Il Meglio del Piccolo

In ricordo di Cesare Fumagalli

Carissimi,

questa settimana voglio ricordare Cesare Fumagalli, persona che, avendo operato per decenni nel mondo di Confartigianato, conosceva molto bene le piccole e micro imprese ed era in grado di identificare un futuro per queste realtà così peculiari del nostro capitalismo. Fu proprio Cesare, nel 2015, in un periodo di profonda ristrutturazione dei corsi in SDA per le PMI, a spronarmi per scrivere un libro sui giovani imprenditori e a collaborare alla progettazione di un percorso formativo per le micro imprese superando quella distanza che sembrava incolmabile tra il piccolo artigiano e il grande ateneo. Per questo stimolo intellettuale e operativo gli sarò sempre grata. Qui oggi voglio ricordare il suo pensiero fonte per me di preziosa ispirazione.

Economia a misura d'uomo

 

L’occhio fine, l’equilibrio e la conoscenza di Cesare Fumagalli - persona che ha frequentato per moltissimi anni il variegato universo delle imprese di minori dimensioni sia in Italia che a livello europeo - sono più che mai utili per riflettere e decidere una volta per tutte da che parte stare. Dalla parte di coloro che con scetticismo si domandano se esisterà un futuro per la piccola impresa in Italia o dal lato di chi ritiene con convinzione che sarà proprio la piccola impresa a dare un futuro all’Italia?

 

E’ questa la fondamentale provocazione, rispetto alla quale, Cesare Fumagalli nel suo ultimo libro “Piccola impresa: indicativo futuro” non ha esitato a prendere posizione. Per questo è importante, in ambito formativo e accademico,  ricordarlo.

 

La tesi che Fumagalli sosteneva è quella che il modello italiano di imprenditorialità diffusa rappresenti non solo un degno passato ma possa essere il punto di forza sul quale fare leva per garantire vigore anche negli anni a venire al nostro sistema economico. 

Ma andiamo con ordine. Cosa dire del passato e del presente della piccola impresa?

Che questo modello abbia avuto in Italia un ruolo centrale sembra essere una evidenza innegabile. Fumagalli spiegava molto bene ricordandoci che: “Siamo la seconda manifattura d’Europa e siamo uno dei cinque paesi al mondo che ricavano il maggior saldo netto tra import ed export nel settore manifatturiero”. Essendo la nostra struttura produttiva per il 95 per cento composta da aziende sotto i 10 dipendenti la logica vorrebbe che ci fosse una immediata attribuzione di quei risultati al mondo delle imprese minori. Se uno più uno facesse due…ma torneremo più avanti sul tema delle misurazioni.

Altrettanto evidente dovrebbe essere la convinzione che la piccola dimensione non sia di per sé un limite a fare qualità, bellezza o innovazione. Tutte idee già sostenute in altre sedi e riprese da Fumagalli citando una serie di casi reali, dimostrando per l’ennesima volta la forza delle imprese a “valore artigiano” e di quell’“intelligenza del polpastrello” tipica ed esclusiva del saper fare italiano. Un modello che - diffuso in modo pulviscolare - permette in aggiunta di affermare che la provincia italiana (quella dei piccoli centri ove con più frequenza si insediano le piccole imprese) non possa essere nemmeno lontanamente paragonata alle periferie degradate delle grandi metropoli. Anzi. Esattamente il contrario. Eppure - come sottolineava Cesare - questi dati di realtà vengono sistematicamente disconosciuti e negati dal pensiero dominante espresso dalle istituzioni avverse alle piccole imprese e favorevoli solo al mantra della crescita dimensionale. 

Ora veniamo al futuro.

Rilevata l’assoluta mancanza di riconoscimento della parte “alta” della società verso il fenomeno piccola impresa, Fumagalli non si limitava ad evidenziare le numerose positività presenti nel modello ma si spingeva più in là nel tentativo di mostrare anche la sua tenuta futura.  

Qui la novità e l'importanza della sua proposta.

Le piccole imprese non debbono essere considerate limitate in quanto mancanti di ormoni della crescita ma andranno sempre più concepite come una specie a sé che proprio nella ridotta dimensione trova una caratteristica favorevole a rispondere ai bisogni del consumatore dell’era post-pandemica, attento come non mai alla propria salute, alla qualità e alla durata dei beni che compra, alla loro manutenzione e riutilizzo.

 

Nell’epoca della sostenibilità, affermava Fumagalli, le piccole imprese italiane ne sono le migliori interpreti. Lo sono da un punto di vista strettamente economico: se non fosse così - prive come sono di aiuti gratuiti dal sistema - sparirebbero dal mercato estinguendosi in poco tempo. Lo sono socialmente essendo la culla dell’integrazione sociale, nonché mezzo di ridistribuzione di ricchezza e di sviluppo dei territori minori. Lo sono e lo saranno sempre più anche dal lato della sostenibilità ambientale. Piccoli volumi di prodotti di altissima qualità si oppongono ad un’offerta insensata di grandi quantità di beni usa e getta espressione di una mentalità iper-consumistica che pone seri interrogativi sul tema della conservazione e della tutela ambientale. 

Proprio per queste sue peculiarità la piccola impresa “può traghettarci in un futuro dove il suo DNA si può esprimere in modo nuovo per rispondere al meglio alle variate condizioni ambientali”, può essere, per come è fatta, perfettamente coerente alle mutate esigenze del mercato.

Cosa manca allora perché queste aziende vengano viste come leve ad alto potenziale per il futuro del nostro sistema economico? Perché non si riesce ancora a coglierne il vero valore?

Fumagalli, citando un bellissimo discorso di Bob Kennedy, ci aveva svelato l’inganno. Esso consiste nei criteri di misurazione che i patiti della crescita dimensionale hanno utilizzato negli ultimi 30 anni: solo indici di produttività e affini.

Un modello di sviluppo originale come il nostro - per il quale la piccola dimensione è requisito strategico - dovrebbe essere valutato secondo canoni ad hoc come quello della sua capacità di soddisfare consumatori educati alle cose fatte a “regola d’arte”, di garantire sostegno alle filiere internazionali guidate dai grandi gruppi o di produrre benessere sociale e territoriale e non solo sull’incremento del Pil. Quelle valutazioni standard non potranno mai rendere giustizia al fenomeno piccola impresa perché: “Il Pil non misura ne’ il coraggio, né l’arguzia, ne’ la conoscenza…….Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.

 

Cesare Fumagalli lo aveva capito perfettamente.

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