
- Data inizio
- Durata
- Formato
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- 5 Mag 2025
- 9 giorni
- Class
- Italiano
Affrontare le sfide attuali della funzione HR a 360 gradi, grazie a strumenti metodologici per attrarre, scegliere e trattenere in azienda i migliori talenti.
I termini «supply chain risk management» e «resilient supply chain» sono quanto mai di moda in queste settimane. Che le aziende avessero o no piani di risk management, di business continuity o anche solo dei contingency plan per minimizzare l’impatto di eventi esterni sul proprio business – come l’attuale pandemia – è certo che nei prossimi mesi nell’agenda degli operation e dei Supply Chain Manager ci sarà la necessità di un ripensamento della supply chain.
All’interno di un’organizzazione possiamo classificare i rischi in tre gruppi: interni, di supply chain ed esterni.
I rischi interni all’azienda possono essere a loro volta suddivisi in rischi legati alle operation e rischi legati alle decisioni di management. I rischi legati alla supply chain sono quelli derivanti dalle relazioni con i partner commerciali e anch’essi sono suddivisibili in rischi legati ai fornitori o ai clienti. Infine, ci sono i rischi esterni (eventi naturali, pandemie, politiche dei dazi, cambi legislativi o regolatori ecc.) per i quali la singola azienda non ha potere nel mitigarne la probabilità di accadimento, ma sicuramente può attivare delle leve per minimizzarne l’impatto.
Quello che stiamo vivendo in queste settimane è sicuramente un fenomeno esterno all’azienda che ha e avrà ripercussioni ingenti sia sulla supply chain sia sulle attività interne. Tuttavia, se le aziende risponderanno di cautelarsi limitandosi al fenomeno contingente, senza cioè ripensare a fondo alla propria supply chain, ai processi gestionali e ai sistemi a supporto in logica risk-agnostic, allora non faremo tesoro dell’esperienza vissuta. Il problema, drammatico, è la pandemia, ma domani potrà essere un terremoto, dopodomani l’imposizione di dazi, e dopodomani ancora il costo del petrolio a 100 euro al barile. Quindi le supply chain aziendali devono avere caratteristiche di resilienza a prescindere dal fenomeno da fronteggiare. In sintesi, potremmo dire che per avere supply chain resilienti, gli obiettivi da ricercare sono sostanzialmente due: visibilità e agilità. Che però purtroppo vanno bilanciati con un terzo obiettivo che è e rimarrà l’economicità. Spesso ci si dimentica infatti che per raggiungere i primi due c’è un costo da sostenere. È facile dire che si devono conoscere tutti i propri fornitori, di primo, secondo e terzo livello: ma questo ha un costo.
Ripensare la supply chain per aumentare la visibilità e diventare più agili, a mio giudizio significa agire in maniera sinergica nelle seguenti 4 aree: supply chain design, supply chain planning & control, supplier relationship management e distribution channel & assortment planning. È molto probabile che alcune delle azioni sotto esposte fossero già nell’agenda delle aziende e dei manager, ma ritengo che l’emergenza coronavirus fungerà da acceleratore.
Per quanto riguarda la supply chain design, in primo luogo sarà fondamentale ripensare il network di fornitura in termini di localizzazione di plant e fornitori. Le aziende devono domandarsi come bilanciare fornitori locali, regionali e globali per essere più agili e aumentare la visibilità dei processi a monte. In secondo luogo, vanno ripensate le scelte di make or buy, o forse dovremmo dire di make and/or buy, identificando le attività, i processi produttivi, i componenti da realizzare all’interno, all’esterno (e in tal caso minimizzare le situazioni di single sourcing) o sia all’interno sia all’esterno dell’impresa per non perderne il know how su prodotti, materiali, tecnologie critiche. Infine, è importante rivedere il network distributivo e la strategia logistica in termini di numero, ruolo, localizzazione dei magazzini e dei servizi di trasporto e consegna al cliente, pensando che il mix di domanda relativa ai prodotti, ma soprattutto ai mercati e ai canali di vendita, potrebbe cambiare pesantemente rispetto a quello sin qui conosciuto.
Passando al supply chain planning & control, andranno introdotti o rivisti i processi di Sales & Operations Planning (S&OP) e dei relativi sistemi a supporto. Le grandi aziende di molti settori B2C (per esempio food & beverage, automotive, pharma, elettronica di consumo, elettrodomestico) hanno già investito nel tempo in tali processi, ma in altri settori B2C (per esempio il fashion), in quasi tutti i settori B2B e in generale nelle aziende industriali di medie dimensioni sono ancora sostanzialmente inesistenti. I manager troppo spesso sono concentrati a pianificare cosa succederà la settimana prossima e a spendere tempo nel trouble shooting e più raramente dedicano tempo a capire la big picture nel medio termine. È dunque necessario che tali processi diventino strategici evolvendo verso un concetto di Integrated Business Planning (IBP) e includendo nei processi di pianificazione due aspetti ulteriori: la vista economica e finanziaria dei piani di supply chain e il passaggio da un concetto di one number a uno di scenario planning che permetta una valutazione molto rapida dell’impatto di diversi scenari sulla supply chain. Inoltre, sarà indispensabile procedere a una revisione delle logiche di stock management secondo due direttrici: da un lato utilizzando sistemi di auto-adattamento dei livelli scorta lungo la supply chain (con ricalcolo veloce e molto più frequente dei parametri di pianificazione dei prodotti finiti, dei componenti e delle materie prima), dall’altro introducendo concetti relativi alla definizione di scorte strategiche, cioè legate al rischio e non a parametri operativi.
Emerge anche l’opportunità di passare a un sistema di logiche collaborative sia verticali, cioè a monte con i propri fornitori e a valle con i propri clienti, sia orizzontale, cioè con aziende del proprio settore all’interno dei propri distretti. Infine, è necessario introdurre una supply chain control tower per avere visibilità lungo la supply chain in ottica end-to-end. La capacità di ripianificare rapidamente la propria supply chain passa inevitabilmente dalla presenza di sensori che permettano di tenere sotto controllo il flusso dei materiali e dei prodotti in maniera veloce e affidabile.
Passando ora al supplier relationship management, sono quattro i punti su cui le organizzazioni devono porre attenzione. Il primo riguarda l’irrobustimento dei processi di qualifica, auditing e vendor rating dei fornitori. Alcune variabili come la localizzazione, la robustezza finanziaria, la responsabilità ambientale e sociale, la competenza del management, la propensione alla collaborazione e/o all’innovazione, non possono essere ridotte solo a una valutazione di costo, servizio e qualità. Probabilmente da un lato si diventerà più stringenti nella valutazione e qualifica dei fornitori, ma dall’altro si stringeranno rapporti di trust di lungo periodo. Il secondo riguarda l’aumento della visibilità lungo la filiera non solo dei fornitori di primo livello ma anche di quelli di secondo e terzo per minimizzare non solo il rischio di disruption ma anche i rischi ambientali, sociali, di sicurezza ecc. Il terzo punto e il quarto punto riguardano, da un lato, la revisione delle logiche e dei termini contrattuali (in ottica di giusto trade off tra bisogno di copertura e flessibilità), dall’altro di utilizzo di strumenti di Supply Chain Finance, cioè di soluzioni che consentono all’azienda di finanziare il proprio capitale circolante.
Per quanto riguarda il distribution channel & assortment planning è innegabile come la velocità di affiancamento del canale e-commerce ai canali tradizionali abbia ricevuto un’accelerazione dall’attuale emergenza. Questo richiederà di ripensare ai processi logistici di warehousing e transportation valutando il giusto grado di convergenza e il giusto trade off tra costo e servizio. infine, per quanto riguarda il portafoglio prodotti, si innescheranno probabilmente processi di semplificazione dell’assortimento che porteranno a dover ripensare alla supply chain sia in termini di design che di planning.
In conclusione, il coronavirus ci deve costringere a ripensare la supply chain in un’ottica molto più strategica. Per fare questo è immaginabile un percorso in tre fasi. Innanzitutto, è necessario sposare (condividere e interiorizzare) questo approccio a livello di vertice aziendale e declinarlo rispetto alle specificità del proprio settore e soprattutto della propria azienda. Poi, come in tutti i processi di cambiamento, è necessario fare un assessment differenziale rispetto al modello esistente e definire un percorso di cambiamento. Infine, bisogna passare all’azione con un approccio di progressivo consolidamento sistemando uno alla volta i singoli tasselli del mosaico, perché l’agilità non è solo un obiettivo da raggiungere ma deve essere sempre presente nel percorso di cambiamento.
Per fare questo servono competenze (interne ed esterne), sistemi e tecnologie abilitanti. La domanda è: le aziende avranno la capacità e il coraggio di investire tempo e soldi in questo cambiamento?