Il Meglio del Piccolo

La via strategica per le PMI italiane

Cari imprenditori,

sono reduce da quattro giorni al sud, in Calabria precisamente, a contatto con l’imprenditoria locale. In particolare mi sono confrontata con un’azienda impegnata nella realizzazione di infrastrutture stradali con cantieri in tutta Italia. Si tratta della Sposato Costruzioni S.r.l. guidata con visione e gestita con dedizione da Gianfranco Sposato assieme al suo team di responsabili. In un settore che non brilla per l’innovazione e lo status delle maestranze (che, tanto per cambiare, non si trovano facilmente), in un comparto maturo e tradizionale, in un territorio storicamente non facile, ho trovato l’ennesimo caso di impresa forte, che potrà crescere ancora come conseguenza del suo perspicace posizionamento: essere la boutique delle infrastrutture, specializzarsi nelle opere più difficili come le gallerie in territori impervi e isolati dove solo pochi osano spingersi. Una strategia basata sul confronto con chi è più avanti, sulla qualità e sul servizio, sulla specializzazione, sulla ricerca della dimensione giusta per competere laddove la crescita diventa l’esito e non un fine da inseguire con target di fatturati in perenne e dunque insensato rialzo.  Per dare conferma a questo tenace imprenditore e al suo team della bontà della direzione da loro intrapresa, ho proposto un parallelo che uso spesso in aula, con riferimento a due aziende vinicole che hanno marchi molto conosciuti nel settore e sono quindi di facile interpretazione.

La prima azienda è quella del Tavernello. Come qualcuno sa, dietro a questo noto marchio, c’è Caviro, la cantina più grande d’Italia che raccoglie circa 730.000 tonnellate di uva da circa 13.000 viticoltori e le lavora in 30 siti sparsi in 7 regioni italiane

La seconda è quella di Martin Foradori Hofstätter, titolare a Termeno di una cantina, con vigneti dislocati sui due versanti dell’Adige che utilizza solo vitigni per tradizione legati al territorio. Durante il periodo della pandemia ha avuto molto risonanza sui giornali e telegiornali, la notizia della decisione presa da questo imprenditore di noleggiare un jet privato per far arrivare in Italia una decina di collaboratrici dalla Romania. L’investimento si è reso necessario perché le lavoranti, causa restrizioni da emergenza sanitaria, erano bloccate al confine ungherese. Per Martin Foradori, le loro competenze specifiche e la loro esperienza unica nelle potature “a verde” hanno un impatto talmente importante sull’andamento della produzione, da valere certamente di più del costo, pure altissimo, di un trasferimento su un aereo privato. L’alternativa di risparmiare rivolgendosi a manodopera non qualificata e non specializzata non è stata considerata perché non coerente con la qualità che si vuole ottenere, qualità che passa dalla maestria che queste signore rumene hanno dimostrato di possedere di vendemmia in vendemmia.

 

Eccoci al dunque. Cosa può imparare l’imprenditore calabrese, impegnato nella cantieristica, dal parallelo tra Tavernello e Hofstätter? E cosa potete imparare Voi lettori?

 

Quattro sono i punti da porre sotto attenzione.

Primo punto. Esistono molti modi per fare impresa (addirittura nello stesso settore) e possono essere tutti ugualmente validi. Tutti hanno validità purché riescano, in un orizzonte di medio lungo termine, a generare profitti dopo avere remunerato dignitosamente coloro che vi hanno collaborato, dai dipendenti ai fornitori per citare i primi della lista.  Il banco di prova sarà il mercato e i risultati che negli anni - non solo al primo colpo - si riusciranno ad ottenere. Da questo punto di vista, la cooperativa Caviro, che non possiede direttamente i terreni, che raccoglie uva da tutta Italia, senza prediligere un terroir specifico, che ha la capacità di pagare campagne pubblicitarie importanti ingaggiando agenzie di prima classe e che, grazie a questa massiccia comunicazione, vende il suo vino, alla grande distribuzione, sta dimostrando di riuscire a sopravvivere bene sui mercati pur essendo l’esatto opposto di Hofstätter. Qui i terreni sono di proprietà della famiglia da quattro generazioni, i vitigni sono legati alla tradizione di quel territorio specifico, la comunicazione si basa sulla reputazione e sul passaparola degli appassionati di vino che gli riconoscono il prezzo di un prodotto di altissima qualità, una qualità senza compromessi anche a costo di pagare un volo su un jet privato alle proprie maestranze pur di averle presenti per la stagione.

Due modi di fare impresa completamente differenti ma entrambi fino ad oggi, alla prova dei fatti, ben funzionanti, di successo.

Secondo punto. Quale modello privilegiare in Italia? Se mi venisse chiesto un parere su quale tra i due modi consigliare ad un giovane che volesse iniziare a produrre vino nel nostro Paese, non avrei dubbi. Senza pretendere di giudicare i buoni e i cattivi, non spetta a me e non voglio farlo, sono convinta che il modello da seguire per chi deve partire e vuole avere una maggiore probabilità di successo, nel vino ma anche in molti altri settori, compreso quello delle infrastrutture viarie, è quello di Hofstätter e non di Tavernello. Perché? Perché il modello scelto dall’imprenditore atesino è quello che storicamente e culturalmente ci appartiene, fa parte del nostro DNA, di noi italiani che abbiamo avuto il Rinascimento e il Monachesimo. E’ anche quello statisticamente più diffuso e, dulcis in fundo, è quello che il mondo chiede alle imprese italiane. Qualità, originalità, varietà, unicità ai massimi livelli: questo ci viene domandato, non mediocrità e standardizzazione. Quindi a chi deve ancora partire, avendo almeno potenzialmente le capacità, mi sento di dire che, scegliendo di fare impresa in Italia, sia più logico e più conveniente seguire la strategia alla Hofstätter piuttosto che il "modello Tavernello". Non solo. La strategia della qualità paga sempre e paga meglio, i clienti “incantati” tornano, disposti a riconoscere un maggior valore al prodotto o alla prestazione. Certamente è una strada più difficile, ma proprio per questo se si impara a percorrerla permette di distinguersi e lasciare indietro la massa e ciò vale dall'Alto Adige alla Calabria!

Terzo. La piccola dimensione come esito di una strategia fondata sulla qualità. Il modo di fare impresa all’italiana (aggettivo che qui non è sinonimo di furberia, opportunismo e approssimazione), è connotato da scelte di prodotto, di mercato e di tecnologia che vanno nella direzione della cantina altoatesina e questa tipica strategia, in particolare nel vino ma non solo, si realizza meglio - cioè più facilmente - nella piccola dimensione. Questo è un passaggio chiave: la strategia della qualità trova nelle minori dimensioni la sua scala ideale per esprimersi e manifestarsi al meglio. Allora, per intenderci definitivamente anche sulla questione dimensionale, non si vuole sostenere che piccolo è sempre bello, non siamo per la piccola dimensione fine a sé stessa. Piuttosto interessa affermare che la piccola dimensione è la conseguenza, è l’esito logico di una idea strategica fondata sulla massima qualità, alla Hofstätter, perché i vitigni di Traminer sono solo lì e sarebbero diversi altrove, sono solo lì e non sono illimitati.

Quarto. Le insidie della crescita. Una cantina di questo tipo ha un limite fisiologico: può ampliarsi fino al punto in cui la dimensione non arriva a stravolgere la strategia originaria, facendo venire meno le caratteristiche del prodotto e obbligando ad andare verso un mercato più ampio per coprire i costi crescenti di produzione e di marketing. Nulla vieta di crescere oltre ma occorre avere la consapevolezza che, se non si riesce a resistere alla chimera dei grandi numeri, nel lungo periodo si cambierà strategia e si tenderà verso qualcosa di simile al "modello Tavernello". E allora, sempre per farvi ragionare, vi domando se ha senso, partendo da un posizionamento di qualità come quello della cantina alto atesina, muoversi verso l’altro molto più standard? Nel lungo periodo l’aumento dei ricavi sarà in grado di ripianare la perdita di immagine e di reputazione del vostro marchio? Non vi è una risposta certa a queste domande, potrebbe anche valerne la pena, ma in presenza di un dubbio conviene fare delle valutazioni prima di buttarvi a capo fitto nella crescita. Probabile è che, se seguirete la strategia di diventare la più grande cantina d’Italia, vi potrebbero ad un certo punto servire risorse di terzi, che non è qualcosa di male in assoluto, ma è la strada che porta alla finanziarizzazione con tutto quello che ne consegue in termini di possibilità di incidere in pieno sulla direzione da imprimere alla vostra impresa. Molto probabile inoltre, se percorrerete la via della crescita, che la vostra organizzazione da “uomo solo al comando” andrà in crisi. E allora pronti, se andrete per quella via a managerializzare la vostra impresa, ma pronti anche a scontrarvi, subito dopo, con la carenza di manager in un Paese come il nostro. Arrivati a quello stadio non vi potrete lamentare della scarsità di profili manageriali in Italia - “chi è causa del suo mal pianga se stesso….”- altrimenti vi proporrei di tornare al punto uno e due di questo ragionamento. Di riconsiderare cioè l’idea che, pur esistendo mille modi diversi per fare impresa, tutti legittimi, poteva essere conveniente scegliere quello più adatto al terreno di gioco su cui si è deciso di giocare.

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