Il Meglio del Piccolo

Regole di base per la successione

Il tema del passaggio generazionale in Italia non può che essere considerato riconoscendo le peculiarità del modello economico di sviluppo tipiche del nostro Paese. Non si può prescindere dalle quattro caratteristiche che lo connotano: le piccole dimensioni delle aziende, la presenza di imprenditori alla loro guida, la proprietà familiare, la vocazione prevalentemente manifatturiera. Non comprendere il “contesto” impedisce di impostare correttamente la questione della successione. Questi tratti non sono sbagliati, lo diventano se mal gestiti, se non valorizzati per quello che possono dare. Quando, in particolare la presenza della famiglia diventa nepotismo e familismo amorale, come piace dire ai detrattori del modello italiano? Come evitare questa degenerazione? Tre i punti principali che possono servire come regole di base da seguire.

 

  1. Non c’è familismo quando il passaggio viene studiato, analizzato e pianificato in modo il più possibile razionale, non soggettivo e personalistico. Le cose funzionano quando in azienda si ha il coraggio di discriminare – una parola che oggi non è per nulla in voga – ovvero di discernere tra i potenziali successori chi, più degli altri, può essere meglio titolato al comando. Discernere nel senso etimologico del termine: vedere meglio, comprendere chiaramente le attitudini delle nuove generazioni per poi orientare la loro formazione, assegnando il ruolo più consono. In famiglia non si dovrebbero fare differenze ma in azienda sì!

 

  1. In una impresa di famiglia ci sono tre possibili ruoli da ricoprire diversi da quello imprenditoriale. Come è ben noto il talento dell’imprenditore, fatto di un mix di ostinazione, inventiva, coraggio, dedizione non si trasferisce in automatico col cognome e, a mio avviso, si impara dappertutto tranne che dietro banchi di scuola. Se il talento imprenditoriale non fosse riconoscibile ugualmente in tutti i successori, è bene sapere che ci sono almeno altri tre ruoli che un erede può occupare. Proprietario, manager odipendente operativo.  Proprietario ovvero erede detentore di parte o dell’intero capitale sociale che può vendere in qualsiasi momento. E’ una figura che deve saper monitorare al meglio il suo investimento affidando la conduzione dell’azienda ad un imprenditore (in chiave di CEO o Amministratore Delegato) con il quale deve costruire una relazione di fiducia importante. Manager, ovvero dipendente, in grado di gestire con metodo una unità funzionale di un’azienda e le relative persone, privo però di quella abilità di visione e di propensione al rischio che connota il profilo imprenditoriale. Dipendente operativo ovvero figura che preferisce seguire le direttive di altri nell’attuare un mandato o restare, pur con un certo grado di autonomia, a svolgere un compito specifico e delimitato, senza responsabilità di gestione di persone e capitali. Tre “mestieri” differenti che richiedono preparazione e attitudini specifiche che potrebbero calzare a pennello su un erede e non su un altro (anche quando figli dei medesimi genitori). Distinguerli, anche se nella realtà di molti fondatori di prima generazione possono presentarsi sovrapposti, 
  2. Uno specchio esterno consente di vedere meglio. Poiché, come si dice “ogni scaraffone è bello a mamma sua” e non tutti i figli sono ugualmente dotati, dal lato dei genitori, per evitare l’insidia di una successione solo dinastica o di una pericolosa pretesa di equità di ruolo tra i successori, sarebbe utilissimo far valutare la generazione entrante da persone esterne alla famiglia, che siano in grado di esprimere un giudizio sulle reali potenzialità imprenditoriali dei giovani successori piuttosto che sulle loro abilità manageriali o operative. Dal lato dei giovani, l’occhio di un esterno, può servire a smorzare la velleità di chi si ritiene “monarca” senza avere le phisique du role o a svincolare chi è presente in azienda non per una reale vocazione a quel lavoro ma per questioni personali, per non deludere il genitore, per non perdere la sua stima e il suo affetto o, peggio ancora, per forma, per il blasone di famiglia. Questi eredi vanno guardati con attenzione prima di complicargli la vita, intrappolarli e fare il male dell’azienda. Riconoscere prima possibile la presenza o meno del tratto imprenditoriale può giovare a tutti. In assenza di questa caratteristica nella progenie, il senior potrà costruirsi una squadra manageriale designando man mano, dall’interno, un valido successore anche al di fuori della famiglia o potrà ricercare un esterno. Il successore non sarà costretto a passare il resto dei suoi giorni in un clima di fatica, scontentezza e difficoltà crescente per il confronto insuperabile con il titanico genitore. Capire prima possibile il proprio talento, facendosi aiutare da chi può fare da specchio oggettivo e imparziale, offre un vantaggio senza prezzo al successore: quello di poter trovare il posto giusto in cui stare. Il mancato riconoscimento della diversità rispetto al genitore conduce invece ad una vita piuttosto grama in azienda e spesso anche fuori da essa poiché giudicati da tutti sempre in difetto rispetto alla generazione uscente. In quei casi la questione passa di sovente agli psicologi e agli psichiatri, che intervengono per suturare ferite di insoddisfazione che con un po’ di discernimento si potevano evitare.

 

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