Cantieri di ricerca

Buy&Build: quando le acquisizioni creano davvero valore

Acquisire per crescere è diventata una strada obbligata per le imprese che vogliono competere in mercati sempre più complessi e globalizzati. Ma tra dire “compro per crescere” e farlo davvero, c’è di mezzo il delicato tema dell’integrazione. È questo il cuore della nuova ricerca condotta dal PE Lab (Private Equity e Finanza per la Crescita), che ha analizzato con rigore e dettaglio le strategie Buy&Build nel Private Equity italiano.

 

Il mondo del private equity ha fatto del Buy&Build una delle sue strategie più efficaci: un fondo acquisisce una “platform company” per rafforzarla, attraverso successive acquisizioni (gli add-on), fino a costruire un gruppo integrato, più grande, competitivo e appetibile sul mercato in vista di un’exit.

 

Il risultato principale della ricerca è che la strategia di Buy&Build ha contribuito a creare valore e significativi ritorni per gli investitori: nel campione, le piattaforme in uscita hanno infatti generato complessivamente un valore di oltre 13 miliardi di euro (differenza tra equity investito nel primo investimento ed equity della piattaforma ceduta). Ma non basta acquisire per avere successo: l’integrazione culturale tra le aziende coinvolte è la variabile decisiva per accelerare e amplificare la creazione di valore. Quando viene trascurata, si allungano i tempi, si riducono le sinergie, e l’efficacia dell’intero processo si affievolisce.

 

Come ha sottolineato Lorenzo Stanca di Mindful Capital Partners nel corso di una presentazione dei risultati, in un sistema imprenditoriale frammentato come quello italiano, in cui molte aziende sono ancora a conduzione familiare e di piccola scala, il Buy&Build può rappresentare un salto dimensionale decisivo. Ma servono consapevolezza e metodo.

 

Le domande

La ricerca parte da un dato strutturale ben noto: il nanismo delle imprese italiane. In un contesto in cui crescere solo per linee interne è sempre più difficile (soprattutto in fasi di rallentamento economico), l’acquisizione di aziende già operative sul mercato – e possibilmente complementari – sta diventando una leva strategica non più rinviabile.

 

Ma quanto funziona davvero questa strategia nel contesto italiano? E soprattutto: quali sono i fattori che ne determinano il successo o il fallimento? È a queste domande, finora poco esplorate per carenza di dati, che ha voluto rispondere il PE Lab, con un’indagine empirica unica nel suo genere.

Lavoro sul campo

Partendo da database del PE Lab che comprende 103 fondi con 545 piattaforme e 1.707 add on monitorati, la ricerca ha selezionato solo le 149 piattaforme create e cedute. Il cluster ottenuto ha analizzato 85 piattaforme disinvestite controllate da 33 fondi con exit dal 2014 al 2024 dopo aver complessivamente chiuso 227 add-on.

 

I dati raccolti sono di straordinario dettaglio e comprendono: date delle operazioni, target e  bidder, equity investito, enterprise value della piattaforma, multipli di ingresso e di uscita, cash on cash realizzato per singolo deal. Un lavoro durato anni, reso possibile grazie alla collaborazione con operatori del settore e all’accesso a informazioni normalmente riservate.

 

I risultati sono eloquenti:

 

  • 81 piattaforme su 85 hanno creato valore, successo che conferma l’efficacia della strategia Buy&Build nel generare crescita e rendimento per gli investitori.
  • Il contributo alle sinergie di ricavo (64%) è superiore a quello sui costi, segno che le operazioni add-on sono viste come strumenti per espandere mercato e offerta, più che per razionalizzare.
  • I tempi di integrazione si allungano, da una media iniziale di 2-3 anni del passato a 5-6, a seconda del numero di acquisizioni. Il processo diventa più complesso e richiede una governance più robusta.
  • La principale criticità è l’integrazione culturale, che spesso viene sottovalutata: non tutti gli operatori adottano politiche formalizzate in questo ambito, e la costituzione di un team dedicato all’integrazione è ancora l’eccezione, non la regola.
  • Nonostante la presenza di meccanismi di incentivazione del management, è ancora scarsa l’attenzione alle iniziative di comunicazione necessarie per un allineamento culturale. Sebbene il private equity, in questo, risulti comunque più avanti di altri attori, questa scarsa attenzione è una delle fonti delle difficoltà di integrazione.

 

Le logiche di Buy&Build hanno trovano fertile applicazione anche in ottica di filiera, come nel caso di VAM INVESTMENTS con il Gruppo Florence, una piattaforma che ha aggregato 37 società attive nello sviluppo di prodotti diversificati nel settore del lusso, dove la collaborazione sinergica tra imprenditori si è dimostrata un elemento vincente. In altre parole, il valore si crea quando l’operazione non è solo finanziaria ma anche industriale e organizzativa. Integrare visioni, stili di leadership, sistemi operativi e culture aziendali è la vera sfida – e il vero moltiplicatore di valore.

Guardando avanti

Per i manager d’impresa, i risultati di questa ricerca offrono un doppio insegnamento.

Primo: la crescita per linee esterne, se ben pianificata e accompagnata da una   strutturata del processo di integrazione, è una leva potentissima per far uscire l’economia italiana dal sottodimensionamento di troppi attori e competere a livello globale.

 

Secondo: il successo non dipende solo da “quanto” si compra, ma da “come” si integra.

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