Il Meglio del Piccolo

Borsa e PMI: un binomio selettivo

La scorsa settimana nell’ambito di un evento formativo dedicato ai partecipanti del corso General Management per le PMI ho invitato un ospite insolito. Contrariamente a quanto faccio di consueto, ovvero organizzare testimonianze aziendali che possono essere d’ispirazione per il mio pubblico, ho aperto le porte ad un professionista che si occupa di quotazione sul mercato italiano dedicato alle aziende di minori dimensioni. Chi mi conosce sa bene che sto dalla parte dei piccoli imprenditori e non dei finanzieri. Credo però che valga sempre la pena confrontarsi con altre idee e altre prospettive anche per mettere alla prova i propri convincimenti. Così, assieme a una cinquantina di imprenditori, abbiamo dialogato con Dante Ravagnan, un esperto di mercati finanziari che ha seguito in prima persona oltre trenta quotazioni - IPO come si usa dire nel gergo di Piazza Affari.

La sessione ha funzionato molto bene perché, finalmente, abbiamo avuto contezza di questo fenomeno potendolo capire a tutto tondo nei suoi punti di forza e nei suoi lati deboli, senza forzature. Provo a sintetizzare e a riportare i contenuti più importanti che sono emersi l’altra sera a beneficio di chi non era presente.

Esiste un mercato azionario specifico per le PMI. Si chiama oggi EURONEXT GROWTH MILAN ed è nato nel 2009 col nome di MAC (Mercato Alternativo del Capitale) e successivamente AIM Italia. E’ il mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese ad alto potenziale di crescita.

I numeri di questo mercato stanno incrementando: rappresenta circa il 40% dell’intero listino di Piazza Affari per numero di società quotate, dal 2009 ha accolto 263 società e alla fine del 2022 contava 190 società (+9,2% rispetto al 2021).

 

Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Il trend di crescita è indubbio ma andrebbe letto e relativizzato anche rispetto al numero delle imprese familiari italiane: più di 5.500.000 micro imprese sotto i 2 milioni di euro e 160.000 PMI con fatturati inferiori ai 50 milioni di euro. In termini percentuali sul totale, le micro e le PMI quotate su questo specifico mercato sono ancora poche.

Perchè?

 

La risposta più ragionevole, oltre a quella classica che vede il nostro tessuto economico più “banco-centrico” e non aperto ai mercati finanziari, è che la quotazione non può essere per tutte le piccole imprese. Servono alcune condizioni di base. Con Dante Ravagnan, ne abbiamo individuate sei tra le principali.

 

  1. Occorre che la piccola impresa abbia un piano di crescita importante. L’elemento del voler crescere e la credibilità di tale strategia sono fondamentali, sono il vento portante. Senza questa intenzione (che deve essere ben spiegata ed argomentata) gli advisor e gli investitori non guarderanno con favore la quotazione.
  2. Occorre - questo secondo punto è strettamente collegato al primo – che alla guida dell’azienda ci sia un imprenditore che si identifica totalmente con l’idea di crescita, avendo le capacità per sostenerla e sopportare la rischiosità ad essa inevitabilmente connessa. Un titolare d’azienda più propenso alla conservazione, privo di un progetto di espansione del business o immerso in un settore in cui esso non è necessario o non vi sono le condizioni per farlo, non può essere un target interessante per il mercato azionario.
  3. Occorre che vi sia necessità di risorse economiche dall’esterno per sostenere l’idea imprenditoriale e realizzare il progetto di crescita. Se una PMI, con un fatturato intorno ai 10 milioni di euro, giusto per fare un esempio, avesse in cassa una cifra pari alla metà del suo fatturato, per ovvi motivi, non potrebbe rappresentare un riferimento ideale per la quotazione. E’ chiaramente una società piccola ma “ricchissima”, che esprime più una volontà di prudenza che di rischio, ma che anche qualora cambiasse atteggiamento, non avrebbe alcun bisogno di aprirsi a mezzi di terzi almeno per compiere le prime fasi di un eventuale processo di espansione.
  4. Occorre che l’imprenditore non sia solo al comando. L’impresa da lui guidata deve essere organizzata e funzionare anche attraverso una prima linea manageriale, possibilmente con un consiglio di amministrazione aperto a dei consiglieri esterni. Una squadra portatrice di competenze diverse, che supporta il titolare nel compimento della strategia, è un’altra delle condizioni necessarie, richiesta dagli investitori che non si fidano delle aziende centrate sul singolo, troppo personalizzate e con un limitato ricorso alla delega. La quotazione non è per le aziende “a pettine” dove l’imprenditore comanda e i collaboratori eseguono.
  5. Collegato al requisito di cui sopra è la presenza di un sistema di controllo di gestione ben funzionante. Una piccola impresa, scarsamente managerializzata e priva di una figura evoluta di responsabile di amministrazione, finanza e controllo, rischia di non essere in grado di pianificare, monitorare e controllare i risultati nelle diverse aree in cui essi si generano. Non può piacere agli azionisti esterni: fa paura perché non è prevedibile e leggibile in modo oggettivo e trasparente.
  6. Il sesto requisito riguarda la disponibilità e la capacità di comunicare verso l’esterno alla comunità finanziaria e agli azionisti. Si tratta di un’attività che non viene comunemente svolta dalle piccole imprese ma che diventa cruciale. La quotazione richiede obbligatoriamente un continuo flusso di informazioni verso l’esterno (report e bilanci certificati ma non solo), tutte informazioni che vanno strutturate in modo adeguato poiché da essere dipendono in buona misura anche le valutazioni del titolo.

 

In sintesi è chiaro che se manca la volontà di crescere la quotazione diventa poco stimolante ed è inutile se non c’è necessità di mezzi finanziari di terzi. E’ però altrettanto chiaro che è difficile immaginare un progetto di crescita imprenditoriale credibile guidato da una unica persona non supportata da altre figure, senza un sistema di controllo di gestione adeguato e che non possa essere per lo meno aiutato e/o velocizzato da risorse finanziarie straordinarie.

 

La quotazione in Borsa rappresenta per una impresa una possibile fonte di finanziamento straordinaria come lo è il private equity. Rispetto alla scelta di far intervenire un fondo d’investimento, la quotazione però lascia  totale discrezionalità decisionale all’imprenditore sulle scelte da fare in azienda. A differenza di quando interviene un fondo, il titolare non potrà essere messo in minoranza e marginalizzato dalla presenza di manager che, essendo quasi sempre di estrazione finanziaria, tendono a introdurre, in molti casi, una visione e una condotta assai diversa da quella originale; l’azionista di Borsa sposa il progetto dell’imprenditore, non ha nessun controllo né poteri di veto sulle scelte strategiche aziendali, non inserisce nell’organico societario manager o consiglieri e non ha nessuna clausola di uscita garantita.

 

Altri due aspetti non sono residuali nella spiegazione del limitato ricorso a questo strumento; i costi della quotazione che, coinvolgendo un numero di professionisti e di specialisti non proprio ridotto, non sono esigui e le oscillazioni cui si espone il valore dell’azienda a volte dovuto, come ciclicamente accade, da situazioni esogene. I costi della quotazione si aggirano, volendo dare un riferimento nella media, intorno ai 300.000 euro di costi fissi, più una parte variabile di ca. il 5% delle risorse raccolte in quotazione; proprio per facilitare l’accesso al mercato dei capitali le società che si quotano oggi possono utilizzare un credito di imposta che copre il 50% dei costi sostenuti per la quotazione. L’imprenditore che decide di entrare in Borsa deve essere preparato a reggere il rischio della volatilità del titolo, sopportando che l’andamento del titolo non sempre è correlato all’andamento aziendale o del settore ma può essere condizionato, sia positivamente che negativamente, da fattori macroeconomici.

Il vero traguardo è la continuità dell'azienda nel tempo

Messo tutto insieme si comprendono meglio le ragioni della contenuta diffusione di questa operazione che non va né demonizzata (perché davvero è un acceleratore che può favorire il rafforzamento dell’azienda), né osannata ma ponderata con onestà e competenza caso per caso. Quella lealtà e professionalità che ho riconosciuto nelle parole del nostro ospite in aula che ci ha permesso di avere una serie di informazioni oggettive per arrivare a scegliere lo strumento adeguato. Perché di questo si tratta. La finanza, vale sempre la pena ribadirlo, va considerata come un mezzo e non come un fine. Come per tutti i mezzi, non ne esiste uno in assoluto migliore di un altro, si tratta di valutare, con la giusta consapevolezza, quello più adatto. Per qualche piccolo imprenditore sarà la quotazione sul mercato Euronext Growth e per altri no. Insomma esistono molte strade per raggiungere l’unico vero traguardo che resta quello della continuità dell’impresa nel tempo.

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