Il Meglio del Piccolo

Per le PMI e per l'italia

Interessantissimo l’intervento di Marco Fortis, Direttore e Vicepresidente della Fondazione Edison, che ha descritto il posizionamento dell’economia italiana nel contesto globale, mettendo in luce i principali fattori di competitività, il commercio estero e la forza del settore manifatturiero del Paese. Fortis è uno dei pochi economisti “amico” del capitalismo di piccola impresa e dunque dell’Italia, che invece di sottolineare sempre e solo i limiti di questo modello ne evidenzia (con la forza dei numeri e delle sue analisi oggettive) i risultati positivi. Ben venga quindi una voce fuori dal coro che si oppone alle litanie decliniste e ai soliti cliché allarmisti dei mass media contro le aziende di minori dimensioni.

Fortis ha sottolineato come l'Italia si posizioni al settimo posto mondiale per valore aggiunto nel settore manifatturiero, un traguardo significativo che dimostra la capacità di resilienza delle imprese italiane, soprattutto nei settori tradizionali. Sul fronte delle esportazioni, Fortis ha illustrato come nel 2023 l'Italia si sia affermata tra i principali paesi esportatori, registrando un surplus commerciale notevole rispetto ad altre economie del G20. Nei primi sei mesi del 2023, l’Italia ha eguagliato per esportazioni il Giappone, una nazione che oltre ad avere una grandissima e qualificata industria, ha una popolazione doppia rispetto alla nostra. Per arrivare ad un tale risultato (660 miliardi di euro nel 2023), l’export italiano non si è mai fermato negli ultimi tempi: attualmente siamo il quarto Paese al mondo assieme ai nipponici per esportazioni. Questo risultato positivo è sostenuto principalmente dal comparto manifatturiero, che rappresenta una colonna portante dell'economia italiana.

Fortis ha poi posto l’attenzione su quelle che definisce le “Magnifiche Sette” del Made in Italy allargando la definizione tradizionale: moda, mobili, alimentare e bevande, prodotti metallici, macchinari, yacht di lusso e prodotti farmaceutici. Questi settori strategici rappresentano il 60% delle esportazioni italiane e hanno contribuito nel 2023 a generare un saldo commerciale di circa 206 miliardi di dollari, un valore che testimonia l’importanza economica del Made in Italy nel mondo.

Anche l’innovazione e la tecnologia giocano un ruolo centrale. L’Italia si distingue per gli alti livelli di investimento in tecnologia e robotizzazione nel comparto manifatturiero, in particolare nei settori dei macchinari e della metallurgia. Questo impegno verso la tecnologia non si limita ai settori tradizionali: anche ambiti ad alta tecnologia come il farmaceutico e le macchine utensili rivestono un’importanza crescente, confermando che il Made in Italy non è soltanto moda e cibo, ma si estende anche a settori altamente tecnologici e innovativi.

L’Italia è oggi tra i Paesi del G7, sempre a pari merito col Giappone, quello che ha il rapporto più alto per investimenti in macchinari e mezzi di trasporto sul PIL, superando rispetto a questo indice la Germania e gli Stati Uniti. La nostra manifattura è sesta al mondo per numero di robot installati cioè continuiamo ad operare in settori tradizionali ma con un livello tecnologico nei processi sempre più sofisticato ed automatizzato. L’elenco dei record sciorinati dal Prof. Fortis non si ferma a questi numeri ma vi rimando alla sua presentazione per maggiori dettagli. Ciò che però interessa è partire da questi dati per impostare un ragionamento logico.

 

Se il nostro, ormai è noto, è per la stragrande maggioranza un capitalismo di piccole imprese manifatturiere di proprietà familiare, chi saranno mai i fautori di questi risultati clamorosi? Chi dovremmo riconoscere e valorizzare come campioni indiscussi di questi oggettivi traguardi? Se esistesse ancora un poco di logica dovremmo arrivare ad affermare con forza e convinzione che non solo la nostra economia non è al tracollo ma ha saputo tenere testa ad una serie di crisi pesantissime negli ultimi vent’anni: la globalizzazione nei primi anni del 2000, la crisi dei mutui subprime nel 2008 (dove noi non c’entravamo nulla), la crisi della Grecia e poi quella del Covid e del conflitto in Ucraina. Questa capacità, se si vuole un minimo ragionare, non può che derivare dall’esercito delle PMI italiane impegnate nelle nicchie globali delle centinaia di settori in cui i nostri imprenditori hanno scelto di operare. Il nostro capitalismo pulviscolare - quello che da anni ci piace definire il modello originale di sviluppo - non è limitato anzi tutt’altro. Questa logica va capita e va sostenuta in opposizione a chi racconta un’altra Italia, fatta di “aziendine” dove regna il nepotismo, condannate ad operare in comparti del passato con processi obsoleti. Bisogna avere il coraggio di affermare che non è più così da parecchio tempo, di andare contro se necessario alla “cantera” di certi giornali, delle agenzie di rating, di taluni burocrati della Commissione Europea che non vogliono o non sanno osservare per bene la nostra economia. E’ necessario parlarne nelle università e fare ricerca su questo modo di fare impresa così diverso nel panorama internazionale, è doveroso formare una classe di giovani manager specificatamente preparata per operare in queste realtà.  Il tutto senza volere negare la doverosità di ulteriori miglioramenti nelle PMI italiane: ci dovranno essere e sarà un bene ma si tratterà di cambiamenti nella gestione e non correzioni insane dei tratti peculiari del modello. E’ bene che resti l’imprenditore, la flessibilità dimensionale, la proprietà famigliare, che non sparisca la vocazione manifatturiera come qualcuno, anni fa, straparlando, teorizzava.  

 

Nella seconda parte del convegno sono state presentate le testimonianze di due giovani imprenditori alla guida di realtà familiari e manifatturiere: nello specifico Marco Zannier, AD di Cotonella SPA e Lorenzo Casartelli, COO e HR manager di Casartelli Antonio srl. Con loro si è sottolineata la necessità di separare la famiglia dall’impresa introducendo logiche meritocratiche nel passaggio generazionale, l’importanza di avviare processi di delega veri costruendo una prima linea manageriale e da, ultimo, l’utilità di introdurre sistemi di gestione del personale (dall’inserimento alla formazione in azienda) in grado di accattivare le nuove generazioni. Proprio la possibilità di offrire trattamenti personalizzati ai dipendenti in contesti che garantiscono un migliore equilibrio tra vita privata e carriera lavorativa può costituire un vantaggio a favore delle piccole organizzazioni. Dalle pratiche messe in atto nei due casi e dai loro positivi risultati non si può fare a meno di concludere che il problema non è per forza quello della crescita dimensionale quanto piuttosto quello dello sviluppo qualitativo. Ancor prima di tendere alla grande dimensione (obiettivo spesso utopico per una micro-impresa se preso letteralmente) occorre migliorare la capacità gestionale. Bisogna cercare di diventare forti. La crescita, come visto nei due casi Cotonella e Casartelli sarà una conseguenza.

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