Il Meglio del Piccolo

Provincia o periferia?

Il gelsomino, bello e profumato ma fragile come la provincia italiana, sta  cedendo il posto al rincospermo, che cresce in fretta e non ha bisogno di molta manutenzione e cura.

E’ uscito da poco un saggio edito da Egea con un titolo netto - “Provincia non periferia” - di Paolo Manfredi. L’ipotesi da cui parte l’autore, responsabile delle strategie digitali di Confartigianato Imprese, è che la provincia italiana si stia trasformando progressivamente in periferia, ovvero come dice la parola in una zona marginale e degradata. Le tante provincie della penisola, caratterizzate da una eccezionale biodiversità non solo climatica ma anche economica, e i territori che si erano organizzati in distretti produttivi e che sono stati la culla della piccola impresa e dell’artigianato fatto di produzioni uniche, stanno cedendo il passo. Retrocedono e rischiano di diventare il parente poverissimo delle metropoli internazionali. L’innovazione, le novità, le cose e le persone che rappresentano l’avanguardia e che quindi contano stanno altrove e, nel caso italiano, nella dinamica Milano del dopo Expo piuttosto che nella caotica capitale romana. Il gelsomino, bello e profumato ma fragile come la provincia italiana, nella metafora scelta Manfredi, sta drammaticamente cedendo il posto ad una essenza più standard, il rincospermo, che cresce in fretta e non ha bisogno di molta manutenzione e cura. Gli esempi di questo deterioramento e, all’opposto, della crescita esponenziale e virtuosa delle grandi città non mancano nel libro e portano a spiegare, secondo l’autore, anche le recenti scelte politiche di una periferia che, sentendosi minacciata dalla globalizzazione e dalla modernità, si rifugia in un voto populista e sovranista. La provincia diventata periferia, non solo in Italia, si chiude su se stessa e così facendo si marginalizza ancora di più. Il saggio prosegue e si conclude con una serie di proposte, molto operative, per cercare di fare in modo che la periferia agganci la metropoli e con essa la modernità e il progresso.

Apprezzabile è lo sforzo progettuale delle ultime pagine nell’ipotizzare possibili soluzioni per fermare il declassamento e attivare la congiunzione (soprattutto all’insegna digitale) tra la periferia e il centro, ma, avendo nel frattempo anche sentito dal vivo l’autore, mi sono resa conto che il tema su cui dibattere non è il punto di arrivo ma quello di partenza. Nel quadro dipinto, salvo qualche sporadica eccezione, al fondo, la provincia è diventata ormai periferia e viene considerata “indietro” rispetto alla metropoli.  Il titolo - per me bellissimo -  del libro per Manfredi non è più realtà.

Se l’Italia non è diventata periferica nel mondo lo deve alla provincia

Non la vedo così. La biodiversità delle provincie italiane non le fa essere arretrate rispetto alle metropoli ma, appunto, habitat differenti. Non serie B e serie A. Anzi se l’Italia non è periferica nel mondo lo deve proprio alla provincia. Questa dovrebbe essere la premessa fondamentale da cui partire, sottolineando l’esistenza di un modello particolare di vita e di lavoro che in Italia, e non in altri luoghi, per fortuna esiste ancora. Dopo aver riconosciuto la diversità, che proprio in quanto tale non consente classifiche comparative, anche considerando le proposte concrete di Manfredi, si può pensare a come superare l’antinomia provincia/metropoli. Vale per le aziende ma mi sembra possa valere anche per la persona e per i giovani in particolare: piedi saldi nel territorio di origine ma testa in giro per il mondo. Questa è la traiettoria da seguire. Il piccolo comune di provincia in cui si è nati e cresciuti dovrebbe essere concepito come una terra salda e sicura su cui costruire prendendo spunti anche da quello che si trova altrove, spesso nelle grandi città internazionali diventate centri pilota nella formazione e nello scambio di un certo tipo di conoscenza. L’originalità che deriva dal genius loci non deve essere denigrata in virtù dell’omologazione che gli standard internazionali impongono anzi va esaltata e poi portata nel mondo. Provincia non deve far scattare un complesso di inferiorità rispetto alle proposte metropolitane, dunque provincialismo o ancora peggio periferia. Non è e non deve diventare sobborgo, banlieue o favela, ombelico di rabbia che prima o poi detona. Non deve divenire nemmeno un “piccolo mondo antico” da idealizzare o in cui isolarsi. Per evitare ciò, però, bisogna essere convinti della ricchezza e del valore della propria identità che da lì scaturisce. Occorre avere gli strumenti e costruire le occasioni per veicolarla, strumenti e occasioni che possono anche essere recuperati nelle grandi metropoli. Né gelsomino, né ancor peggio rincospermo ma fico, la pianta con le radici più profonde di tutte le altre specie arboree, che resiste nel tempo, andando con le sue fronde anche lontano a cercare luce e ossigeno laddove esse sono presenti. Vale la pena credere nel positivo della provincia italiana, come un luogo “fico” (come la pianta ma non solo), in cui i nostri figli potranno crescere saldamente ancorati a terra, umanamente e non solo digitalmente connessi col resto del mondo.

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