Il Meglio del Piccolo

L'INCANTO come strategia da seguire

Nelle ultime tre settimane ho archiviato (dall’inserto di economia del Corriere della Sera) diversi articoli che iniziano e terminano con il tormentone della necessità della crescita delle nostre piccole imprese, presentato come il vero “limite strutturale dell’Italia S.p.A.”. Articoli in cui, in sintesi, si dice ai titolari: siete bravi, avete talento imprenditoriale, sapete fare innovazione, siete riconosciuti nel mondo, ma siete troppo ridotti, non siete dei veri campioni ma solo dei campioncini in miniatura. Ovviamente in questi scritti non si lascia mancare l’illusorio ragionamento del chissà cosa sarebbe stata la nonna se avesse avuto le ruote: “Che cosa riuscirebbero a fare i nostri imprenditori se, anziché affrontare la concorrenza delle super multinazionali dal posto di guida di piccole anzi a volte piccolissime potessero contare sulle spalle più robuste di società medio-grandi? Diciamo oltre il mezzo miliardo di euro”.

L’ipotesi mi disturba doppiamente perché, primo, viene formulata come se fosse facile chiedere a migliaia di piccoli imprenditori di passare in breve tempo da qualche milione a più di 500 milioni di euro e, secondo, come se fosse furbo per una azienda di minori dimensioni contrastare le super multinazionali sul loro stesso terreno, senza minimamente ragionare su strade alternative. Non viene detto che potrebbe essere molto più tattico proporre un altro gioco, seguire percorsi contro corrente, non battuti dai giganti che occupano i mercati di massa, evitando di infastidirli direttamente pena una molto probabile sconfitta della formichina italiana. Perché una logica così elementare non viene capita?

Insomma proprio mentre mi accingevo a reagire a queste proposte utopistiche, non contrapponendo l’ideale del “piccolo è bello” o quello della “decrescita felice”, in cui non credo, ma ribadendo per l’ennesima volta che grande non è sempre necessario e non è per tutti, che talvolta è rischioso, che la dimensione è una variabile gestionale da valutare con attenzione caso per caso, mi arriva per posta, in dono, l’ultimo libro di Riccardo Illy: “The art of excellent products”, illuminante nell’individuare una via alternativa a quella standard percorsa dalle super multinazionali.  

Leggendolo mi sono confortata: finalmente qualcuno di autorevole che capisce che il vantaggio competitivo delle migliori imprese italiane non sta innanzitutto nella crescita dimensionale ma deriva dall’arte - come recita il titolo - di realizzare produzioni che rasentano la perfezione. Finalmente qualcuno che teorizza la filosofia italiana della massima qualità come arma vincente sui mercati di tutto il mondo e decide di spiegarla in un testo scritto in inglese ad uso e consumo di un pubblico di businessman internazionali. Il risultato è una bella lezione di strategia competitiva che può essere d’ispirazione per chiunque voglia ripensare la propria attività rafforzandola nel lungo periodo.

A questo livello di qualità superiore da cui scaturiscono prodotti pressoché perfetti, Illy dà un nome suggestivo - INCANTO - che volutamente non viene tradotto lasciando al lettore anglofono l’onere ma anche il piacere di assaporare un concetto squisitamente italiano. Quello delle produzioni INCANTO, come già detto, è un posizionamento tipico delle aziende italiane famose nel mondo, che l’autore spiega essere fondato su quattro pilastri e su una decina di elementi di contorno. I pilastri sono chiari e devono essere scolpiti nella pietra: qualità assoluta dei prodotti percepita e riconoscibile da parte dei clienti, selezione di materie prime eccellenti, processi produttivi condotti senza cedere a compromessi legati ai tempi e ai costi ovvero a vincoli di produttività crescente, massima attenzione alla sostenibilità dell’intero progetto produttivo sia in termini sociali che economici e ambientali.

Oltre a queste fondamenta, Riccardo Illy identifica una serie di attributi o parole chiave che corroborano la strategia dell’INCANTO e che vengono dettagliati in modo chiaro nel testo: perfezione, coerenza, bellezza, autenticità, famiglia, semplicità, cura, affinamento, relazioni, pazienza e sorpresa.

L’idea proposta è che attuando passo dopo passo questi concetti, più facilmente all’interno di una famiglia disposta ad accettare ritorni nel medio lungo termine, si possono raggiungere risultati competitivi molto importanti, andando a soddisfare i bisogni di ordine superiore di una fetta crescente di consumatori nel mondo.

Tale traguardo - questa è solo una mia idea maturata a partire dalle considerazioni contenute nel libro - appare indipendente dalla dimensione d’impresa, la prescinde. La crescita non viene citata come il motore ma caso mai, come nel caso dell’ormai grande Gruppo Illy o della sua sub-holding Polo del Gusto, è solo una conseguenza di questo posizionamento.

Non è un caso che la grande scala non rientri né tra i pilastri né tra le parole chiave che nutrono questa strategia della qualità estrema. Al contrario si afferma che la produttività, ovvero la minimizzazione dei costi e l’incremento di volumi, tipica dell’approccio dell’industria di massa deve qui cedere il passo ai tempi pazienti e alle continue rifiniture di una produzione a regola d’arte. Non è casuale che in quasi duecento pagine non vi sia nemmeno un paragrafo dedicato alla crescita come condizione prioritaria di successo e che tra i casi esemplari di aziende italiane che portano avanti perfettamente l’arte di realizzare prodotti eccellenti non vi siano solo realtà di grandi dimensioni. Anzi molto spesso il contrario.

Anche la qualità come la tecnologia può essere disruptive e diventare fonte del vantaggio competitivo

 

Grazie Riccardo per avere spiegato in cosa consiste l’INCANTO delle nostre produzioni di livello superiore per realizzare le quali, ho desunto dai tuoi racconti di casi reali, la piccola dimensione non appare necessariamente come un limite e la grande non è sicuramente il primo elemento portante.

Solo un piccolo appunto finale. Ottima l’idea del libro pubblicato in inglese per divulgare, in America soprattutto, proprio nella culla delle produzioni di massa e delle mega società, questo nostro modello di produzione così originale, facendo cultura della qualità e promuovendo non solo in chiave turistica il nostro Paese. Hai ragione a voler far conoscere la nostra filosofia manifatturiera oltreoceano superando gli stereotipi che ancora ci perseguitano. Credo sia utile però anche una versione in italiano e una diffusione delle tue idee - modello road show - nelle scuole, nelle università, nelle associazioni imprenditoriali e sui media nazionali perché temo che i peggiori nemici dell’INCANTO, quelli che ancora non hanno capito o fingono di non capire che la forza delle imprese italiane non sta in prima battuta nella loro dimensione ma nella qualità dirompente della loro offerta, siano pericolosamente dentro “casa”. Sono i cantori dell’UTOPIA. Coloro che potrebbero attaccare questa tua proposta definendola troppo elitaria ed esclusiva, senza comprendere, come tu sai bene, che ci sono ormai nicchie di consumatori in giro per il mondo talmente importanti numericamente da non poter essere più considerate tali e senza dubbio esprimenti quote di mercato di grandissimo interesse per le nostre piccole imprese. Non si sta parlando di settori del super lusso ma di prodotti di qualsiasi genere, dalla pasta agli strumenti musicali come quelli da te esemplificati, fatti a regola d'arte. Gli acquirenti non sono necessariamente milionari ma certamente persone preparate, disposte a pagare qualcosa in più per la vera qualità, propensi a consumare meno ma meglio, attenti non per moda e in superficie ai temi della tutela ambientale e sociale, sensibili, per fortuna, all’incanto delle cose buone e belle, clienti dunque perfetti per le nostre realtà familiari.

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