
- Data inizio
- Durata
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- 5 Mag 2025
- 9 giorni
- Class
- Italiano
Affrontare le sfide attuali della funzione HR a 360 gradi, grazie a strumenti metodologici per attrarre, scegliere e trattenere in azienda i migliori talenti.
I lavoratori temporanei non sono risorse «usa e getta». Al contrario, la loro uscita dall’azienda implica una perdita di competenze che è necessario sostituire, con conseguenze importanti sugli altri lavoratori e sull’intera unità in termini di efficienza e performance
La flessibilità numerica, ovvero la capacità di adeguare il numero dei lavoratori alle condizioni del mercato e alle necessità produttive, è uno degli obiettivi che oggi le aziende cercano di conseguire e implementare nella propria forza lavoro. Per farlo, tendono ad affidarsi al lavoro temporaneo, ossia al reclutamento di lavoratori mediante una tipologia contrattuale con una durata limitata e un termine prestabilito. È il caso, per esempio, dei lavoratori stagionali, i quali sono chiamati a prestare la propria opera nei periodi di picco produttivo e di maggiore attività.
Il ricorso ai cosiddetti lavoratori «a termine» trova particolare diffusione tra le aziende soggette a importanti variazioni nella domanda e nel ciclo produttivo, come quelle dei settori turistico e agroalimentare. La possibilità di “pianificare il turnover” dei propri dipendenti in anticipo rappresenta per queste imprese un indubbio vantaggio: allo scadere di un contratto a tempo determinato, e a seconda delle esigenze del momento, il datore di lavoro può infatti decidere di ridurre il numero dei propri dipendenti, di rinnovare il contratto al lavoratore o di assumere un’altra persona al suo posto.
Non sorprende che il ricorso alle forme di lavoro temporaneo sia tanto più ampio e diffuso quanto più sono gravosi i costi di assunzione e licenziamento.
Per i lavoratori permanenti (a tempo indeterminato) è ormai ampiamente documentato come il turnover generi problemi e inefficienze organizzative, destabilizzando le attività, provocando rallentamenti e perdite di conoscenze, abilità e competenze.
Nel caso del lavoro temporaneo, tuttavia, si è sempre pensato che i costi del turnover fossero trascurabili, se non inesistenti, specialmente se rapportati ai vantaggi portati dalla flessibilità numerica. Secondo questa linea di pensiero, i lavoratori a termine, soprattutto se relegati allo svolgimento di mansioni secondarie, non costituiscono risorse ad alto valore per l’impresa, e dunque il loro eventuale abbandono comporterebbe una perdita di capitale umano trascurabile.
E se invece i lavoratori temporanei non fossero solamente delle risorse plug-in, prive di capitale specifico e facilmente rimpiazzabili, ma sviluppassero un capitale umano del tutto simile a quello degli altri lavoratori? Quali costi comporterebbe per le aziende il loro turnover?
Per rispondere a queste domande, è stato condotto uno studio su una multinazionale leader nel settore della ristorazione, basandosi su dati longitudinali forniti dalle unità organizzative italiane (bar e ristoranti).
L’azienda presa in considerazione prevede all’interno delle proprie linee guida strategiche l’impiego di lavoratori temporanei per far fronte alle fluttuazioni nella domanda, ma lascia ai manager dei ristoranti un ampio margine di decisione per quanto riguarda il numero di lavoratori da assumere, la durata dei contratti e le mansioni da svolgere.
La prima ipotesi consiste nel verificare se davvero il turnover dei lavoratori temporanei non costa nulla, o se invece, oltre un certo limite, il loro ricambio genera più svantaggi che vantaggi. Si è quindi testat l’ipotesi che esista una relazione a U rovesciata tra il turnover dei lavoratori a termine e la performance dell’unità orgnaizzativa. Ciò significa che, mentre livelli bassi o moderati di pianificazione del turnover hanno un effetto positivo sulla performance perché permettono di ridurre il costo del personale eliminando le risorse in eccesso, oltre un certo livello ottimale di ricambio i costi in termini di disruption per i lavoratori rimanenti superano i benefici dati dalla flessibilità numerica.
Non è raro che lavoratori permanenti e temporanei lavorino fianco a fianco svolgendo compiti simili e strettamente collegati tra loro, anzi: tutti gli intervistati hanno riportato che il livello di interazione tra le due categorie è molto alto e che le mansioni vengono assegnate dagli store manager a seconda delle necessità, a prescindere dal tipo di contratto. L’elevata interscambiabilità fa sì che, nel momento in cui uno o più lavoratori a termine lasciano l’organizzazione, debba esserci necessariamente una ridistribuzione del carico di lavoro tra i dipendenti rimasti. Non solo: oltre a dover modificare la propria routine per compensare l’uscita dei colleghi, questi lavoratori si trovano a dover occupare parte del proprio tempo nell’addestramento dei neoassunti. A farne le spese sono innanzitutto il ritmo e l’efficienza dei lavoratori stessi, con ripercussioni importanti sulla performance dell’intera unità.
Ne consegue che tanto più è alto il numero di neoassunti chiamati a sostituire i precedenti lavoratori, tanto più è marcata la riduzione della performance (seconda ipotesi), e che tale effetto è più accentuato nel caso in cui vengano assunte persone che non hanno alcuna esperienza pregressa all’interno della stessa organizzazione, rispetto al caso in cui si richiamino a lavorare persone che avevano già prestato la propria opera all’interno dell’organizzazione e affrontato un periodo di addestramento (terza ipotesi).
La presenza di lavoratori temporanei può avere conseguenze negative sull’unità in cui sono impiegati: oltre a provocare una certa destabilizzazione, può inasprire i conflitti ed esacerbare le attitudini e i comportamenti dei dipendenti a tempo indeterminato. Ma c’è un altro costo legato all’assunzione di lavoratori temporanei di cui i manager dovrebbero tenere conto, fortemente emerso nello studio: l’abbassamento della performance a seguito dell’uscita di lavoratori temporanei, specialmente quando il livello di turnover è elevato.
Non trova riscontro, infatti, l’idea che i lavoratori temporanei siano pari a delle risorse «usa e getta», che svolgono una mansione plug-in senza sviluppare alcun capitale umano specifico. Al contrario, la loro uscita implica una perdita di competenze che è necessario sostituire, con conseguenze importanti sui lavoratori e sull’intera unità in termini di efficienza e performance. È bene quindi prendere sempre in considerazione altre combinazioni di rapporti di lavoro, fare una stima appropriata dei costi associati a ciascuna tipologia ed evitare di sostituire un gran numero di dipendenti in uscita con lavoratori del tutto inesperti.