Il Meglio del Piccolo

Il talento segreto degli imprenditori

Sono reduce da una full immersion in un’impresa napoletana. La necessità avvertita che ha richiesto il mio intervento è quella tipica delle PMI di successo: si sente il bisogno di ordine e di deleghe chiare a fronte di una crescita impetuosa per gestire ancor meglio le opportunità che si presenteranno in futuro. L’imprenditore è arrivato a traguardi importanti grazie alla sua capacità squisitamente commerciale di leggere i bisogni del mercato ma, direi soprattutto, per via del suo talento nella gestione dei fornitori che, in questo caso, sono cinesi. Senza mettere piede in Cina da più di dieci anni, questo signore oggi cinquantenne, dopo quasi trent’anni di pratica, riesce a valutare i suoi interlocutori orientali anche solo da come si esprimono nelle chat su WhatsApp e a negoziare con loro proficuamente a distanza senza averli mai conosciuti di persona. Napoletanità a parte (che pure contribuisce) , da dove viene “l’X factor” di questo imprenditore e di molti altri che ho la fortuna di incontrare e conoscere? Come si forma il talento imprenditoriale? 

Scoperta la propria vocazione (per un prodotto, un settore o una tecnologia), senza essere per forza in partenza dei talenti assoluti, quello che vedo in prevalenza è che gli imprenditori si dedicano, nel senso etimologico della parola: cioè darsi completamente, arrendersi. Un primo tratto comune a molti imprenditori di successo è l’assenza di un talento innato e un impegno smisurato ad un mestiere, ad una attività, in un determinato settore. Capita che magari scoprano per caso la loro vocazione e che poi nelle loro storie prevalga una dedizione crescente: il risultato viene dopo e viene da lì. Contrariamente all’idea di fare esperienze diverse e di cambiare continuamente, da queste storie emerge l’ipotesi della specializzazione, dell’approfondimento costante e prolungato su un “tema” specifico. Sono in prevalenza persone che, a costo di apparire un po’ fuori moda, NON hanno affrontato i loro anni di formazione come normalmente facciamo navigando sul web, spostandoci rapidamente da un sito all’altro, restando spesso in superficie, scoprendo cose nuove ma senza mai il tempo, la possibilità o la voglia di approfondirle, con il rischio, a furia di passare anzi di “switchare”  da un tema all’altro, data l’immensità delle proposte, di uscirne stanchi e confusi. Piuttosto hanno impostato il loro percorso come lo scavo di una miniera sotterranea: andando sempre più in profondità lungo il canale principale e deviando poi in cunicoli laterali per portare in superficie il massimo, raccogliendo giorno dopo giorno quello che si poteva trarre dallo scavo progressivo. E’ con il sacrificio della miniera e non con la bulimia del cambiamento che sono diventati quelli che sono. Nei loro percorsi si rintracciano sempre gli stessi ingredienti, che ormai sanno di vecchio e di pre-moderno: fatica, sacrificio, costanza. Termini che indicano l’opposto di quella ricerca della via più breve, meno pesante e reversibile che viene proposta come strada per un benessere che non può essere che effimero e, per l’appunto di superficie, come i mezzi usati per raggiungerlo. Incontro di continuo imprenditori anche giovanissimi che dimostrano che non c’è apprendimento senza fatica, che non si arriva a buoni risultati senza uno sforzo significativo, prolungato nel tempo, disciplinato e costante. Figuratevi quante lacrime e sangue per arrivare a prestazioni eccellenti. Si può leggere molto sui “fuoriclasse”. Lo trovo interessante e divertente: da Mozart a Beethoven, passando per i grandi campioni di scacchi, per arrivare ai Beatles, a Bill Gates, Steve Jobs, ai recordman dello sport e delle imprese estreme. In tutte queste grandi avventure umane ricorrono con una frequenza assai singolare gli stessi ingredienti.

Ho riscontri frequenti, non scientifici, ci mancherebbe, dell’ipotesi che l’intuizione derivi solo da una prolungata e rigorosa esposizione ad un tema specifico. Continuo a raccogliere indizi a sostegno della citatissima teoria delle “10.000 ore” dello psicologo svedese Ericsson che dimostra che le grandi prestazioni in qualsiasi campo, dalla musica agli scacchi, dagli sport all’arte e alla letteratura, derivano in maniera preponderante dall’esercizio piuttosto che da capacità innate e che le potenzialità di ciascuno, per trasformarsi in successo concreto, non possono prescindere dalla dedizione, dal rigore, dalla coscienziosità. I migliori imprenditori che ho conosciuto, anche ma non solo per la vicinanza “casa e bottega” e per la sovrapposizione tra famiglia e impresa in cui molti di loro sono cresciuti, hanno superato fin da giovani la fatidica soglia delle 10.000 ore oltre la quale si inizierebbe ad essere esperti di qualcosa. Allontanarsi dall’idea del cambiamento continuo, del provare sempre cose nuove, dalla teorizzazione che si possa essere uomini e donne buoni per ogni stagione, mi appare essenziale per arrivare a dei livelli significativi di prestazione nel campo che si è scelto, per potersi minimamente distinguere in un mondo complicato e selettivo come il nostro. La superficialità può pagare ma solo nel breve periodo. L’approfondimento alla lunga vince. Lo stiamo vedendo in questo periodo. I “qualcosisti” non durano. Le avventurette personali senza alcuna disciplina nemmeno. Solo chi ha un interesse profondo è capace di sopportare sacrifici enormi, pur di realizzare il suo progetto. L’impegno vince sul talento e “il caso aiuta solo chi è preparato”.

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