Il Meglio del Piccolo

Un nuovo volto al Sud

Partiamo da alcuni dati economici di base. Il PIL del Mezzogiorno nel 2023 è stato dell’1,3%, contro la media nazionale italiana dello 0.9% e quella Europea dello 0,5%. Campania e Puglia nel periodo 2020-2023 hanno consolidato una crescita dei loro PIL regionali rispettivamente del 4,9% e del 6,1%, rispetto ai livelli pre-pandemici del 2019. Stesso trend positivo vale per l’occupazione: al Sud è aumentata del 2,5%, molto di più di quella nazionale (1,8%) e di quella UE (1,2%). La crescita del PIL del Mezzogiorno è stata lo scorso anno quasi doppia rispetto alle previsioni di Banca d’Italia, un dato che la dice lunga su come il Meridione abbia stupito un po’ tutti compreso i più autorevoli osservatori. Potrei proseguire sciorinando altri numeri sugli investimenti in miliardi di euro nel 2024 di STM, la grande multinazionale dei semiconduttori italo-francese a Catania, o di quelli relativi al PNRR per l’avvio delle opere infrastrutturali nelle zone economiche speciali al Sud. Un rinnovato clima di fiducia, una concretezza degli investimenti pubblici e una riscoperta attrattività degli investimenti privati sembrano essere tratti ricorrenti di questa fase di sorprendente vitalità dell’economia meridionale.

Cosa c’è dietro questo cambio di passo? Si tratta di risultati episodici o di un inizio di tendenza che possiamo considerare di medio termine?

Provo a ipotizzare una risposta sfruttando il mio specifico osservatorio sul Mezzogiorno, fatto di imprenditori che frequentano i miei corsi, di ex laureati che mi raccontano le evoluzioni delle loro carriere, di interventi di miglioramento organizzativo nelle aziende del Sud che mi portano a conoscere “dall’interno” questi territori e i loro ambienti di lavoro.

Negli ultimi due anni, forse non a caso, ho avuto occasioni crescenti di frequentare imprese - in Campania, Puglia e Sicilia in prevalenza - che mi hanno permesso di toccare con mano, passando dal macro al micro, questa evoluzione in essere. Senza minimamente voler negare tutti i problemi endemici del Mezzogiorno, qualcosa sta cambiando, dal mio punto di vista, anzitutto nelle persone. Mi riferisco in particolare agli imprenditori. C’è una generazione, fatta di giovani tra i venti e i trent'anni, che si muove con una capacità, un dinamismo ed una velocità che va totalmente contro l’immagine di arretratezza e di scarso sviluppo economico che abbiamo sempre avuto del Meridione. Sono ragazzi e ragazze che non possono non avere alcun complesso d’inferiorità con i loro pari al Nord. Non leggere questa tendenza e restare legati solo allo stereotipo negativo del passato impedisce di cogliere il nuovo che avanza, anche se fosse solo un minimo raggio di luce nella penombra. Saranno anche eccezioni ma iniziano a non essere più isolate. Non sono un sociologo, ma mi pare di poter ricostruire, sulla base di una serie di evidenze concrete, che, venute meno le politiche industriali della Cassa del Mezzogiorno, andati più o meno in crisi i grandi insediamenti industriali che avevano portato alla desertificazioni dell’imprenditorialità pulviscolare (soprattutto di matrice agricola), è nato, in quei territori, un tessuto di micro aziende guidate, in prima generazione, da artigiani che oggi, se ancora viventi, sono ottantenni. Il profilo di questi fondatori, nei casi che ho approfondito, pur nella diversità dei settori in cui hanno scelto di operare, dall’alimentare, al metalmeccanico, all’impiantistica, ai trasporti, è molto simile. Persone di umili origini contadine, con bassi livelli di scolarizzazione (quasi inesistenti), con molta, moltissima inventiva e determinazione, rafforzata dalla necessità di muoversi in un ambiente ostile ma, paradossalmente, proprio per questo ricco di opportunità per chi è capace di coglierle. A loro è subentrata una seconda generazione, attualmente al comando, di cinquantenni che hanno guidato l’evoluzione dalla prima fase artigianale a quella successiva dello sviluppo industriale, passando da un raggio d’azione locale ad uno nazionale fino a spingersi su scala globale. La proprietà, ancora totalmente familiare, ha visto negli anni, un coinvolgimento nei diversi ruoli aziendali, di parenti e compaesani, cresciuti anche loro come i titolari da autodidatti, con tanta buona volontà, orgoglio di appartenenza e sacrificio. Per una questione semplicemente anagrafica, stanno facendo capolino in queste realtà, i membri della terza generazione. E’ in questa coorte che, a mio avviso, emergono profili molto interessanti. Sono diversi rispetto al passato e sono differenti anche dai rampolli esponenti di una imprenditorialità più datata, più diffusa nei grandi centri industriali del Nord, che ha progressivamente virato sulla finanza. Questi giovani successori sono cresciuti al sud, in comuni medio-piccoli, educati in contesti in cui la famiglia, spesso numerosa, ha fatto da riferimento in modo tradizionale, se si può dire.  I nonni sono stati conosciuti e ammirati dai nipoti in quanto pionieri in un contesto difficile che faceva emergere nettamente le loro capacità. Sia i nonni che i genitori sono relativamente giovani, c’è stato spazio per una lunga convivenza tra generazioni, che ha permesso di assorbire i valori che la famiglia ha progressivamente portato in azienda. A differenza di chi li ha preceduti, dopo le superiori, la nuova generazione è “emigrata” al nord, non per lavorare come si faceva un tempo, ma per studiare e lo ha fatto con l’ambizione di chi, conseguendo il titolo, diventava il primo laureato in famiglia. Il percorso universitario ha portato questi ragazzi, come ormai consuetudine, a trascorrere periodi all’estero, a imparare l’inglese, a muoversi con la certezza di chi ha origini ben salde, nelle metropoli del mondo. America o Asia con nonchalance. Dopo la laurea e in qualche caso un master, hanno scelto di restare ancora un po’ fuori, di sperimentare in contesti manageriali, spesso di grandi dimensioni, le professioni per cui hanno studiato. Società di consulenza, banche d’affari, multinazionali nei beni di largo consumo. Lo hanno fatto per qualche anno prevedendo già di voler tornare a casa, nell’impresa di famiglia che nel frattempo - per merito dei nonni e dei genitori - è diventata più media che piccola. Sono quindi rientrati al Sud con delle competenze complementari a quelle di chi li ha preceduti e con una apertura mentale tipica di chi ha conosciuto mondi diversi.  Riconoscono con lucidità e spirito critico, avendo sperimentato anche il modello opposto, le peculiarità delle loro PMI familiari, legate ad un territorio di origine che spesso è molto bello e che, per tanti aspetti, rende la qualità della vita molto piacevole. Hanno una cosa in comune con i loro avi: sono desiderosi di progresso e motivati ad imprimere un ulteriore cambiamento. In modo molto naturale, con l’energia dei loro trent’anni, senza sentirsi degli eroi salvatori, stanno contribuendo, caso per caso, nel loro piccolo, a dare un volto nuovo al Sud.

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