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- 14 mag 2025
- 9 giorni
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- Italiano
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La normativa e la giurisprudenza più recenti si concentrano sempre più sulla funzione che le attività svolte in un Paese terzo hanno rispetto al business dell’azienda nel suo complesso
Negli ultimi anni, diverse aziende multinazionali, inclusi alcuni gruppi italiani, sono finite al centro dei riflettori per la scelta di spostare all’estero la propria sede legale. Dietro a tale decisione si celerebbe il tentativo di ridurre al minimo la contribuzione fiscale nel Paese di provenienza. È una delle tante facce del cosiddetto fenomeno del «trasferimento degli utili»: gli utili generati in un determinato Paese da un’azienda vengono sempre più spesso tassati in Paese diverso, in cui il regime fiscale è più vantaggioso. Al trasferimento degli utili si associa strettamente l’«erosione della base imponibile» nei Paesi in cui quelle stesse aziende mantengono la propria operatività, senza tuttavia pagare un corrispettivo proporzionato di tasse.
Per cercare di contrastare queste distorsioni, nel 2013 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico e il G20 hanno varato un piano d’azione in 15 punti (il cosiddetto BEPS Project); il piano mira a incoraggiare l’adozione di una serie di norme condivise in materia di fiscalità internazionale e a facilitare la sottoscrizione di accordi bilaterali tra Paesi. Al piano d’azione hanno fatto seguito una serie di report e quindi, nel 2016, una Convenzione multilaterale (MLI), a oggi sottoscritta da 94 Paesi e ratificata da 47; l’Italia è stata tra i primi firmatari, ma non ha ancora proceduto alla ratifica. Infine, nel 2017 l’OCSE ha rilasciato una nuova versione, accompagnata da un commentario, del suo Model Tax Convention on Income and on Capital, un modello volto favorire la sottoscrizione di convenzioni bilaterali tra Paesi sulla fiscalità.
A fronte di un contesto economico in cui produzione, capitali e profitti sono sempre più mobili, l’obiettivo di fondo del BEPS Project è contribuire a individuare con maggiore chiarezza quali specifiche attività economiche abbiano generato un determinato profitto. Su queste basi, sarà poi necessario stabilire con esattezza in quale Paese tali attività siano state svolte, e a quale tassazione vadano di conseguenza sottoposte.
In quest’ottica, diventa centrale il criterio di «stabile organizzazione» in un dato Paese da parte di un’azienda non residente fiscalmente in quello stesso Paese. Il concetto di stabile organizzazione è legato alla presenza di una struttura fisica (stabilimento o, in alcuni casi, macchinari) e/o di un’attività commerciale portata avanti in maniera non occasionale da soggetti riconducibili all’azienda non residente. La Model Tax Convention più recente tende a incoraggiare accordi bilaterali tra Paesi centrati su questo principio: qualora un’azienda abbia effettivamente una stabile organizzazione in un Paese in cui non risiede, i profitti riconducibili a quella stabile organizzazione potranno essere tassati da quello stesso Paese.
L’interpretazione del criterio di stabile organizzazione, tuttavia, non è univoca, e ha dato luogo negli ultimi anni a diverse sentenze nelle giurisdizioni di numerosi Paesi interessati. Un’analisi della giurisprudenza in materia può quindi contribuire a capire meglio le direzioni in cui il concetto sta evolvendo, il modo in cui questo potrebbe essere recepito nella normativa internazionale e le relative implicazioni per l’attività d’impresa.
Dall’analisi della giurisprudenza internazionale relativa al concetto di stabile organizzazione emergono due questioni di particolare interesse, che sono state oggetto di ricerca approfondita : quella della regola anti-frammentazione e di come vadano di conseguenza considerate le cosiddette attività preparatorie/ausiliarie condotte in un Paese straniero; e quella relativa alla stabile organizzazione come agenzia, cioè alla presenza di un «agente» che rappresenti un’impresa in un Paese estero.
In base al principio delle attività preparatorie/ausiliarie, se un’azienda porta avanti delle attività in un Paese terzo che abbiano esclusivamente una funzione preparatoria o ausiliaria rispetto alla propria attività di business, tali attività non saranno tassabili in quel Paese. Tradizionalmente, la giurisprudenza ha teso a considerare il carattere ausiliario di un’attività in termini strettamente formali: per esempio, possedere un magazzino in un Paese terzo è stata solitamente considerata un’attività meramente preparatoria, e quindi non tassabile.
Tale approccio è stato in parte superato dalla nuova Model Tax Convention, che ha introdotto la regola anti-frammentazione, volta a evitare che le attività di aziende multinazionali vengano presentate come frazionate in una miriade di attività e operazioni, considerate ausiliarie e quindi non tassabili. Con la regola anti-frammentazione, è emerso il criterio dell’«interdipendenza funzionale». In tale prospettiva, ogni attività condotta in un Paese terzo andrà valutata rispetto al processo produttivo e al modello di business complessivo dell’azienda, per capire che ruolo essa svolga effettivamente. Questo nuovo approccio trova riscontro in diverse recenti sentenze che hanno considerato non solo possedere un magazzino, ma anche attività di raccolta e gestione di informazioni, come attività non frazionabili, e quindi da tassare nel Paese interessato.
Un approccio di tipo funzionale viene sempre più spesso applicato anche nel valutare la questione della stabile organizzazione come agenzia. Questo criterio si applica a quelle aziende che, pur non avendo uno stabilimento fisico in un determinato Paese, vi sono comunque rappresentate da un agente che ne faccia gli interessi. Fino al 2017, la presenza di un agente in un Paese terzo, per costituire stabile organizzazione, doveva necessariamente associarsi alla facoltà, per quello stesso agente, di sottoscrivere contratti in nome dell’impresa rappresentata. Un approccio di questo genere spingeva molte aziende a individuare dei commissionari/intermediari, che agissero sotto il loro diretto controllo, ma sottoscrivendo contratti (per esempio di vendita di merci o fornitura servizi) a proprio nome, anziché per conto dell’azienda.
Con il nuovo approccio funzionale, si configura una situazione di organizzazione stabile come agenzia anche laddove sia presente un agente che, pur agendo a proprio nome, porti stabilmente avanti negoziazioni e concluda abitualmente contratti che riguardino il trasferimento di merci e/o servizi riconducibili a un’azienda basata in un Paese straniero da cui risulti di fatto essere dipendente. Non si avrà tuttavia stabile organizzazione nel caso in cui quell’agente sia invece effettivamente indipendente – nel caso cioè che porti avanti in maniera autonoma la propria attività di rappresentante di aziende straniere in un certo Paese, senza che quelle aziende ne controllino direttamente e in maniera vincolante le attività. È evidente che solo un’analisi ravvicinata e dettagliata del lavoro e del modello di business di un agente consentirà di stabilire se questi sia o meno indipendente dalle aziende che rappresenta.
La normativa e la giurisprudenza più recenti mostrano un’evoluzione nell’approccio alla tassazione delle attività aziendali condotte all’estero. In particolare, il concetto di stabile organizzazione viene interpretato sempre più spesso in un’ottica funzionale, anziché formale: andando cioè ad analizzare in concreto quale funzione le attività all’estero svolgano all’interno del modello di business complessivo aziendale.
Per le imprese con operatività all’estero, diventa quindi necessaria un’attenzione più ravvicinata alle modalità con cui la propria presenza all’estero è portata avanti, anche solo a livello di rappresentanza commerciale.