Il Meglio del Piccolo

Italian Innovators

 

Accadono, a volte, cose simpatiche sui social. Poco tempo fa mi è capitato di essere contattata da una persona con un profilo particolare: Luca Cottini. E’ un Professore Associato di Italianistica che lavora in una università americana, laureato in Lettere Moderne a Milano, con un dottorato di ricerca ad Harvard. E’ un filologo e uno storico ma è anche il creatore di un canale you tube dedicato agli innovatori italiani. Con i suoi interventi e le sue interviste sul suo sito (www.italianinnovators.com), questo studioso, si è dato l’obiettivo di far conoscere le radici storiche del “Made in Italy” agli americani, di divulgare le origini di quel “modello” italiano che si esprime con successo in migliaia di prodotti e marchi molto apprezzati oltreoceano. Insomma un letterato che si è messo in testa di far capire agli americani cosa c’è dietro le quinte di quello stile di vita che tanto li attrae, spiegando loro che non si è creato per caso, come si potrebbe superficialmente pensare. Un ricercatore, che scendendo dal piedestallo dell’accademia, ha deciso di raccontare alla nazione che ha mandato l’uomo sulla luna, la potenza dell’innovazione italiana passando necessariamente attraverso gli imprenditori che ne sono i primi artefici.

Inutile dirvi che nella lunghissima chiacchierata a distanza che ho avuto con lui ho trovato molte affinità pur nella diversità di visuale e linguaggio. Vi riporto fedelmente quello che ci siamo detti. Luca ha risposto a domande sulle PMI che avevo in testa da una vita. Mi ha dato le spiegazioni che cercavo, quelle che potevano venire solo da una prospettiva culturale lontana dal management come la sua, in grado di introdurre quella distanza che permette di vedere in un quadro un capolavoro.

Geppetto è l'archetipo dell'innovatore italiano

Il tuo canale you tube è dedicato agli innovatori italiani. E’ lì che ricostruisci con dovizia di particolari la genialità di molti di loro: dal Caproni degli aerei al Bialetti della mitica caffettiera passando per il Bianchi delle omonime biciclette. Raccontami cosa hai capito scavando nelle esistenze avventurose di molti di loro. Da dove nasce la capacità di innovazione degli imprenditori italiani e cosa la rende unica nel suo genere?

 

Nel modello italiano, innovare non è una ricerca della novità per la novità, o uno spazio di mero miglioramento tecnico. Innovare in Italia coincide con il gesto creativo di stabilire un legame tra un prodotto e il suo immaginario. In questo senso, l’innovazione all’italiana consiste nella capacità di vedere il prodotto come un centro di relazioni significative, nella tensione a collocare oggetti e servizi dentro uno spazio olistico, nella costruzione di un ambiente ibrido dove il materiale incontri il culturale. L’archetipo dell’innovatore italiano è dunque Geppetto, per la sua capacità di immaginare il vivente dentro la materia, di pensare al limite come risorsa creativa, e di trasformare un oggetto in protagonista. Gli ambienti che nutrono un tale approccio sono la piazza, come luogo di presentazione e scambio di identità e idee; la corte, come spazio di esibizione e comunicazione non verbale di oggetti, abiti e mode; il teatro dell’opera, come sintesi multidisciplinare di linguaggi e camera di risonanza emozionale; e la fabbrica, come luogo di costruzione corale e incrocio operativo di sfere (materiali, culturali, spirituali). In rapporto a questo contesto, il prodotto industriale italiano incarna perciò un’idea di innovazione come spazio di semplicità complessa, di interazione emozionale, di relazione corale, e una tensione inesausta a trasformare un oggetto in un mondo, in uno stile di vita.

small is big 

Hai ragione. Dobbiamo rileggere Collodi e nobilitare Geppetto per la sua capacità di tirar fuori da un pezzo di legno un essere vivente, di generare significato da risorse scarse, abilità che ritroviamo alla base di molte storie imprenditoriali di successo.

Proviamo a fare un passo in più su questo tema. In aula spiego che per fare innovazione conviene concentrarsi. Cerco sempre di chiarire agli imprenditori che mi seguono che, per essere forti, per eccellere devono specializzarsi, si può allargare la gamma di prodotti e servizi offerti ma andando in profondità. Senza distrazioni. Come possiamo essere convincenti sulla bontà di questa scelta? Ci sono dei fondamenti storici o culturali alla base delle strategie di specializzazione o di differenziazione?

 

Le radici remote sono da ricercare nell’immaginario letterario e visuale. In ambito letterario, Petrarca e Dante offrono due archetipi significativi. Per Petrarca, creare valore coincide con la qualità estrema dell’ingrediente, nel suo caso la lingua poetica, ottenuta attraverso un lungo perfezionamento. Il monolinguismo di Petrarca trova riscontro per citare dei casi aziendali nell’ossessione e distinzione qualitativa dello stile intrecciato di Bottega Veneta, delle viti Brugola, dei freni Brembo, dei tacchi a spillo Casadei, o se vogliamo nel modello Parmigiano Reggiano.

Per Dante, creare valore nasce invece dal disegno di una sintesi, dalla costruzione di una polifonia coerente da materiali eterogenei, dalla traduzione di un tema in voci molteplici. Il disegno creativo produce un’esecuzione sempre unica e il moltiplicarsi dei significati di un oggetto, come nel caso di Campari, che trasforma un drink in una piattaforma di architettura, fotografia e cinema, o di Olivetti che costruisce sulle macchine da scrivere un’avanguardia del design e una comunità politica. In ambito visuale, i modelli rinascimentali di Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci offrono due ulteriori riferimenti. Nel sistema di Alberti, teorico della prospettiva, la qualità di un oggetto è legata al suo punto di fuga, al suo appartenere non a se stesso ma a un mondo più esteso. Nel lavoro di Leonardo, il design si esprime allo stesso tempo come disegno e progettualità, come un fare sia pratico che poetico. Qualità e design definiscono non solo il DNA del saper fare italiano ma anche il suo tratto competitivo. Nella cultura delle signorie, le commissioni di qualità e il raffinarsi delle competenze erano una maniera per esprimere la competizione e distinzione di città che si pensavano come capitali. Nella prima industrializzazione di fine ‘800, qualità e design diventano espressione di una tensione a superare la serializzazione, di un posizionamento strategico che compensi il ritardo italiano.

 

Intrigante, anche se non facile da digerire immediatamente per gente d’azienda, il tuo spunto di ritrovare nelle scelte strategiche di alcuni noti marchi del “Made in Italy”, come Brembo e Campari, la poetica di Petrarca o l’impianto poliedrico della Divina Commedia. Molto interessante anche la tua riflessione sulle signorie. Se, come tu affermi, è da allora che abbiamo iniziato a competere sul bello significa che è una abilità che abbiamo imparato e sperimentato da quasi mille anni. Che senso ha tradire una simile eredità recidendo radici culturali profonde che affondano nel Medioevo e poi più avanti nel Rinascimento?

Però Brembo o Campari non sono piccole imprese. Proviamo a declinare ora quello che hai detto al tema della dimensione. Perché, secondo te, non sarebbe conveniente per le nostre PMI una strategia basata sull’aumento dei volumi (crescita) e sulla minimizzazione dei costi (standardizzazione) invece che un orientamento strategico fondato su qualità, innovazione e servizio?

 

La tradizione di piccola e media manifattura è ancora il punto di forza del metodo italiano, che non cerca la serialità anonima della produzione di massa, ma aspira a creare prodotti irripetibili e duraturi, capaci di dare forma a emozioni, a stili di vita, a spazi di immaginazione. Qualità e design sono valori determinanti nel costruire l’autenticità, la genuinità, la distinzione del prodotto italiano che – a differenza del prodotto americano, democratico, funzionale e di larga distribuzione – è per sua natura invece limitato ed esclusivo. Dalla moda al lusso, dalle automobili agli yachts, l’Italia eccelle sulla piazza globale per il suo saper fare, che è un fare bene e con un significato, ma anche per il posizionamento nella fascia premium del mercato. In questo spazio d’elite, nella nicchia del lusso, less is more and small is big.

 

 

 

la voglia di affermazione oltre i condizionamenti è il cuore di ogni piccolo imprenditore

Small is big. Va ribadito: la vera qualità, che è cura e ossessione per i dettagli, si fa meglio nelle piccole dimensioni.

Ti faccio un’ultima domanda su questo tema, una domanda a cui solo uno storico può permettersi di rispondere. Come mai in Italia si è diffusa così tanto la piccola impresa? Quali sono le ragioni storiche della nostra imprenditorialità diffusa? Perché siamo un Paese di poeti, santi, navigatori e di ……. imprenditori?” 

 

L’essere stati per secoli terra di dominazione straniera ha sviluppato un senso imprenditoriale molto particolare, come forma di rivalsa attraverso gli oggetti e come tensione a esprimere un primato senza dirlo apertamente. La lingua italiana dei gesti si è sviluppata come codice per non farsi capire dai dominatori. Nello stesso modo, il gesto del fare è maturato come lingua autonoma e azione liberante, e l’impresa è diventata, anche letteralmente, sia manifattura che avventura epica. La storia di Vespucci, fiorentino (e non nativo da una città di mare) che ha solcato l’oceano, riassume la sfida a superare il proprio limite ed affermare un nuovo primato con il proprio gesto. Questa voglia di affermazione oltre i condizionamenti è il cuore di ogni piccolo imprenditore.

 

Ottimo Luca, fermiamoci qui. Non credo ci possa essere una conclusione migliore per la nostra conversazione e un migliore augurio per i nostri imprenditori. Guardate oltre il vostro limite idealmente come fece Vespucci e sentitevi sempre, in ogni campo, eredi di una cultura millenaria. Cercate di esportarla come elemento di originalità nei mercati di tutto il mondo, lasciate la vostra impronta da italiani. Amerigo, nonostante tutto, ci riuscì piuttosto bene…..

 

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