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L'arte dell'osservare

Te lo sei perso.

Proprio adesso ti stai perdendo la maggior parte di ciò che sta succedendo intorno a te. Focalizzando la tua attenzione su queste parole stai ignorando un’impensabile quantità di informazioni che continua a bombardare i tuoi cinque sensi.

Con queste parole, Alexandra Horowitz, inizia il suo libro intitolato On Looking, nel quale ci mostra lo spettacolo dell'ordinario.

 

Il libro racconta di undici passeggiate che l'autrice fa, principalmente nel suo quartiere di Manhattan, con esperti diversi, tra cui un sociologo urbano, un’artista, un geologo, un medico e un progettista del suono. Alexandra ripete minuziosamente lo stesso percorso anche con il figlio di due anni e il suo cane per vedere come anche loro percepiscono il mondo che li circonda. L’obiettivo è osservare ciò che questi soggetti, così diversi tra loro, vedono a loro volta. In ogni passeggiata la protagonista si accorge di come l’attenzione di questi singoli individui si soffermi su particolari a lei totalmente sconosciuti fino all’attimo prima.

 

La stessa passeggiata assume ogni volta connotati e sfumature diverse. Come sottolinea l’autrice, l’osservatore esperto è colui che è consapevole di questa diversità di prospettive.

In un mondo caratterizzato da continui cambiamenti, siamo naturalmente portati a rimanere in superficie. Ci sembra di non avere tempo per andare in profondità, e a volte ci mancano proprio gli strumenti per farlo.

 

Nel corso della storia, diversi grandi pensatori hanno provato ad approcciare e svelare i segreti dell’arte dell’osservare. Tuttora rimane una questione ampia e complessa. A tratti, però, imprescindibile.

Pensate, ad esempio, a come è cambiato negli ultimi tempi il ruolo della fotografia. Prima dell’era digitale, per via di tutti i passaggi necessari, dei costi e dei tempi richiesti per lo sviluppo di un rullino fotografico, il fotografo si soffermava sul soggetto o paesaggio che fosse, per alcuni minuti, a volte ore. Oggi, attraverso la macchina fotografica integrata nel nostro smartphone, la fotografia è diventata alla portata di tutti e il modo di scattare le foto e l’uso che se ne fa sono stati completamente rivoluzionati. Un tempo le foto scattate e stampate erano relativamente poche rispetto ad oggi, e il fermarsi ad osservarle rappresentava un momento di contemplazione di una realtà passata, di una memoria. Le foto avevano il potere di richiamare alla nostra mente una serie di immagini, pensieri, emozioni e parole. E da parte nostra c’era la disponibilità a prendersi quell’attimo utile a cogliere tutte queste dimensioni. Oggi le foto sono scattate prima di tutto per essere condivise sui social e sui social stessi si tende a scorrerle con un gesto ormai divenuto meccanico e molto veloce. Ciò che conta è la prima impressione.

L’atto di vedere è alla base della nostra sopravvivenza. Vedere ci permette di sopravvivere, reagire a certi stimoli, capire cosa rappresenta una minaccia e cosa no, etc. In poche parole, la vista ci permette di etichettare ciò che sta intorno a noi, in modo da riconoscere ciò che ci circonda il più velocemente possibile. Quando invece osserviamo, non ci limitiamo ad etichettare, ma entriamo nella realtà che abbiamo di fronte, la facciamo nostra. Ci immergiamo in essa e quasi involontariamente abbandoniamo tutti i nostri costrutti mentali. Osservare fa sì che si aprano per noi dimensioni che non sarebbero accessibili tramite un convenzionale ragionamento prodotto dalla nostra stessa mente. Tramite l’osservazione siamo naturalmente proiettati verso l’altro e non più verso noi stessi. Questa apertura è ciò che ci permette realmente di conoscere a fondo ciò che ci circonda e pertanto di capirne l’essenza e il potenziale.

L’osservazione, proprio per la sua natura esplorativa, è la chiave che apre le porte alla creatività e all’innovazione; rivela ciò che non conosciamo, ed è, di conseguenza, alla base di qualunque progresso.

Quante volte, invece di cercare nuovi orizzonti, avete provato a guardare ciò che vi circonda con occhi nuovi?

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