Sotto la lente

Perché l’EBITDA è meglio della crescita

L’obiettivo più comune nelle decisioni di molti imprenditori e dirigenti è la crescita: aumentare il fatturato, espandere la clientela, ampliare la gamma dei prodotti, aprire nuovi mercati, magari mediante la costituzione di nuove filiali.

 

Se lo rappresentiamo sul planisfero, a volte il percorso di crescita di alcune aziende ricorda il Risiko, dove la vittoria presuppone che il giocatore espanda la presenza dei suoi carrarmatini e delle sue bandierine fino alla conquista di territori più ampi.

 

Il problema è che non sempre questo percorso di crescita assicura anche un aumento del valore dell’azienda e una soddisfazione maggiore per gli azionisti.

 

Il settore del trasporto aereo, per esempio, è ricordato spesso come uno di quelli dove le aziende sono sì cresciute, aggiungendo capacità produttiva e quindi aumentando il capitale investito, ma non hanno assicurato un rendimento soddisfacente per i nuovi investimenti. Il risultato è che il valore delle aziende si è inevitabilmente ridotto. Per queste aziende, sarebbe stato meglio non crescere e concentrarsi sull’aumento della redditività delle attività esistenti.

 

Un risultato simile si è verificato anche per aziende che hanno puntato sulla cosiddetta «crescita esterna», ovvero la crescita mediante acquisizioni. In questi casi è stato spesso il prezzo pagato per l’acquisizione a determinare una riduzione del valore delle azioni. Uno dei casi più famosi a livello internazionale è stato l’acquisto di WildHorse Resource Development da parte di Chesapeake Energy, azienda produttrice di gas naturale. Un’operazione da 4 miliardi di dollari che finì per avvitare l’acquirente in una spirale di perdita progressiva di valore delle azioni, conclusasi poi con l’apertura di una procedura concorsuale.

 

Il problema è che crescere non basta. Occorre crescere bene. E se crescere bene non è possibile, come accade in alcuni settori caratterizzati da eccesso di capacità produttiva (pensiamo per esempio al settore dei salumi o ad alcuni comparti del settore dell’editoria e dell’energia), allora crescere a tutti i costi, investendo comunque o acquistando aziende a qualsiasi prezzo, può essere un rimedio peggiore del male.

 

La crescita in sé e per sé non è necessariamente un bene. È un bene se aumenta il valore di un’azienda ed è un male se lo riduce. Ma come facciamo a sapere se la crescita aumenta il valore?

 

Innanzitutto, dobbiamo dotarci di un criterio di valutazione delle aziende e delle singole decisioni aziendali fondato sul valore e non sulla dimensione dell’azienda o del fatturato.

 

L’attenzione per il valore dell’azienda si è affermata da molti anni e – a partire dagli anni Novanta – si è accompagnata all’attenzione per l’EBITDA, l’indicatore di performance che, negli ultimi tempi, ha avuto più successo nell’hit parade di imprenditori e dirigenti.

 

Quarant’anni fa si parlava di EBIT, o di risultato operativo. A partire dagli anni Novanta, si è finito per parlare sempre più di EBITDA. EBITDA è l’acronimo di Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization (utili prima di interessi, imposte, ammortamenti dei beni materiali e ammortamenti dei beni immateriali). Rispetto all’EBIT, non considera il valore degli ammortamenti.

 

Ma la vera ragione che ha favorito il successo dell’EBITDA non è il fatto che escluda gli ammortamenti. La ragione è che l’EBITDA è diventato il parametro più usato nella valutazione delle aziende, soprattutto nell’ambito dei processi di cessione e acquisizione.

 

Quarant’anni fa, molte aziende venivano valutate e vendute in base all’utile netto: molti imprenditori ricordano di aver venduto la loro azienda in base a una valutazione pari a 10 volte l’utile netto. Da più di cent’anni, una delle formule più note nel mondo della finanza è quella che lega il prezzo dell’azione agli utili per azione: Prezzo dell’azione = Rapporto P/E x Utili per azione.

 

Una formula simile si usa oggi per valutare le aziende in base all’EBITDA: Valore dell’azienda = Moltiplicatore dell’EBITDA x EBITDA.

 

Molti imprenditori si interrogano su quale sia il valore del moltiplicatore del loro settore, o della loro azienda, quasi fosse un numero magico. I più informati accedono alle banche dati (per esempio quella di Damodaran) e vedono che il moltiplicatore del settore dell’acciaio è inferiore al moltiplicatore del settore alimentare che, a sua volta, è inferiore al moltiplicatore del settore del software. Spesso si chiedono il perché delle differenze.

 

Il moltiplicatore racchiude tutto quanto è importante per il valore dell’azienda in un numero solo: le prospettive di crescita, il rischio, il fabbisogno di capitale e, non ultimo, la forza contrattuale delle parti. Nello stesso tempo, il metodo si basa su dati reali: partendo dai dati di EBITDA e di valore di aziende paragonabili (registrati in borsa o nelle operazioni di acquisizione) il moltiplicatore è calcolato a ritroso, dividendo il valore per l’EBITDA. Non è una formula magica, ma è una formula chiara. Molti imprenditori e dirigenti la capiscono e riescono a condividerla con i propri collaboratori.

 

Ed è proprio questo il punto fondamentale: invece di puntare alla crescita per la crescita, fare dell’EBITDA e del valore dell’azienda il common language di imprenditori, dirigenti e collaboratori di ogni livello. L’elemento fondamentale nella definizione degli obiettivi, dell’orientamento delle decisioni e, non ultimo, della valutazione delle performance e della remunerazione dei collaboratori.

 

Quando un’azienda riesce in questo, è il modo di lavorare che cambia ed è il rinnovamento nel metodo di lavoro che porta con sé il cambiamento dei risultati. Dal direttore generale agli altri dirigenti e da questi ai loro collaboratori gli obiettivi vengono identificati e assegnati in modo coerente. Le persone non hanno più interesse a proporre il lancio di un nuovo prodotto o l’apertura di una filiale commerciale se non riescono ad associare a queste iniziative un aumento dell’EBITDA e del valore dell’azienda. Ma non solo. Le persone sanno dall’inizio dell’anno come saranno misurate e da cosa dipenderanno i loro bonus. Infine – ed è quel che più conta – il sistema di obiettivi della direzione è allineato agli obiettivi della proprietà.

 

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