Il Meglio del Piccolo

Siete o non siete capitani d'impresa?

 

Proprietario, imprenditore, manager, esecutore. Sembrerebbe una distinzione banale ma, purtroppo, così non è. La realtà presenta spesso casi in cui, anche in buona fede, questi concetti sono stati mescolati. Ciò porta inevitabilmente a situazioni difficili da risolvere soprattutto quando la confusione di ruoli riguarda i titolari e i dipendenti di una piccola impresa familiare.

Vado diretta al punto, provando a dare una definizione chiara dei quattro ruoli.

 

Chi è il proprietario o il titolare? Molto semplice: colui o colei che detiene parte o tutto il capitale sociale di una azienda. Può essere arrivato a possederlo essendone il fondatore oppure avendolo acquistato da terzi o ricevuto come donazione in quanto figlio o erede dei proprietari. Se l’azienda fosse una barca - passatemi l’analogia per amanti della vela - sarebbe l’armatore. Il suo ruolo è prettamente di gestione del suo investimento, di buona manutenzione e sviluppo del valore della società e di godimento degli utili da essa generati e parzialmente distribuiti sotto forma di dividendi.

 

Molto molto diversa da quella del titolare è la figura dell’imprenditore. In questa fattispecie stiamo parlando del capitano dell’imbarcazione, di chi sta al timone e decide dove andare avendo la capacità di visione, di lettura dei fenomeni circostanti, dalle stelle ai venti, ad ampio raggio; ci riferiamo a chi ha il coraggio di stare in mare anche quando c’è burrasca durante una traversata transoceanica, esercitando soprattutto in quei momenti il suo carisma sull’equipaggio, dal primo all’ultimo, dagli ufficiali ai mozzi, trasmettendo loro “la nostalgia del mare infinito”, la febbre contagiosa del coinvolgimento. Capite quale stoffa deve avere l’imprenditore/capitano?

 

Chi è allora il manager rispetto all’imprenditore? E’ un dipendente che, adeguatamente retribuito, deve supportare l’imprenditore nella messa a terra della sua strategia. Deve tradurre la visione in fatti e risultati coerenti. E’ un sottoufficiale, è il tenente di vascello che - anche grazie agli studi in accademia navale - ha le competenze e il metodo per disegnare la rotta, sa impostare e leggere gli strumenti di navigazione, sa gestire le unità minori ovvero le squadre di marinai e addetti alle diverse operazioni sull’imbarcazione per arrivare nei tempi previsti alla meta stabilita dal capitano con una certo grado di libertà sull’andatura da scegliere. Capacità di usare gli strumenti, di impostare e seguire un metodo analitico basato su informazioni oggettive, di fare ordine attraverso programmi e procedure formalizzate, di gestire attraverso la delega ricevuta dall’imprenditore le persone assegnate alla sua funzione, di decidere come fare a raggiungere gli obiettivi in un regime di “libertà vigilata”. Ecco chi è il manager. Lo è anche quando, a partire dal suo osservatorio specifico, è in grado di suggerire quei cambiamenti strategici che poi l'imprenditore potrà decidere di recepire facendo sintesi.

 

Arriviamo infine (e in ordine gerarchico) all’esecutore: colui che fa, che traduce in pratica le indicazioni che gli arrivano da chi, sopra di lui, decide. Può essere più o meno bravo e motivato ma non definisce la rotta, non prende decisioni strategiche, rappresenta l’anello finale della loro attuazione. Potrebbe essere il più valido marinaio all’ancora o il migliore a riparare le avarie negli impianti ma non sarebbe in grado di salire sul ponte di comando e definire dove andare. E’ uno specialista nell’esecuzione, un maestro del fare, non un gestore. Né imprenditore, né manager.

 

Da dove nasce la confusione tra ruoli così diversi?  Dal fatto che spesso un fondatore che sviluppa la sua piccola impresa da zero è contemporaneamente proprietario imprenditore, manager e talvolta persino esecutore delle sue stesse idee. Si è costruito la barca, decide verso quali lidi condurla, sceglie la rotta e l’andatura, timona, issa le vele, getta l’ancora, si ferma in rada e riparte quando vuole. Soffre e gode per mare sulla sua imbarcazione: è la sua vita.

 

Un netto riconoscimento dei ruoli è fondamentale per non cadere in pericolosi errori di attribuzione. Tra i più diffusi quello di pensare che un figlio coinvolto a livello proprietario o un erede siano automaticamente capaci di assumere il ruolo imprenditoriale. Oppure quello di ritenere che un giovane successore, formato nelle migliori business school (che sono scuole dove tipicamente si insegna la managerialità), sia in grado di avere visione del capitano, di rischiare in proprio e di motivare l’equipaggio. Più infrequente, ma altrettanto azzardato, trasferire ai propri dipendenti parte del capitale sociale per coinvolgerli, pretendendo da loro che, una volta diventati soci, siano in grado di esercitare in modo professionale il ruolo degli azionisti e di contribuire nelle scelte e nelle idee strategiche con l’inventiva peculiare di un imprenditore.

Guardate bene in faccia i vostri familiari o i vostri collaboratori. Oltre a decidere se lasciare loro la proprietà o meno, valutate attentamente se hanno la stoffa del capitano, il metodo del tenente oppure se in loro prevale la maestria operativa del marinaio e poi agite di conseguenza.

Mi raccomando. Per mare non si scherza ma nemmeno in azienda.

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