Sotto la lente

Più facile innovare, più difficile vincere

Le notizie che leggiamo quotidianamente sui giornali ci ricordano come l’era dell’iper-connessione renda i destini di qualunque business quanto mai incerti, sia dal punto di vista competitivo sia tecnologico e normativo. È un’era particolarmente turbolenta, fatta di aziende che dal nulla scardinano settori consolidati e infiammano le Borse, per tornano spesso a essere irrilevanti, più o meno rapidamente. In alcuni casi, emergono giganti apparentemente inarrestabili, che espandono il loro dominio in un numero crescente di mercati.

 

Un mondo iper-connesso, in generale, crea condizioni che facilitano l’avvento di nuove intraprese: (1) si pensi alla maggior scalabilità dei business digitali e alle loro strategie liquide; (2) alle minori barriere di accesso al mercato in termini di canali distributivi; (3) al minor fabbisogno di capitali per modelli tipicamente «asset light», unito, tra l’altro, (4) alla maggior facilità di accesso ai finanziamenti, nonché, con riferimento alle sfide della brand awareness, si pensi (5) alla rapidità fulminea del passaparola online per un’idea vincente nell’era dei social media. Si aggiunga, soprattutto per gli utenti più giovani, (6) una scarsa inerzia comportamentale, ovvero un’elevata propensione del mercato a sperimentare sempre cose nuove, nuove app, nuovi social media e così via.

 

È un tratto comportamentale cosiddetto di «novelty seeking», che, insieme al «variety seeking», genera appunto economie di varietà sul lato della domanda, e opportunità continue e sempre nuove sul lato dell’offerta.

 

Per questi stessi fattori, tuttavia, la difesa delle posizioni competitive può risultare più complessa, anche per chi è orientato all’innovazione continua. Questo è vero essenzialmente per due motivi, che hanno radici comuni, ma implicazioni distinte. In primo luogo, perché la rivoluzione successiva alla mia potrà arrivare più rapidamente che in passato, in quanto il paradigma digitale ne facilita l’avvento, appunto, aumentando così il cosiddetto «clock-speed» dei cicli competitivi. Da questo punto di vista, per esempio, si pensi a come la rivoluzione di Yahoo! sia stata rapidamente vanificata da quella successiva di Google; o, per il segmento dei giovanissimi, a come TikTok, dalla sera alla mattina, abbia soppiantato le piattaforme di Mark Zuckerberg, artefice e icona della precedente rivoluzione dei social media.

 

Il secondo motivo che incrementa la vulnerabilità delle posizioni competitive è ancora legato alle sei condizioni di cui sopra: in un mondo iper-connesso queste rendono più facile anche l’imitazione del first mover. A titolo esemplificativo, si pensi alle vicissitudini di Uber o eBay in Cina: nel giro di qualche anno, i due innovatori americani hanno dovuto cedere il passo agli imitatori locali, rispettivamente Didi e Taobao. Questo ci ricorda, tra l’altro, come il vantaggio delle economie di rete nell’economia digitale sia talvolta mal compreso e sovrastimato, in particolare quando l’utente può avere accesso a più piattaforme contemporaneamente, come succede per esempio per il food delivery o il car sharing.

 

Ciò non significa, naturalmente, che siano scomparsi i vantaggi di prima mossa. Al contrario, alcuni incumbent (pochi) possono godere di benefici superiori al passato, se coesistono però ulteriori condizioni. In particolare, per quanto detto prima, i costi di un utente per accedere a più ecosistemi non devono essere bassi: mentre è molto semplice essere utenti sia di Just Eat che di Deliveroo, è più oneroso possedere sia un cellulare dell’ecosistema iOS che Android. Le eventuali esternalità di rete, inoltre, devono impattare su aspetti core del valore, non semplicemente su dimensioni periferiche.

 

Analogo discorso può essere fatto per i vantaggi conferiti dai famosi dati, a volte ugualmente sovrastimati. Proviamo a chiarire con due esempi speculari. Da un lato immaginiamo un’azienda che utilizzi algoritmi di machine learning per aiutare i medici a interpretare meglio il risultato di esami diagnostici per immagini. Dall’altro un’azienda automobilistica che utilizzi i dati provenienti dalle proprie vetture per offrire ai propri clienti un servizio di previsioni del traffico. Nel primo caso, data la complessità dell’output, è difficile immaginare una soglia di dati storici oltre la quale non sia possibile migliorare ulteriormente la precisione dell’algoritmo, quanto meno nel medio periodo. Non solo: per un ospedale tale precisione sarà una componente essenziale per la scelta del fornitore, rappresentando il beneficio core per l’acquisto. In un simile contesto, le economie di apprendimento per il first mover offriranno un vantaggio cruciale, potendo incrementare sempre più il core value offerto.

 

Al contrario, tornando all’esempio della casa automobilistica, possiamo ragionevolmente ipotizzare che un certo numero di vetture circolanti in una città sarà sufficiente per generare previsioni adeguate sul traffico. Al di sotto di quel numero, il mio output sarà sempre meno accurato, ma oltre quella soglia il valore marginale di un dato in più sarebbe trascurabile, poiché non aggiungerebbe precisione utile al mio servizio. Questo renderebbe molto meno difendibile il vantaggio del first mover, ovvero renderebbe l’innovazione più facile da imitare. Non solo: per quanto un simile optional possa impreziosire la mia value proposition, ai fini della scelta di un’auto potrà difficilmente compensare eventuali svantaggi sostanziali che dovessi avere nelle componenti core dell’offerta.

 

Come si evince da questi esempi, dunque, i modelli data-driven possono conferire un durevole vantaggio di prima mossa se il beneficio marginale del dato non decresce troppo rapidamente. Diversamente, infatti, il vantaggio dell’innovatore tenderebbe ad appiattirsi in fretta, rendendo – da un certo punto in poi – più semplice l’imitazione e la parità competitiva: la bontà degli output forniti degli algoritmi, infatti, tenderebbe a convergere in poco tempo.

 

In presenza di tutte le condizioni ricordate sopra, ecco che le economie di scala, di scopo e di apprendimento del leader divengono realmente impressionanti, consolidando nel tempo le posizioni dominanti. Non solo: poiché il valore delle capacità analitiche e predittive, delle infrastrutture digitali, della base clienti e della fiducia nel brand è trasversale, ovvero trascende i tradizionali confini settoriali (la cosiddetta «replicabilità del vantaggio competitivo»), ciò spalancherà le porte all’espansione inesorabile in molti altri ambiti, alimentando ulteriormente gli effetti di scala, scopo e apprendimento.

 

Di tutte queste logiche, naturalmente, i manager di oggi devono avere piena consapevolezza. Per quanto appena ricordato, però, è altrettanto importante che ai ragionamenti sulle dinamiche competitive si affianchino anche quelli per un’adeguata regolamentazione della concorrenza, affinché i mercati restino sempre contendibili.

 

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