Severgnini: i quattro assi che fanno vincere l’Italia (malgrado tutto)

Beppe Severgnini, Full-Time MBA

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Si può spiegare l’Italia a una platea internazionale di under-30? Si può sperare di far capire a giovani provenienti da 32 paesi diversi le anomalie e le risorse del nostro paese? Se c’è qualcuno che può riuscirci con ironia, spirito critico e il giusto equilibrio tra sguardo cosmopolita e anima italiana, quello è Beppe Severgnini. Lo ha fatto rivolgendosi ai partecipanti del 44° Full-Time MBA in occasione del Gala Dinner per l’apertura del Programma. E a giudicare dal coinvolgimento dei giovani manager alla fine della serata si può dire che il suo intervento sia servito almeno a offrire loro qualche coordinata in più per cogliere le opportunità che l’Italia, malgrado tutto, sa offrire.

Introdotto da Gianmario Verona, rettore dell’Università Bocconi, appunto come un «perfect knowledge translator» dell’italianità per i non-italiani, Severgnini è uno di quei personaggi che in Italia (e non solo) non ha bisogno di presentazioni: giornalista dal 1981, prima al Giornale di Indro Montanelli, poi alla Voce e al Corriere della Sera per il quale attualmente è direttore di 7, ha lavorato a lungo negli Usa e in Inghilterra, è stato corrispondente in Italia per l’Economist e collabora attualmente con il New York Times. Pioniere del giornalismo italiano sul web dal 1998 con il famoso forum Italians del Corriere, è anche opinionista televisivo e saggista, con 16 libri al suo attivo più uno in uscita.

Un curriculum che non gli impedisce di partire dalla provincia italiana, da uno dei suoi tanti cuori: Crema, sua città natale e in qualche modo archetipo di un’italianità che può anche essere confusa, spaventata, “ombelicale”, che si sente minacciata nelle sue certezze culturali e materiali, ma che è sempre capace di relazioni e di passioni, di una qualità della vita «altrove non scontata», di risorse inaspettate.

Risposte (troppo) facili a problemi difficili
Se questa è una fotografia ad alto contrasto dell’Italia di oggi, come ci siamo arrivati? Impossibile rispondere a questa domanda senza mettere sul tavolo una delle parole più usate negli ultimi anni: populismo. Una risposta troppo semplice a problemi troppo complessi. «Gli italiani non sono incattiviti per quello che è già successo, ma sono spaventati per quello che succederà, perché temono che non ci sia un piano per il futuro», sostiene Severgnini. «Costruire il consenso sulla “minaccia” che viene dall’esterno, su una politica fatta di due parole – “basta immigrati” – è facile e soprattutto è a costo zero». E aggiunge: «Ho scritto di recente sul NYT che gli italiani non sono razzisti. Non ancora».

«Realizzare altre promesse elettorali invece è tutt’altro che un’operazione gratuita», prosegue Severgnini. «Non ha ancora dimensioni certe, ma ho provato a fare due conti in base alla politica economica annunciata dal governo: il reddito di cittadinanza potrebbe costare dai 15 ai 30 miliardi di euro; la riforma delle pensioni, con l’abbassamento dell’età pensionabile a 62 anni, dai 9 ai 13 miliardi il primo anno; la flat tax – due sole aliquote: al 15% fino a 80mila euro di reddito e al 20% oltre – circa 50 miliardi. Arriviamo a un totale variabile da 74 a 93 miliardi. Abbiamo questi soldi? Ovviamente no».

E dunque?, è la domanda sottintesa che aleggia in sala. È questo il nocciolo duro del populismo: «La forza di tutti i populismi odierni sta nel saper sfruttare la combinazione tra social media e malessere sociale, due fenomeni entrambi esplosi nell’ultimo decennio. Non c’è nessuna fiducia nel futuro. Per la prima volta in Italia le persone pensano che la vita dei propri figli sarà più dura della loro. E quando la sensazione generale è che le cose stiano andando peggio arriva qualcuno che ti dice che con lui andranno meglio». Si tratta insomma di incrociare un disagio diffuso con la facilità di diffondere messaggi elementari, non importa quanto fondati e realizzabili. «È successo nel Regno Unito con la Brexit e in America con Trump: vince la nostalgia, il passato (prossimo) sembra sempre migliore».

Il perenne “miracolo” italiano
Nonostante queste premesse l’Italia non appare in grande scompiglio, non sembra davvero sull’orlo di una crisi irreversibile. Ha ancora una forte attrattiva, e non solo come meta di vacanze. Per Severgnini sono quattro le nostre ancore di salvezza: «Primo (so che scioccherò qualcuno di voi): gli italiani non prendono mai del tutto seriamente i propri governanti. Abbiamo congenitamente una “sana sfiducia” verso la classe politica. Quello che in molti paesi sarebbe un problema, una crisi della democrazia, in alcune fasi della nostra storia – come questa – diventa una valvola di sicurezza. Secondo: l’Italia non ha solo un governo centrale. Siamo uno Stato unitario relativamente giovane e da sempre abbiamo avuto forti identità e “autorità” locali. Nel corso dei secoli abbiamo imparato ad adattarci e far convivere diversi centri di potere. Anche oggi, ad esempio, ci sono grandi differenze nelle amministrazioni delle città. Terzo: la famiglia. È un fondamento del nostro tessuto sociale e in tempi difficili diventa la prima rete di sicurezza. Per esteso significa che l’Italia è la patria della relazione umana: in qualsiasi rapporto, anche il più formale, c’è sempre una relazione umana che può fare la differenza. Non dimenticatelo, è importante per capire questo paese, nel bene e nel male. Quarto: la qualità della vita. Non quella dell’americano ricco con la tenuta in Toscana, ma quella vera, fatta dai luoghi in cui viviamo, da ciò che mangiamo, da come passiamo il tempo. Vi basta uscire a Milano una di queste sere di settembre per capire che cosa intendo. È un “tempo di consolazione” quotidiano che noi italiani spesso diamo per scontato, ma che rende più facile vivere in questo paese».

C’è poi un quinto elemento, la carta jolly: «È la genialità italiana, quella che spesso trasforma una crisi in un successo. Noi abbiamo problemi con le regole, ma dateci un’eccezione e vi cambieremo il mondo».

È un’immagine forse rasserenante, ma non oleografica, quella tracciata da Severgnini agli studenti stranieri. C’è affetto ma non compiacimento, c’è tutto il desiderio e la difficoltà di spiegare l’Italia al mondo. Ma soprattutto c’è un’energia che arriva alla platea e la anima. Per chi ha scelto Milano e l’Italia per il suo anno di MBA è sicuramente un buon inizio.

SDA Bocconi School of Management

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