Nei contratti di concessione autostradale, il concessionario ha la responsabilità di manutenere, ampliare, rinnovare e garantire l’operatività dell’infrastruttura. In Italia, la remunerazione del concessionario avviene sulla base dei pedaggi pagati dagli utenti; inoltre, il regolatore può assegnare dei fondi extra ad hoc qualora vengano concordati ulteriori investimenti. Poiché la domanda è pressoché rigida, si possono determinare situazioni di eccessiva profittabilità quando le tariffe sono elevate e/o nei casi di livelli subottimali di reinvestimento nell’infrastruttura per la sua manutenzione e miglioramento.
Per verificare la profittabilità effettiva delle concessioni autostradali in Italia, abbiamo condotto uno studio sui 23 contratti di concessione stipulati a partire dal 2007 – quando cioè, in seguito a una serie di provvedimenti legislativi, il regime dei contratti è stato riformato, introducendo un meccanismo di remunerazione dei costi basato sul weighted average cost of capital (WACC, costo medio ponderato del capitale).
Partendo dall’analisi dei dati relativi ai contratti oggetto dello studio, abbiamo calcolato il tasso interno di rendimento (IRR), di progetto e di azionista in relazione, rispettivamente, al WACC e al rendimento atteso sull’equity investito. Dall’analisi è emerso come una differenza positiva tra IRR e costo del capitale implica una profittabilità non coerente con il rischio sopportato dagli investitori.
Particolare attenzione è stata dedicata ad Autostrade, il concessionario privato che controlla la quota più ampia del network (oltre il 40 per cento). In questo caso, è stato effettuato anche un confronto tra i ricavi e i dividendi che erano stati previsti nel piano finanziario della concessione (poi rivisto nel 2013) e i dati effettivamente riportati nella reportistica annuale aziendale tra il 2007 e il 2017.
I dati relativi ad Autostrade hanno palesato che nei primi anni successivi alla redazione del piano finanziario (2007-2009) e alla sua revisione (2013) si è registrato un effettivo allineamento tra ricavi previsti e risultati aziendali; negli anni successivi (rispettivamente 2010-2011 e 2014-2017), tuttavia, i ricavi ottenuti dall’azienda sono stati significativamente maggiori di quanto previsto. Inoltre, nonostante il traffico autostradale sia costantemente diminuito tra il 2007 e il 2013 a seguito della crisi economica, i ricavi del concessionario hanno continuato a crescere sino al 2011 – un dato che si spiega grazie all’aumento delle tariffe. Nel complesso, tra il 2007 e il 2017 i pedaggi riscossi da Autostrade sono cresciuti del 41 per cento, a fronte di una diminuzione aggregata del traffico del 3 per cento.
Un’evidenza complementare riguarda i dividendi reali, che sono stati costantemente superiori a quelli previsti nel piano finanziario: complessivamente 7,67 miliardi di euro nel periodo 2007-2017, a fronte dei 4,85 miliardi previsti.
L’esperienza di Autostrade evidenzia in modo chiaro un eccesso di profittabilità per il concessionario, determinato in buona parte da un sistema tariffario mal congegnato, che ha di fatto finito per sovracompensare la diminuzione del traffico determinatasi in seguito alla crisi finanziaria.