Quando nel 1997 Victor Barnett è diventato presidente di Burberry, una delle sue prime decisioni è stata quella di assumere Rose Marie Bravo in qualità di CEO. L’obiettivo perseguito era di riorganizzare l’azienda e ampliare l’impatto di business dell’immagine del brand. La strategia aziendale ha però portato a un’eccessiva diluizione del valore del marchio anche a causa di una politica di licensing troppo permissiva.
Nel 2006 l’azienda capisce di dover riconquistare il suo posizionamento nel mercato. Angela Ahrendts, il nuovo amministratore delegato, decide dunque di invertire la rotta con una strategia innovativa. La sfida più grande era far incontrare la cultura del vecchio trench con il target che l’azienda doveva raggiungere per rimanere in attività: i giovani consumatori nativi digitali dei nuovi mercati, soprattutto quelli di Stati Uniti e Cina. L’azienda decise dunque di puntare sul digitale.
La storia di Burberry, e della sua identità britannica, è diventata, da quel momento in poi, il cuore di un entusiasmante digital storytelling, che ha trovato nelle piattaforme virtuali il canale più adatto alla condivisione. La maison londinese è stata la prima tra le grandi aziende di moda a sperimentare strategie di customer engagement attraverso i social media e altre piattaforme (in particolare YouTube). I video condivisi con il pubblico digitale in quegli anni erano coinvolgenti ed emozionanti; l’obiettivo era quello di valorizzare l’anima britannica del marchio e la sua storia. Nel 2012 l’azienda ha lanciato il suo primo flagship store dotato di una tecnologia sofisticata in Regent Street a Londra. Alla fine del 2013, quando Ahrendts lasciò l’azienda per entrare in Apple, divenne chiaro che Burberry aveva sì fatto dei passi avanti nell’acquisizione di nuovi clienti nei mercati strategici globali, ma non aveva ancora ottenuto risultati sufficienti. La strategia di Ahrendts aveva avuto successo nel contrastare il declino del prestigio del marchio e il business della contraffazione, ma la sua ritrovata identità tutta incentrata su Londra e sul vecchio trench britannico sembrava non essere riuscita ad attirare significativamente l’interesse dei nuovi target.
Nel 2016 Marco Gobbetti divenne il nuovo CEO di Burberry con la missione di conquistare nuovi target, raggiungendo pubblici più giovani e meno tradizionali soprattutto in Asia e America. A tal proposito, impose una svolta radicale all’azienda, che partisse non dallo storytelling del marchio ma dal prodotto. Anche il digitale assunse un nuovo ruolo, diventando una leva per trasformare l’intero business e non solo la comunicazione del brand. Questo cambiamento radicale ha raggiunto l’apice con l’arrivo del direttore creativo Riccardo Tisci, che presentò una nuova collezione dallo stile provocatoriamente rinnovato e persino un nuovo logo. I nuovi valori del marchio divennero: esuberanza, potere, diversità, fierezza. Vennero inoltre coinvolti nuovi testimonial: Marcus Rashford, star del Manchester United, il rapper M Huncho e il cantante Mahmood.
Nel 2020 il fatturato retail di Burberry ha subito una battuta d’arresto in Europa a causa del Covid-19, ma è rimasto stabile nei mercati asiatici anche e soprattutto grazie alla strategia digital oriented di Gobbetti. Nei primi tre mesi del 2021 l’azienda ha chiuso a +86 per cento su base annua, con un fatturato di 479 milioni di sterline. Tra i suoi risultati anche nuovi progetti, soprattutto in Cina, che hanno esplorato le potenzialità del social store, un retailing in cui la dimensione fisica e quella virtuale (anche social) dell’esperienza si fondono.