il secondo studio introduce un indice originale: il Funding Attraction Index (FAI), che misura la capacità di un investitore di attrarre nuovi capitali verso una startup in cui ha investito. Questo indice non si limita a osservare la storia passata, ma si aggiorna in tempo reale e riflette l’influenza effettiva dell’investitore nel generare fiducia nel mercato. I risultati mostrano che il FAI è un predittore molto più accurato del successo futuro di una startup rispetto ai classici indicatori come il numero di exit o l’esperienza dell’investitore.

 

Ricalcolando l’indice mensilmente nel corso degli 11 anni di osservazione, Zava mette in luce il dinamismo della rete. Le posizioni reciproche cambiano più velocemente di quanto ci si potrebbe attendere, anche in funzione delle tecnologie emergenti. Essere stati influenti quando le startup più promettenti lavoravano sulla blockchain non garantisce la stessa posizione quando il tema del giorno diventa l’intelligenza artificiale. Il passato che determina l’influenza di un investitore, insomma, è quello recente.

Conclusioni e implicazioni

La tesi dimostra che il venture capital non può essere compreso fino in fondo se lo si guarda solo come un flusso di denaro o una serie di decisioni razionali. È invece un sistema sociale e relazionale, dove le reti contano quanto le performance passate, se non di più. L’influenza si costruisce nel tempo, attraverso connessioni strategiche, riconoscimento reciproco e la capacità di orientare le scelte degli altri.

 

Per chi opera nel settore, queste evidenze hanno implicazioni concrete:

 

  • Per chi investe nei fondi di venture capital, ossia i Limited Partner, come fondi pensione, fondazioni o grandi family office: è il momento di andare oltre le metriche tradizionali e considerare anche la posizione relazionale e l’influenza dinamica degli investitori. Valutare un fondo solo sulla base dei ritorni passati può essere fuorviante.
  • Per gli imprenditori delle startup: quelli in condizione di scegliere dovrebbero privilegiare il finanziamento da parte di investitori in qualche modo capaci di influenzare il network.
  • Per acceleratori, incubatori e policy maker: la creazione di ecosistemi imprenditoriali non si gioca solo sul capitale o sul supporto operativo. Bisogna favorire la formazione di reti di qualità, in cui l’influenza possa circolare e sedimentarsi. Le connessioni contano, e la reputazione si può progettare.

 

Infine, per i venture capitalist stessi, la lezione è che investire nel network è un investimento a lungo termine. Fare squadra con attori già riconosciuti, anche sacrificando ritorni immediati, può dare accesso a opportunità più grandi in futuro. In un contesto dove l’incertezza regna e le startup falliscono spesso, il capitale reputazionale può essere la risorsa più solida su cui costruire il successo.

 

Marta Zava, Venture Capital and Complex Systems, tesi di dottorato, Wolfgang Goethe-Universität Frankfurt am Main.

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