Teoria in pratica

La performance nei network: dalle strutture ai comportamenti

Per massimizzare i benefici derivanti dal ricoprire una posizione di brokerage in azienda sono necessari orientamenti strategici conseguenti

Le premesse

Trovarsi in una posizione «ponte» tra persone e gruppi altrimenti non in contatto tra loro può essere fonte di notevoli vantaggi: se ne potrebbe ricavare un accesso più ampio alle informazioni, un maggiore controllo sulla loro circolazione e maggiore visione su opportunità che si rendono via via disponibili. Sono i vantaggi del ricoprire una posizione di brokerage, oggetto di grande attenzione negli studi sulle reti sociali.


Molto spesso, il focus è rivolto soprattutto all’architettura della rete e a come certe posizioni come quella del broker possono apportare benefici a chi le occupa. Eppure, soggetti che si trovano in posizioni simili (come appunto quelle di brokerage) possono ricavarne benefici anche molto diversi in termini di performance individuale. A parità di posizioni strutturalmente vantaggiose, non tutti sono in grado di ottenere gli stessi vantaggi. Questa difformità nei risultati è stata spiegata in parte con fattori oggettivi come il livello di carriera, l’esperienza pregressa, le competenze di ciascun attore; anche tratti psicologici soggettivi come gli stili cognitivi, l’identità o le emozioni possono avere un peso.


A questi elementi deve però affiancarsi un’analisi del comportamento effettivo di ciascun attore, quello che possiamo definire il suo orientamento strategico: cioè il modo in cui questi interpreta concretamente il proprio ruolo all’interno delle reti sociali, in ragione delle proprie convinzioni, delle proprie motivazioni e dei propri valori.

La ricerca

Nell’interpretare la posizione di broker tra individui e gruppi disconnessi è possibile distinguere tra due diversi orientamenti strategici che a parità di posizione i diversi broker possono avere.


Un primo orientamento è quello «di arbitraggio». In questo caso, il broker tenderà in maniera proattiva a massimizzare i vantaggi derivanti dalla propria condizione: da un lato, cercherà di acquisire quante più informazioni possibili dai propri contatti, evitando al contempo di condividerle; dall’altro, sfrutterà la propria posizione per esercitare un controllo nella rete e acquisire così potere.


Un secondo orientamento è quello cosiddetto «collaborativo». L’individuo in una posizione di brokerage in questo caso incoraggerà la conoscenza diretta, lo scambio di informazioni e la collaborazione tra i propri contatti favorendo la condivisione e il contatto di risorse diverse. I nuovi legami nati da questa attitudine alla condivisione potrebbero però implicare dei significativi costi di coordinamento a carico del broker e finire per minarne la posizione di vantaggio nel network, sia in termini di benefici sia in termini di opportunità di controllo.


Uno studio su 381 dipendenti di una grande multinazionale ha preso in esame l’impatto di questi due orientamenti strategici sulla performance individuale. L’elevato livello di dispersione del campione sia da un punto di vista geografico (sono stati inclusi dipendenti da tutti e cinque i continenti) sia di expertise (tra i rispondenti si contano 12 diverse aree di attività) lo rende particolarmente adatto a un’analisi dei vantaggi del brokerage.


Per ciascun partecipante si è per prima cosa ricostruito il network di contatti, misurandone quindi l’effettiva posizione di brokerage all’interno del contesto aziendale attraverso un indicatore ad hoc; sono stati raccolti dati relativi alla performance individuale a partire dalle valutazioni aziendali; infine, è stato tracciato un profilo relativo all’orientamento strategico preferito tramite un questionario dedicato, incentrato sulla simulazione di uno scenario.


A essere nettamente preponderante è l’orientamento collaborativo: a privilegiarlo è l’85 per cento dei partecipanti, mentre solo l’11,5 per cento manifesta un orientamento di arbitraggio (il rimanente 3,5 per cento ha indicato un’opzione intermedia). Questi orientamenti si sono dimostrati relativamente stabili nel tempo. Inoltre, non si segnalano variazioni significative tra le diverse sottofunzioni svolte né tra le aree geografiche di riferimento, né tanto meno sulla base della diversa esperienza, istruzione o livello di carriera.


A livello di performance, però, fermo restando l’impatto positivo di una posizione di brokerage sulla valutazione dei singoli, si osserva che tale impatto è significativamente maggiore nel caso in cui si abbia un orientamento di arbitraggio ed è, al contrario, assai minore tra chi predilige un orientamento collaborativo.

Conclusioni e implicazioni

Trovarsi in una posizione di brokerage è senza dubbio una condizione vantaggiosa – ma perché possa essere messa pienamente a frutto servono comportamenti conseguenti. A influenzare i risultati infatti non è solo la posizione di un individuo in un network, ma anche il modo in cui ciascun individuo interpreta il suo ruolo in quella posizione, mettendo in atto comportanti specifici.


La maggior capacità di beneficiare di una posizione di brokerage si ottiene se si adottano comportamenti di arbitraggio che identificano un allineamento tra ruolo/posizione strutturale e orientamento strategico: difendere e sfruttare proattivamente i vantaggi informativi e di controllo legati alla posizione di broker consente di massimizzarne i benefici a livello individuale.


Viceversa, un broker con un orientamento strategico collaborativo finisce per condividere e ridistribuire all’interno del suo network i vantaggi informativi, a danno della propria performance individuale senza necessariamente migliorare la performance collettiva. La performance individuale, per di più, può risentire negativamente dei costi di coordinamento che il ruolo di intermediario può implicare per il broker collaborativo. In questo caso, si è di fronte a un disallineamento tra posizione nel network e orientamento strategico adottato.


Uno dei vantaggi principali dell’adottare un orientamento di arbitraggio è che si viene riconosciuti come una fonte preziosa di nuove idee: l’accesso a informazioni provenienti da gruppi diversi di persone, la capacità di mantenerne il controllo e di trasformarle in idee originali che siano coerenti per forma e contenuto con le necessità di destinatari di volta in volta diversi rappresentano un notevole vantaggio a livello individuale.


Al contrario, condividere informazioni potenzialemente strategiche in maniera indiscriminata con più gruppi di persone non solo comporta una perdita di controllo sulle idee: ma può anche implicare costi significativi per far comunicare e per coordinare tra loro i diversi attori.


Restano da indagare i fattori di contesto che possono influenzare l’adozione di un orientamento di arbitraggio o invece collaborativo, come per esempio la cultura organizzativa o quella nazionale: una cultura di stampo individualista potrebbe incoraggiare comportamenti più orientati all’arbitraggio, una cultura collettivistica comportamenti più collaborativi. Inoltre, si potrebbe ipotizzare che, in contesti molto fluidi e dinamici, un approccio collaborativo sia più indicato per creare rapidamente consenso e aiutare a far decollare nuove iniziative imprenditoriali.

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