Il Meglio del Piccolo

Piccola impresa, indicativo futuro

Oggi vi parlo di un libro che mi ha dato conferme ma anche nuovi spunti per proseguire con ulteriore slancio nella mia “opera” di sostegno alle piccole imprese. Non voglio fare una recensione quanto piuttosto condividere la proposta contenuta in questo saggio di Cesare Fumagalli con Michela Fumagalli dal titolo eloquente: “Piccola impresa, indicativo futuro”.

 

L’occhio fine, l’equilibrio e la conoscenza di Cesare Fumagalli - persona che ha frequentato per moltissimi anni il variegato universo delle imprese di minori dimensioni sia in Italia che a livello europeo - sono quanto mai utili per riflettere e decidere una volta per tutte da che parte stare. Dalla parte di coloro che con scetticismo si domandano se esisterà un futuro per la piccola impresa in Italia o dal lato di chi ritiene con convinzione che sarà proprio la piccola impresa a dare un futuro all’Italia? E’ questa la fondamentale provocazione, rispetto alla quale, l’autore non esita a prendere posizione.

 

La tesi sostenuta da Cesare (mi permetto di chiamarlo così avendo avuto l’occasione e la fortuna di lavorare per qualche anno con lui nel progetto Confartigianato Academy) è quella che il modello italiano di imprenditorialità diffusa rappresenti non solo un degno passato ma possa essere il punto di forza sul quale fare leva per garantire vigore anche negli anni a venire al nostro sistema economico. 

 

Ma andiamo con ordine. Cosa dire del passato e del presente della piccola impresa?

 

Che questo modello abbia avuto in Italia un ruolo centrale sembra essere una evidenza innegabile. L’autore lo spiega molto bene e ci ricorda che: “Siamo la seconda manifattura d’Europa e siamo uno dei cinque paesi al mondo che ricavano il maggior saldo netto tra import ed export nel settore manifatturiero”. Essendo la nostra struttura produttiva per il 95 per cento composta da aziende sotto i 10 dipendenti, la logica vorrebbe che ci fosse una immediata attribuzione di quei risultati al mondo delle imprese minori. Se uno più uno facesse due…ma torneremo più avanti sul tema delle misurazioni.

Altrettanto evidente dovrebbe essere la convinzione che la piccola dimensione non sia di per sé un limite a produrre qualità, bellezza o innovazione. Tutte idee già sostenute in altre sedi e riprese da Fumagalli citando una serie di casi reali, dimostrando per l’ennesima volta la forza delle imprese a “valore artigiano” e di quell’“intelligenza del polpastrello” tipica ed esclusiva del saper fare italiano. Un modello che - diffuso in modo pulviscolare - permette in aggiunta di affermare che la provincia italiana (quella dei piccoli centri ove con più frequenza si insediano le piccole imprese) non possa essere nemmeno lontanamente paragonata alle periferie degradate delle grandi metropoli. Anzi. Esattamente il contrario. Eppure - come sottolinea l’autore - questi dati di realtà vengono sistematicamente disconosciuti e negati dal pensiero dominante espresso dalle istituzioni avverse alle piccole imprese e favorevoli solo al mantra della crescita dimensionale. 

Ora veniamo al futuro.

 

Rilevata l’assoluta mancanza di riconoscimento della parte “alta” della società verso il fenomeno piccola impresa, Fumagalli non si limita ad evidenziare le numerose positività presenti nel modello ma si spinge più in là nel tentativo di mostrare anche la sua tenuta futura.  

 

Questa la sua previsione.

 

Le piccole imprese non debbono essere considerate limitate in quanto mancanti di ormoni della crescita ma andranno sempre più concepite come una specie a sé che, proprio nella ridotta dimensione, trova una caratteristica favorevole a rispondere ai bisogni del consumatore dell’era post-pandemica, attento come non mai alla propria salute, alla qualità e alla durata dei beni che compra, alla loro manutenzione e riutilizzo. Nell’epoca della sostenibilità, afferma Fumagalli, le piccole imprese italiane ne sono le migliori interpreti. Lo sono da un punto di vista strettamente economico: se non fosse così - prive come sono di aiuti gratuiti dal sistema - sparirebbero dal mercato estinguendosi in poco tempo. Lo sono socialmente essendo la culla dell’integrazione sociale, nonché mezzo di ridistribuzione di ricchezza e di sviluppo dei territori minori. Lo sono e lo saranno sempre più anche dal lato della sostenibilità ambientale. Piccoli volumi di prodotti di altissima qualità si oppongono ad un’offerta insensata di grandi quantità di beni usa e getta espressione di una mentalità iper-consumistica che pone seri interrogativi sul tema della conservazione e della tutela ambientale. 

Proprio per queste sue peculiarità la piccola impresa “può traghettarci in un futuro dove il suo DNA si può esprimere in modo nuovo per rispondere al meglio alle variate condizioni ambientali”, può essere, per come è fatta, perfettamente coerente alle mutate esigenze del mercato.

 

Cosa manca allora perchè queste aziende vengano viste come leve ad alto potenziale per il futuro del nostro sistema economico? Perché non si riesce ancora a coglierne il vero valore?

 

 

ll Pil misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta

Fumagalli, citando un bellissimo discorso di Bob Kennedy, svela l’inganno. Esso consiste nei criteri di misurazione che i patiti della crescita dimensionale hanno utilizzato negli ultimi 30 anni: solo indici di produttività e affini.

Un modello di sviluppo originale come il nostro - per il quale la piccola dimensione è requisito strategico - dovrebbe essere valutato secondo canoni ad hoc come quello della sua capacità di soddisfare consumatori che vogliono cose fatte a “regola d’arte”, di garantire sostegno alle filiere internazionali guidate dai grandi gruppi o di produrre benessere sociale e territoriale e non solo sull’incremento del Pil. Le valutazioni economiche standard non potranno mai rendere giustizia al fenomeno piccola impresa perché: “Il Pil non misura né il coraggio, né l’arguzia, né la conoscenza…….Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.

E’ giunto il tempo di riconoscerlo e questo libro, vivaddio, lo fa.

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