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di Francesco Saviozzi, SDA Professor di Strategia e Imprenditorialità.

L'utilizzo delle app nell'istruzione è alla vigilia di cambiamenti importanti, lo zapping formativo di domani sfrutterà l'attenzione interstiziale.

“There’s an app for that” diceva una pubblicità di Apple di qualche anno fa. Gli faceva eco pochi mesi più tardi Chris Anderson, celebrando nel 2010 dalle pagine di Wired il requiem del web e la sua rinascita in forma di app. A distanza di tre anni questa trasformazione sembra aver investito anche il mondo dell’apprendimento, che oggi trova nuovi spazi nella coda lunga degli app store. Una app su dieci rientra nella categoria istruzione (circa 80.000 su Itunes, 45.000 su Google Play).

La varietà tuttavia non sempre è sinonimo di qualità: i contenuti proposti sono prevalentemente di carattere divulgativo e nozionistico, pillole estemporanee di conoscenza difficili da collocare in un percorso strutturato di apprendimento. Inoltre sono ancora poco sfruttate le potenzialità intrinseche delle applicazioni, che si basano sull’interazione rapida attraverso il touch screen degli smartphone. Insomma, oggi l’app spesso non rappresenta altro che un modesto contenitore per incapsulare contenuti all’interno del “piccolo schermo” dei device.

Lo scenario potrebbe cambiare con la rapida diffusione dei Mooc, corsi online accessibili gratuitamente attraverso piattaforme come Coursera, Udacity o edX. I contenuti sono prodotti dalle principali università internazionali e abbracciano tutto l’arco tematico della formazione. I corsi prevedono una combinazione di lezioni video, esercizi, strumenti di autovalutazione e un supporto online. I principali player del segmento non hanno ancora sviluppato app dedicate, ma è plausibile che lo facciano a breve.

In un contesto in cui l’abbondanza di contenuti formativi farà sì che la risorsa scarsa sarà sempre più quella dell’attenzione umana, quale potrà essere il ruolo delle app? Qual è il loro valore aggiunto?

Se i device si stanno affermando come standard nell’accompagnare la nostra quotidianità, le app sono il linguaggio che li governa. Ripensare l’apprendimento attraverso le app sarà una necessità prima ancora che un’opportunità. Una sfida rilevante per chi produce contenuti didattici, perché le app generano un nuovo modello di attenzione “interstiziale”, una sommatoria (complessivamente rilevante) di frazioni di tempo racimolate nelle intercapedini dell’agenda quotidiana (che sia l’attesa in coda, il viaggio con i mezzi o semplice multitasking).

Rilevanti sono anche le opportunità per ampliare e innovare i modelli di incentivo alla partecipazione e allo studio in un contesto di “zapping formativo”; si consideri ad esempio l’integrazione con i social network o lo sfruttamento di nuovi strati informativi (pensate al potenziale dell’uso dei check-in). Leve che sono state sfruttate con grande efficacia da app del segmento salute e benessere (es. Nike+), per arricchirne l’esperienza.

Infine, non potrà mancare l’integrazione con strumenti di supporto all’apprendimento, per prendere appunti, fruire e condividere contenuti didattici, gestire le proprie attività, coordinandole con altre persone. Un’area che offrirà interessanti stimoli sarà la produzione di contenuti, tradizionalmente considerata il tallone d’Achille dei device, benché questi ultimi offrano strumenti creativi molto sofisticati (es. audio, foto, video, disegni, ecc.). Si dovranno abbandonare i cliché del documento in corpo 12 o della slide patinata; ma perché non realizzare il prossimo compito miscelando foto di Instagram, disegni su Paper e commenti di 140 caratteri di twitteriana sintesi?

Fonte: Sarfatti25

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