Dalla ricerca spaziale una risposta per l’emergenza climatica

La Conferenza Annuale del SEE Lab all’interno della Pre-Cop26

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Tecnologie spaziali al servizio della lotta al cambiamento climatico. È una speranza che si fonda su presupposti attuali e ci fa intravedere soluzioni concrete alla principale minaccia globale, la crisi climatica. È questa la chiave di lettura della Conferenza annuale del SEE Lab (Space Economy Evolution) di SDA Bocconi dedicata al tema e quest’anno inserita significativamente nell’ambito della Pre-Cop di Milano, l’incontro preparatorio alla Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (Cop26).

L’incontro è stato inaugurato da un saluto del Dean di SDA Bocconi Beppe Soda che, nel dare il benvenuto ai partecipanti, ha voluto ricordare Andrea Sommariva, direttore del SEE Lab, recentemente scomparso: “La passione e l’entusiasmo di Andrea erano contagiosi, vedeva sempre il lato positivo delle cose e anche durante la sua malattia è sempre rimasto ottimista. Nel fare ricerca sapeva adottare una prospettiva multidisciplinare, era un visionario non solo rispetto all’oggi, ma anche nell’immaginare gli scenari futuri”. Pensare e attuare soluzioni nuove ed efficaci per fermare il cambiamento climatico in un futuro sempre più vicino è anche ciò che chiedono le giovani generazioni.

A Simonetta Di Pippo, Direttrice di UNOOSA (United Nations Office for Outer Space Affairs), è spettato il compito di aprire i lavori entrando direttamente nel vivo della questione: come le attività spaziali possono contribuire alla lotta al climate change. UNOOSA sta lanciando “Space4ClimateAction”, l’iniziativa tramite la quale le Nazioni Unite vogliono raccogliere tutti i progetti di valore che vanno in questa direzione. “Al momento le tecnologie spaziali sono ancora sottoutilizzate”, sostiene Di Pippo. “I satelliti per l’osservazione della Terra possono contribuire a monitorare le variabili climatiche e i dati satellitari permettono di capire i cambiamenti climatici con più precisione”. Space4ClimateAction è in linea con gli SDG, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile stabiliti dall’ONU, e in particolare con l’SDG 13 - Climate action. Il suo piano d’azione mira a promuovere la consapevolezza e l’utilizzo delle tecnologie spaziali per raggiungere gli obiettivi climatici, sostenendo le capacità di progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione degli attori coinvolti, fornendo assistenza tecnica e sostegno finanziario, coordinando la cooperazione internazionale e incoraggiando la partecipazione del settore privato.

Il ruolo dei satelliti oggi è cruciale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Krystal Azelton, Direttrice dello Space Applications Programs della World Secure Foundation, e Mary-Ann Kutny, Deputy Director dell’International Affairs for the National Environmental Satellite Service all’interno della US National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), hanno focalizzato la discussione su questo aspetto sottolineando che i satelliti in orbita sono sempre di più, sono in grado di fornire prove inequivocabili dei cambiamenti climatici sulla Terra e permettono ai decisori politici di affrontarne le conseguenze, gestirne i rischi e migliorare la resilienza del pianeta. Per far questo, però, è necessario garantire una “democrazia dei dati”, ovvero che essi siano disponibili (reperibili, accessibili e interoperabili) per tutti gli attori interessati e favorire la cooperazione tra attori privati e istituzioni pubbliche nella raccolta e nella gestione degli stessi.

Ma le tecnologie spaziali possono andare ben oltre la raccolta di dati. A spiegarlo è Andrea Biancardi, Lecturer in Energy Transition di SDA Bocconi, che introduce forse l’argomento principe dell’incontro: lo space-based solar power (SBSP), ovvero la possibilità di raccogliere l’energia solare in un’orbita terrestre alta e trasmetterla alla Terra. Una possibilità concreta? Partiamo dai dati: quello che si sta facendo oggi – sostiene Biancardi – non è sufficiente per contenere l’aumento della temperatura terrestre entro i limiti previsti dall’accordo di Parigi del 2015. Tre quarti delle emissioni di CO2 provengono dal settore energetico: bisogna cambiare i modi di produzione, trasporto e consumo di energia sul pianeta. La SBSP porterebbe vantaggi fondamentali, fornendo energia pulita e costante senza incorrere negli svantaggi legati all’intermittenza delle fonti rinnovabili terrestri.

John Mankins, massimo esperto mondiale di SBSP e Presidente del Comitato per l’energia spaziale della International Astronautical Federation, e George Sowers, Professore di Space Resources alla Colorado School of Mines, dialogando con Karen L. Jones del Center for Space Policy and Strategy in veste di moderatore del primo panel di discussione, affrontano il tema della realizzabilità tecnica dello SBSP. “È molto più facile che ricreare il sole sulla Terra”, sostiene Mankins confrontando questa tecnologia con la fusione nucleare. I costi del lancio e della strumentazione da posizionare in orbita possono essere ridotti di oltre il 90% grazie al modello SPS Alpha: strumentazioni a basso costo, prodotte in serie, modulari e di dimensioni ridotte, inviate nello spazio con lanciatori a basso costo riutilizzabili e assemblate in orbita. Iniziando a investire oggi, si potrebbe avere una centrale operativa all’inizio del prossimo decennio in grado di produrre fino a 2 gigawatt.

Il passo successivo è usare la Luna per costruire un sistema di SBSP, prosegue Sowers citando John Marburger: “tutto ciò che può essere realizzato con materie prime lunari a costi paragonabili alla fabbricazione terrestre ha un enorme vantaggio in termini di costo complessivo rispetto a ciò che deve essere mandato in orbita dalla Terra”. E sulla Luna c’è praticamente tutto ciò che serve: metalli, silicio, terre rare, potassio, fosforo, elio e ghiaccio, che può essere utilizzato per produrre idrogeno come propellente. Inoltre, grazie all’assenza di atmosfera, la massa di un satellite per l’energia solare prodotto nello spazio sarebbe la metà di quella di un satellite lanciato dalla Terra, con una conseguente riduzione dei costi delle materie prime e delle fasi di sviluppo, produzione della strumentazione e lancio. La cooperazione internazionale e le partnership pubblico-private saranno fondamentali per questi sviluppi.

Un futuro a portata di mano anche per il nostro paese? Al panel successivo composto da rappresentanti di importanti società italiane del settore, il moderatore Roberto Vittori, ufficiale dell’Aeronautica Militare italiana e astronauta per l’Agenzia Spaziale Europea, mette l’accento proprio sulla questione temporale: uno sguardo sul presente e sui prossimi 10-20 anni. Secondo Massimo Comparini, CEO di Thales Alenia Space, l’osservazione della Terra dallo spazio è un settore in rapida evoluzione, a cui Italia ed Europa stanno contribuendo in maniera fondamentale: “Thales Alenia Space sta già lavorando a progetti di installazioni lunari, ma nell’immediato futuro, dal punto di vista energetico l’orbita terrestre bassa (LEO) sarà strategica e lo SBSP fa parte della roadmap della nostra società”. Sitael, rappresentata dal suo Direttore commerciale Marzia Migliorelli, sta collaborando al progetto satellitare europeo Corpernicus e alla nuova piattaforma Platino per allargare il campo delle informazioni ottenibili dall’osservazione spaziale. “Il più importante valore aggiunto dei satelliti per la lotta al cambiamento climatico è che essi ci permettono di spostare il nostro punto di vista della Terra”, afferma. Una prospettiva condivisa anche da Luigi Pasquali, CEO di Telespazio: “Noi, per esempio, stiamo collaborando con l’Agenzia Spaziale Europea per progetti di monitoraggio dell’erosione delle coste e stiamo lavorando sul contributo dei satelliti all’agricoltura di precisione per rendere più efficiente l’uso di acqua e fertilizzanti. Il futuro è andare oltre il monitoraggio e la misurazione, aumentando la capacità di prevedere i problemi e fornire soluzioni in anticipo”. Giulio Ranzo, CEO di Avio, si concentra sul tema dei lanciatori, definendosi il “taxi” che porta in orbita le strutture spaziali: “Stiamo cercando di essere sempre più flessibili non solo per quanto riguarda le caratteristiche dei satelliti che siamo in grado di lanciare, ma anche nella capacità di raggiungere le diverse orbite. Nell’esplorazione dello spazio profondo, con missioni sempre più lunghe, l’energia solare avrà un ruolo determinante”. A conclusione del panel, Roberto Vittori lancia una sfida: viste le competenze messe in campo, perché non fare dello SBSP una proposta italiana a livello europeo?

Lo spazio entrerà nell’agenda del G20? L’intervento conclusivo di Giorgio Saccoccia, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, parte da questo auspicio. L’emergenza climatica richiede nuove e audaci prospettive e “il lavoro del SEE Lab ha sottolineato ancora una volta che lo spazio può essere utile al nostro pianeta, aiutare l’umanità e generare prosperità”. Ma alla base di tutto ciò c’è la ricerca scientifica, presupposto essenziale di ogni soluzione tecnologica. “C’è ancora molto bisogno di ricerca e sviluppo puro”, sostiene Saccoccia. “Non solo applicazioni, ma anche R&S per servizi a sostegno delle attività sulla Terra. Per questo motivo, alcune risorse del Recovery Fund dovrebbero essere dedicate allo studio di modi innovativi per trarre il massimo dalle tecnologie spaziali”.



SDA Bocconi School of Management

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