a cura di Claudio Zara, SDA Professor di Intermediazione Finanziaria e Assicurazioni
Una delle mode più recenti per fare evolvere il business del corporate banking verso l’era del digitale vede protagonisti i big data e i data analytics. Il mantra recitato dai sostenitori guarda sia al lato dei ricavi sia a quello dei costi. A livello di ricavi le linee principali di azione riguardano la lead generation, ossia la capacità di attirare l’interesse verso una proposta commerciale, la crescita della share of wallet sul cliente attraverso l’incremento del tasso di cross selling, soprattutto verso i clienti più marginali del portafoglio di ciascun relationship banker, una drastica riduzione dei tempi di attesa del cliente verso l’assunzione di decisioni di finanziamento da parte della banca. Sul fronte dei costi i vantaggi riguarderebbero la razionalizzazione dei processi produttivi, soprattutto in riferimento ai prodotti plain, quella del modello distributivo e, molto discutibile, una progressiva automatizzazione delle decisioni creditizie e del relativo pricing sui prestiti. Un recente studio di McKinsey (2015) stima un impatto maggiore sui costi (savings stimati intorno al 20%) ma anche un significativo beneficio sul volume dei ricavi (+10%).
Siamo di fronte all’ennesima chimera oppure la digitalizzazione spinta è inevitabile nel corporate banking? Penso che la risposta stia nel mezzo. Da una parte è innegabile che la digitalizzazione vada perseguita nella riorganizzazione di taluni processi produttivi e di talune modalità di servizio al cliente. D’altra parte, spesso digitalizzare significa standardizzare e ciò rischia di innescare una pericolosa deriva verso il retail banking, affollando ancora di più un contesto competitivo già sufficientemente frequentato, e nel contempo “semplificare” eccessivamente un’attività che, per sua natura, spesso semplice non è.
Credo che un punto di vista chiave, che non è preso in adeguata considerazione, sia la necessità di conoscere meglio il mercato dei clienti corporate al fine di individuare cluster di clienti omogenei che presentano fabbisogni finanziari, e quindi potenzialità di sviluppo del business, diversi tra di loro. L’innovazione dovrebbe innanzitutto passare dalle tecniche di segmentazione della clientela (Zara e Feltrinelli, 2005); ancora oggi si leggono sempre, in termini di segmenti di clienti corporate, le “magiche” e desuete etichette: large corporate, SMEs, small business; che rivelano che siamo ancora fermi a venti anni fa: si continua a credere che la dimensione spieghi tutto, o quasi tutto, dei comportamenti e delle esigenze finanziarie delle imprese. Questa è la prima semplificazione, che è poi la madre di tutte le altre semplificazioni, anche quella della digitalizzazione.
Il business corporate è forse quello più difficile e complesso all’interno di una banca ma, se ben svolto, genera molti ricavi (il 56% secondo il report McKinsey sopra citato), altrettanti profitti e risultati economici che sono significativamente indipendenti da quelli del retail (Zara e Cerrato, 2015), portando un contributo di diversificazione e stabilità ai risultati bancari. Per questo in SDA Bocconi da anni dedichiamo grande attenzione al tema, attraverso ricerche, pubblicazioni e programmi dedicati di formazione executive. Imparare a conoscere meglio il cliente e a servirlo per ciò di cui ha bisogno, non per quello che dicono i budget delle banche, è infatti un fondamento per operare con soddisfazione nel business e portare anche un contributo, veramente decisivo, al campo dei big data e dei data analytics per innescare un’innovazione del modello di business duratura e di lungo periodo e non fallace e di breve, come spesso le mode si rivelano essere.
SDA Bocconi School of Management