Le asset classes circolari sono la nuova frontiera della finanza sostenibile?

Economia Circolare

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Milano, 23 ottobre 2019

A cura di Claudio Zara, Banking and Insurance Knowledge Group, SDA Bocconi.

Nell’ambito del mondo degli investimenti, le asset classes c.d. sostenibili hanno ormai guadagnato un ruolo e una visibilità di assoluta importanza. I 2350 firmatari dei UN PRI hanno AUM per un valore complessivo di 86.000 mld di US$ (fonte PRI, 2019). In termini di dinamica, i dati riportati nel più recente rapporto biennale US SIF, riferito al 2018, evidenziano una crescita delle asset classes sostenibili del 38% nel periodo 2016-2018, per un corrispondente valore pari a 12.000 mld di US$ (fonte US SIF). Un simile trend di crescita è riscontrato anche sul mercato europeo. In termini definitori e di assessment, l’introduzione degli SDGs, avvenuta ad ottobre 2017, ha rappresentato un importante avanzamento per dotare gli investitori di un lessico comune che consenta loro di progredire da una logica classificatoria tout court, quale è quella conseguibile con l’applicazione dei principi ESG, a un sistema di misurazione degli impatti che l’essere sostenibili consente di ottenere.

Lo spettro dei 17 main goals è molto ampio, svariando da tematiche prettamente ambientali fino ad obiettivi di giustizia e di equità sociale. A fronte di questa varietà è legittimo avere delle perplessità e delle preoccupazioni sulla effettiva perseguibilità e misurabilità di alcuni di questi traguardi, così come sul rischio che fenomeni di “window dressing” si sviluppino nei mercati al fine di intercettare le notevoli masse di capitali che la finanza sostenibile sta attraendo e indirizzando. Poiché gli investimenti, soprattutto quelli a medio e lungo periodo, si devono necessariamente basare su una robusta attività economica, l’attenzione principale degli investitori finanziari dovrebbe orientarsi sugli obiettivi che sono maggiormente connessi alla sfera dell’economia e del business. Evidenze di questo legame tra SDGs ed economia possono essere riscontrate avendo a riferimento gli obiettivi 8 (Decent work and economic growth), 9 (Industry, innovation and infrastructure), 12 (Responsible production and consumption) e 13 (Climate change). L’analisi fondamentale dei contenuti di questi obiettivi evidenzia che il loro effettivo perseguimento richiede necessariamente un cambio di paradigma economico, trasformando il modello lineare “take-make-use-dispose” in uno circolare basato su tre principi fondamentali: - il corretto utilizzo delle risorse e la preservazione degli stock di materie finite; - la capacità di mantenere le risorse nel ciclo economico il più a lungo possibile al fine di estrarre tutto il loro valore economico e funzionale; - l’eliminazione delle esternalità negative e delle inefficienze di sistema. Di conseguenza, il paradigma economico circolare è l’elemento abilitante l’effettivo perseguimento degli obiettivi che sono direttamente connessi alla sfera economica e che sono alla base della capacità di offrire al mercato finanziario delle asset classes effettivamente competitive e in grado di generare delle combinazioni rendimento-rischio attrattive per gli investitori.

La relazione tra Economia Circolare e Finanza offre importanti opportunità per l’industry finanziaria lungo tre dimensioni fondamentali: il rischio, i ricavi (o rendimenti), la reputazione.[1] Per l’industry dell’Asset Management sono di particolare importanza e interesse l’impatto che il paradigma economico circolare sviluppa sui profili di rischio degli assets circolari e la conseguente generazione di combinazioni rischio-rendimento che possono essere associate alle asset classes circolari. La ricerca che si sta svolgendo in SDA Bocconi sul tema del rapporto tra Economia Circolare e Finanza si concentra anche su questi ambiti, con l’obiettivo di verificare la tesi che l’Economia Circolare sviluppa un generalizzato de-risking delle sue attività e che è in grado di conseguire delle performance finanziarie aggiustate per il rischio superiori, rispetto ai comparables lineari. La verifica della tesi sta avvenendo attraverso lo sviluppo di diversi fields empirici che distinguono sia tra tipologia di investimenti, equity e di debito, sia per grado di liquidità, includendo titoli sia public che private. Una delle prime evidenze sta riguardando il public equity attraverso la verifica del livello di rischio e della performance di un portafoglio di 249 securities localizzate sui mercati della UE (15 countries) e della Svizzera, per il periodo di osservazione 2013-2018. In termini di rischiosità, le misure considerate sia a livello assoluto (deviazione standard dei rendimenti) sia a livello di portafoglio diversificato (beta risk) evidenziano sempre relazioni inverse e statisticamente significative con il livello di circolarità delle azioni, arrivando a dimostrare la prima parte della tesi. Passando alle misure di performance, i rendimenti risk-adjusted e misurati sia sulla CML, attraverso lo Sharpe Ratio, sia sulla SML, attraverso il Treynor Ratio, mostrano una relazione positiva e statisticamente significativa con il livello di circolarità dei portafogli investiti. Simili evidenze sono riscontrate in riferimento sia al field del private equity, sostituendo alle azioni i portafogli dei fondi, e, limitatamente al de-risking, sia in riferimento al rischio degli emittenti titoli di debito nei mercati dei corporate bonds.

Questa ricerca empirica, che si pone nell’ambito dell’ampio filone di studi sulle performance della sostenibilità ma con elementi di originalità quali il focus sull’economia circolare e lo sviluppo di fields di asset classes non di mercato, che non sono normalmente studiate in letteratura, permetterà alla Scuola di alimentare un’ampia riflessione, all’interno della business community, sulle conseguenze finanziarie della trasformazione in senso circolare dell’economia. Avere chiare evidenze sul de-risking e sulle performance conseguibili dalle asset classes circolari, al di là degli slogan di marketing che attualmente stanno caratterizzando il mercato e il dibattito, sviluppare degli approcci in grado di individuare i fenomeni di window dressing e di green washing da parte degli emittenti, definire i cambiamenti necessari per riconoscere e misurare la circolarità e per includere i fattori di rischio lineari nei processi di valutazione e di risk assessment sono solo alcuni degli ambiti di interesse per la industry dei servizi finanziari. Sul fronte degli emittenti, la sfida principale che attende i CFO delle imprese è soprattutto quella di impostare e realizzare una corretta disclosure informativa in grado di mettere gli investitori nelle condizioni di disporre degli elementi rilevanti e necessari al fine di effettuare le proprie scelte di investimento.

 

SDA Bocconi School of Management

 

 

[1] A questo proposito si faccia riferimento a Claudio Zara (2018), Impatto sulla finanza: Risk, Revenue e Reputation, in Dossier Verso l’Economia Circolare, Economia & Management, pag. 41-45, n. 5-6/2018, EGEA.

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