
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 17 sett 2025
- 4,5 giorni
- Class
- Italiano
Apprendere metodi e capacità di intervento organizzativo per adeguare la struttura aziendale alle attuali esigenze di fluidità e flessibilità di assetti e funzioni.
Imprenditore e manager sono due pianeti distinti che, nelle PMI, possono e devono non essere distanti, integrandosi al meglio, nel riconoscimento, però, delle reciproche differenze.
Troppo spesso - solo pochi giorni fa lo riscontravo nella brochure di un corso di formazione per imprenditori - i due ruoli vengono confusi, banalizzati nelle loro differenze e utilizzati come sinonimi. So che le divisioni manichee possono irritare e che la realtà è zeppa di zone grigie ma non va bene, si tratta di una mancanza di chiarezza che, portata su altri piani, potrebbe non aiutare a collocare le persone nelle posizioni giuste in azienda rispetto alle loro attidutini. Pensate, per esempio, quando la confusione riguarda i successori, sorelle, fratelli o cugini incardinati in ruoli imprenditoriali senza averne le caratteristiche o, viceversa, costretti a indossare vesti manageriali non confacenti al loro "fisico". Non discernere può diventare davvero pericoloso e addirittura, in certi casi, compromettere la continuità dell'azienda.
Per dare qualche spunto di riflessione e di autonalisi delle proprie attitutini - oltre a consigliarvi di approfondire il classico e insuperato modello di E. Schein sulle ancore di carriera - vi propongo una riflessione molto semplice ma efficace scritta da un collega che da molti anni si occupa di processi organizzativi e di selezione del personale. Il simpatico parallelo che viene proposto per autovalutarsi è quello tra il gatto randagio e quello casalingo. Facile l'analogia tra l'imprenditore "randagio" -autonomo e individualista - e il manager "di casa" - politico, diplomatico e metodico. Così scrive l'amico Stefano Miccoli:
"Il gatto randagio è sostanzialmente un disperato e un indipendente. Ogni giorno deve trovare un sistema per soddisfare le sue necessità primarie. Qualche giorno va bene, qualche altro meno.
Quotidianamente deve combattere con i suoi simili, per conquistare e difendere quello che ha trovato. E quando il tempo è brutto, deve trovarsi un riparo alla bell’e meglio. Affina continuamente le sue capacità di lotta, di furbizia e di intelligenza spicciola.
Il gatto di casa è invece un animale sofisticato e politico. Vive in casa con esseri umani. La sua vita è più complicata. Sa che quando arriva la padrona di casa deve lasciarle la sua poltrona preferita. Quando passa la nonna, che ci vede poco, deve scansarsi altrimenti rischia l’incidente. Quando c’è il bambino nei paraggi meglio infilarsi sotto al letto se non si vuole essere presi per la coda.
A fronte di questo stress quotidiano, però, ci sono i croccantini e l’acqua fresca e pulita ogni giorno. E il calduccio quando fuori fa freddo e un tetto quando fuori piove.
È vero, quando c’è una bella giornata e si mette alla finestra prova invidia per i gatti randagi che vede fuori e sembra si divertano un mondo. Ma forse non conosce il rovescio della medaglia e ricorda poco i suoi privilegi domestici.
Il gatto randagio, quelle volte che viene portato in casa, non dura due giorni. Alla nonna che gli schiaccia la coda le tira una unghiata e non capisce perché si arrabbino tanto quando ruba la bistecca dalla tavola o si fa la manicure sul divano. Ma anche il gatto di casa, che per qualche circostanza sfortunata si trova per strada, ha vita dura, perché non è abituato alla lotta per la sopravvivenza.
Chi lavora deve capire a quale “categoria felina” appartiene.
C’è chi sente il bisogno di crescere professionalmente in un ambiente complesso ma motivante come l’organizzazione che a vario titolo chiamiamo azienda, ente, associazione. Lì sente di poter esprimere appieno il suo potenziale, fatto di conoscenze ma anche di capacità di lavorare in gruppo.
C’è chi invece in azienda si sente stretto e soffre la mancanza di indipendenza. Ha quello che si chiama spirito imprenditoriale e preferisce rischiare in proprio. Sa che può contare solo su sé stesso, ma non può fare a meno di sentirsi libero da vincoli e gerarchie.
Sono scelte, entrambe rispettabili e che vanno rispettate, soprattutto da chi le vive. Consapevoli che l’uomo azienda avrà difficoltà se decide di uscirne per operare in proprio. Gli mancano i punti di riferimento e le risorse a cui può attingere, una organizzazione alle spalle che lo può supportare. Mentre chi è abituato a muoversi in maniera indipendente, in azienda soffrirà molto per i tempi decisionali, la burocrazia e il dover dipendere da altri.
Si tratta di aspetti da tenere in considerazione sia per chi lavora sia per l’azienda che assume."
La diversità di ruolo non va tenuta in considerazione solo nei processi di selezione o successione con più eredi al trono ma anche per prevenire svolte di carriera quali quelle, nella maggior parte dei casi sciagurate, di chi, avendo una buona esperienza manageriale, decide o si fa convincere a lanciarsi in improvvide avventure imprenditoriali, pensando che quel tipo di competenze possano essere sufficienti per dar vita ad una azienda. La fine del gatto casalingo proiettato in tangenziale non è certa ma abbastanza probabile... meditate quindi e cercate di capire di che "categoria" siete, anzitutto per il vostro bene.