Il Meglio del Piccolo

Il sogno della fabbrica del domani

La scorsa settimana sono stata invitata dal Gruppo Giovani Industriali Veneto est aalla loro assemblea generale. La presidente Alice Pretto ha pensato di organizzare l'incontro all'interno dello stabilimento di un'azienda del territorio - la Dal Ben S.p.A. - è così dopo due testimonianze aziendali straordinarie (Herno e La Sportiva) mi sono trovata a chiudere i lavori. Pensando al titolo del meeting "Essere fabbrica del domani" ho immaginato di avere in mano una bacchetta magica e di poterla delineare. Qual è il mio sogno di fabbrica? Vi riporto in sintesi il testo del mio intervento.

 

  1. Sogno una fabbrica guidata da imprenditori e imprenditrici che hanno l’X factor: ovvero che sono capaci di mettere a punto un’idea e di realizzarla per rispondere ad un bisogno o a una opportunità che loro hanno visto e che quelli come me che sanno solo parlare non sanno cogliere. Sogno fabbriche guidate da persone temerarie, ardimentose ma non in stile "sommergibile Titan" dove la l’impresa putroppo e’ diventata incoscienza, pericolosa follia. L’imprenditore deve sapersi prendere il rischio fino in fondo, deve sapere vivere nell’incertezza ma lo deve fare in modo coscienzioso non spregiudicato. Sogno un imprenditore libero che non diventa preda della sua hypris, di quella tracotanza che porta a pensare di poter crescere sempre in modo iperbolico senza pause di consolidamento. Sogno imprenditori - non megalomani - che si concentrano sul loro business cercando di fare sempre meglio quello che sanno fare, non imbevuti dell’ alterigia di poter fare qualsiasi cosa perché "tanto basta il loro tocco fatato". Sogno imprenditori che laureati o non laureati - non è quel tipo di studio che genera l’X factor - non rinunciano a momenti di confronto: aprono le loro fabbriche agli esterni ed escono una tantum dal loro fortino per vedere cosa c’è fuori. Anche se questa contaminazione apparentemente disperde il loro tempo, il tempo per le occasioni di confronto, nelle loro agende, viene trovato. 
  2. Sogno fabbriche costruite con il denaro delle famiglie che le possiedono che credono al punto tale nel progetto da metterci i propri quattrini. Sogno famiglie che, se necessario per l'ulteriore rafforzamento dell'iumpresa, abbiano la capacità di utilizzare gli istituti di credito credito o anche la borsa al limite senza pensare mai alla finanza come ad un fine ma considerandola sempre e soltanto un mezzo per un fine più grande che e’ la perennita’ dell’azienda. Sogni famiglie che manatengano al loro interno la capacità di giudicare con lucidità, in grado dunque di riconoscere il merito tra fratelli, tra cugini, tra un marito e una moglie. Famiglie in grado di far emergere le differenze in azienda e di smetterla, all’insegna dell’equità, di trattare tutti i successori nello stesso modo. Con le buone o le cattive maniere. Senza compromessi perché ogni compromesso porta a nuovi compromessi e così via all’infinito.
  3. Sogno le nostre provincie con tante fabbriche funzionanti, attive con zone industriali ben curate e accessibili. Sogno una provincia non degradata. Ho l’incubo delle fabbriche abbandonate, coi vetri rotti, invase dai rovi, imbrattate dai graffiti. Ho l’incubo delle fabbriche vandalizzate che diventano appunto luogo e habitat di disperati. Sogno delle fabbriche aperte che esaltino i loro territori per far conoscere ai giovani e ai clienti internazionali una provincia italiana che è blasfemo chiamare periferia. La fabbrica umanizza e crea ordine laddove senza quale lavoro ci sarebbe solo caos e degrado come accade regolarmente nelle periferie della grandi metropoli del mondo da Parigi a Detroit. Sogno delle aziende belle, delle aziende curate dai titolari tanto quanto la loro abitazione. Sogno fabbriche belle fuori e dentro, in cui si realizzano prodotti  unici, straordinari. Fabbriche in cui la tradizione manifatturiera italiana non viene tradita dove, la qualità viene perseguita senza compromessi perché come già detto ogni compromesso genera altri compromessi e così via all’infinito. 
  4. Sogno delle fabbriche abitate da PERSONE non da RISORSE UMANE, da persone con le loro storie i loro nomi e cognomi che dentro la fabbrica intessono relazioni che permettono loro di correggere - reggere insieme - le storture, le difficoltà del lavoro e della vita. Sogno fabbriche con dei manager in grado supportare l’imprenditore da compagni di viaggio e non da mercenari qualunque, capendone il valore, comprendendo al limite anche quache vezzo del titolare. Co-reggenedo di nuovo: ne’ yes man, ne’ polemici. Sogno persone dentro le fabbriche in grado di non cadere nei due estremi che oggi il pensiero dominante propone. La fuga dal lavoro, il lavoro visto come oppressione da cui bisogna evadere, per poter avere ancora pià tempo per consumare, perchè solo attraverso i consumi si puà essere felici o l’altro estremo quello del lavoro totalizzante. La carriera, la performance, il guadagno come unico metro di misura del successo della persona. Totem quest’ultimo in cui rischiano di cadere soprattutto le fanciulle….totem che conosco bene avendo avuto figli a quarant’anni ed essendo sempre più spesso scambiata per la loro nonna. Ne’ eutanasia del lavoro ne’ accadimento terapeutico per la carriera. Ne’ un’estremo ne’ l’altro ma cura del lavoro, attenzione alla qualità del lavoro sia da parte dell’imprenditore che del dipendente. Retribuzioni eque, opportunità formative, riconoscimento dei risultati …

 

 

Sogno, sogno.... ma non è che il mio ideale futuro e’ già oggi presente? E' già realtà in tutti quei casi di imprese che ho la fortuna di incontrare come quelle che sono qui stasera a portare la loro testimonianza: Dal Ben, Herno, La Sportiva sono già fabbriche da sogno. 

 

Ma allora perchè non ce ne rendiamo conto?

Perchè non abbiamo le lenti giuste per vederle e valorizzarle. Occhiali che sono stati spezzati da una cultura che riconosce gli imprenditori italiani solo quando sono orizzontali in un feretro, da un provincialismo che ci porta sempre a sentirci in difetto, da un invidia di campanile che purtroppo e’ il lato oscuro di questo paese che, con una piccola estensione, offre il massimo della varietà. 

Dobbiamo superare questa miopia, recuperare uno sguardo positivo sul reale e forse, andando oltre, dobbiamo recuperare la speranza. La stessa positività non buonista che si legge negli occhi dei migliori imprenditori italiani che "sperano contro ogni speranza". Anche l’ultimo dei loro operai, un giovane disgraziato che magari arriva da percorsi formativi debolissimi e che, per giunta, ha alle spalle una famiglia “disfunzionale”, se guardato e stimolato da una prospettiva positiva può salvarsi. La speranza ricrea ciò che l’abitudine degrada, la speranza permette rinascita e innovazione, crea rinnovamento. Così il futuro sarà anche migliore del presente.

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