Sotto la lente

Il giusto equilibrio tra il valore e il prezzo dei farmaci

La scorsa estate è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto 9 agosto 2019 che rivede il sistema di regolazione del prezzo dei farmaci in Italia (Decreto prezzi). L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha chiuso a fine settembre una consultazione pubblica sulle linee-guida per la sottomissione, da parte delle imprese, del dossier a supporto della domanda di rimborsabilità e prezzo per i propri farmaci, linee-guida conseguenti al nuovo Decreto sui prezzi. Il Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) della SDA Bocconi School of Management ha partecipato alla consultazione pubblica con un documento, in cui, oltre ad alcune osservazioni tecniche, ha ribadito l’importanza di prendere decisioni sulla base di una strutturata e riproducibile valutazione del valore dei nuovi farmaci.

 

Per quanto tale valutazione sia tecnicamente complessa, si può affermare che un farmaco crea valore per la collettività nel suo complesso se produce salute. Salute significa un aumento dell’aspettativa di vita dei pazienti e/o un miglioramento della loro qualità di vita. Il concetto di valore non è assoluto ma relativo al contesto di mercato in cui il farmaco viene introdotto: se in un dato contesto non esistono soluzioni terapeutiche disponibili per una data malattia, il fatto di avere un farmaco che migliori le condizioni di salute dei pazienti può già considerarsi un importante passo in avanti; se in quello stesso contesto esistono invece differenti alternative terapeutiche, il valore del farmaco si misura sulla capacità di produrre valore aggiunto rispetto a tali alternative.

 

Ponendoci nella prospettiva di chi acquista i farmaci e dei contribuenti che pagano per la salute della collettività, i prezzi dei farmaci devono essere commisurati al loro valore e alla disponibilità a pagare per quel valore. In Inghilterra, per esempio, chi paga per i farmaci (e le tecnologie sanitarie in genere) ha stabilito dei valori soglia al costo che il sistema sanitario pubblico è disposto a pagare per una unità di beneficio in più (un anno di vita in più in condizioni di perfetta salute). Se il prezzo che le imprese richiedono è sopra questo valore soglia, il farmaco non verrà rimborsato. Altri Paesi, tra cui l’Italia, hanno preferito non adottare valori soglia al rapporto tra costo e valore e mantenere una maggiore flessibilità, pur prevedendo dei criteri espliciti o impliciti che diano un ranking agli elementi di valore. Se, per esempio, un nuovo farmaco è migliore di un altro solo perché è più facile da somministrare (e non ci sono evidenze che questo migliori la salute del paziente), a questo non sarà riconosciuto un premio di prezzo, ma dovrebbe essere premiato sulle quote di mercato. Poiché la struttura dei costi delle imprese farmaceutiche è sbilanciata sui costi fissi, in parte sostenuti prima di accedere al mercato, avere una rapida penetrazione nel mercato consente di generare ricavi che coprono i costi fissi, con marginalità ampie sui costi variabili.

 

Le soluzioni adottate per legare prezzo e valore sono quindi diverse, ma è certo che se i prezzi vengono regolati e negoziati dai pagatori sulla base del valore, le imprese saranno incentivate a produrre tale valore. Se i prezzi vengono invece regolati sulla base dei costi che le imprese sostengono per la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di nuovi farmaci (il cosiddetto metodo cost-plus), indipendentemente dal valore in termini di salute che questi producono, le imprese saranno meno incentivate a produrre valore. A questo si aggiunge che diversi costi (certamente i costi di ricerca e sviluppo) sono congiunti e ad alto tasso di fallimento, e quindi difficilmente attribuibili ai singoli prodotti che riescono ad arrivare sul mercato.

 

La definizione dei prezzi sulla base del solo valore genera un problema. Il valore di un farmaco deriva da una lunga e complessa attività di ricerca e sviluppo effettuata a livello globale, e tale valore è sostanzialmente simile nei diversi Paesi in cui il farmaco viene lanciato. Se il prezzo venisse definito sulla sola base del suo valore, i prezzi sarebbero molto simili tra i diversi Paesi. Tuttavia, la disponibilità a pagare può essere molto diversa e dipende, per esempio, dalle risorse disponibili: anche in aree relativamente omogenee, com’è il caso dell’Europa, esistono importanti differenze nel reddito pro-capite e, a parità di reddito, nella priorità che la sanità ha nell’agenda politica di un certo governo. In questo caso si potrebbero avere prezzi che differiscono molto in relazione alla disponibilità a pagare per lo stesso risultato in termini di salute. Il rischio di prezzi diversi è che i pagatori con più alta disponibilità a pagare guardino ai prezzi più bassi, con effetti negativi sulle imprese. La soluzione è stata la stipula di accordi che prevedono sconti o altre forme di riduzione del prezzo non visibili a livello internazionale: questo garantisce alla collettività l’idea che il prezzo rifletta il valore del farmaco, alle imprese il vantaggio di avere prezzi visibili omogenei e ai Paesi che hanno meno risorse di pagare meno. Ovviamente questo riduce il livello di trasparenza dei prezzi e, quindi, aumenta il rischio di comportamenti opportunistici dei pagatori, che possono scaricare sugli altri Paesi l’onere di pagare per la salute dei propri cittadini, e delle imprese, che possono chiedere prezzi più alti, dovendo poi gestire richieste di sconto non visibili nei diversi Paesi.

 

Un ultimo tema rilevante è se il prezzo, al di là del valore del farmaco e dei costi sostenuti dalle imprese, debba essere uno strumento di «attrazione» degli investimenti nelle attività considerate più nobili (ricerca, sviluppo e produzione). Si tratta anche in questo caso di una deviazione dal principio del prezzo basato sul valore. Le scelte di localizzazione da parte delle imprese non dipendono dal prezzo ma dalla stabilità del quadro regolatorio, da incentivi fiscali e finanziari, dalle azioni finalizzate a rendere più efficiente l’approvazione degli studi clinici, nonché dalla dimensione complessiva attesa del mercato.

 

In definitiva, definire i prezzi sulla base dei costi sostenuti dalle imprese (e non del valore) e utilizzare il prezzo come strumento attrattivo degli investimenti, che hanno effetti globali, non è corretto. Il nuovo Decreto prezzi, per quanto specifichi l’importanza di collegare il prezzo al valore terapeutico del farmaco, reintroduce un modello cost-plus nel caso di farmaci per i quali non ci siano alternative terapeutiche disponibili, e richiede alle aziende di informare l’Aifa sugli incentivi pubblici ricevuti per lo sviluppo dei farmaci. Questi due ultimi aspetti non sembrano essere condivisibili.

 

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