Il Meglio del Piccolo

Dove nascono gli imprenditori?

Lavorando da tanti anni con i figli e i nipoti degli imprenditori italiani e con centinaia di studenti universitari ho maturato una posizione netta rispetto a questa domanda. Esiste una scuola dove imparare a fare il “mestiere” dell'imprenditore? Ci sono corsi di imprenditorialità dove poter sviluppare le attitudini necessarie per dar vita ad un’azienda di successo? Programmi che hanno nel titolo questa promessa ne esistono vari ma l’esperienza sul campo mi fa da tempo credere che il ruolo imprenditoriale si possa imparare dappertutto tranne che in un’aula universitaria o di una business school in un corso apposito. Provo ad argomentare questa posizione essendo come sempre aperta ad avere un confronto con chi la pensa diversamente.

 

L’imprenditore, uomo o donna che sia, giovane o meno giovane, start-upper o successore, ha una serie di caratteristiche peculiari che purtroppo non sono trasmissibili con l’insegnamento e nemmeno, a ben vedere, per via ereditaria (ma questa è un'altra questione). Pur nella estrema diversità di storie e di esperienze personali vi sono dei tratti ricorrenti nei profili di chi si avventura nell'avvio o nella rifondazione di un'azienda. Provo a elencare i principali per poi arrivare ad una logica conclusione.

 

Il primo e il più importante: la capacità di mettere a punto un’idea o una soluzione che risponde al soddisfacimento di un bisogno in modo nuovo e originale, spesso rompendo dei paradigmi. Ma non solo: la capacità di visione, di vedere e intuire in anticipo opportunità inedite che chi imprenditore non è non riesce a cogliere. Una dote questa che fa essere l’imprenditore un po’ un indovino o un veggente. L’obiettivo non è solo far denaro ma lasciare un segno imperituro nella società attraverso un proprio prodotto o un servizio o un proprio marchio che si impongono sul mercato di riferimento.  Questo è il vero fattore motivante in grado di dare una spinta di gran lunga superiore al puro incentivo monetario. Elemento che spesso deriva da un desiderio di rivalsa personale, di affermazione per colmare dei vuoti di altra natura e qui mi fermo perché si rischia di sconfinare nel versante psicologico della questione, interessantissimo ma non di mia competenza. Un’ulteriore peculiarità e’ la capacità di vivere quotidianamente nell’incertezza prendendosi rischi importanti e crescenti come quello di corrispondere ogni mese uno stipendio fisso alle maestranze, facendo dipendere il benessere di altre famiglie dalle proprie intuizioni. E' innegabile: non c’è un mestiere più precario di questo e gli imprenditori che conosco lo affrontano con il giusto mix di coraggio e di prudenza, combinazione vincente che caratterizza tutti i grandi capitani d’impresa. Poi c’è la curiosità, l’interesse per capire e approfondire l’idea, l’ambizione, il desiderio di autonomia per la fatica di sottostare ai comandi, l’ottimismo, l’entusiasmo, la vitalità, la tenuta nel tempo.

Quanti e quali di questi talenti si possono insegnare in aula?

Non voglio minimamente mettere in dubbio l’importanza della formazione nella crescita del capitale umano, non intendo negare quanto sia cruciale lo studio per ampliare il proprio bagaglio di conoscenze e dunque fondamentale per la persona ma dobbiamo essere onesti e dirci che, al massimo, nelle business school si può insegnare ad un imprenditore a razionalizzare la sua idea strategica, a formalizzarla per renderla leggibile da altri. Si può insegnare molto bene a riclassificare un bilancio, a disegnare un organigramma, a scrivere un piano industriale, a fare un'accurata analisi di settore ma non si è in grado di trasmettere il sogno, il desiderio ultimo di lasciare un impronta. Si possono spiegare correttamente delle tecniche ma non l’estro necessario per vedere cose invisibili ai più. Con buona pace dei colleghi, non siamo noi a generare i migliori Imprenditori. Possiamo essere bravissimi in università con le nostre lezioni e i nostri esami a formare giovani e promettenti manager: persone capaci di tradurre in pratica le idee di un imprenditore con i metodi più opportuni, seguendo delle regole in modo ordinato e preciso. Non sto dicendo che gli imprenditori non possano saltar fuori dai corsi pre e post laurea, ci mancherebbe, ma solo che quel tipo di studio non è condizio sine qua non, non è determinante, non è la causa prima.....le scuole per maghi esistono solo nei romanzi di Harry Potter.... 

A conferma del mio pensiero oltre a leggervi le biografie di Gates, Jobs, ZucKerberg e Musk, solo per citare dei super “stregoni” che hanno lasciato la scuola per dedicarsi alla loro visione, date un occhio ad un recente articolo di Alberto Mingardi (Corriere della Sera 22/05/2023) che conferma, anche con una panoramica internazionale, quanto appena sostenuto: “E' chiaro che stiamo parlando di talenti particolari, che non necessariamente aiutano a vivere una vita serena ma servono per fare l'imprenditore. Che non è cosa da tutti. Ma è difficile non dedurne che per scovarne di nuovi è più importante sapere se hanno mai aperto un chiosco di limonate o se si sono inventati un giornalino al liceo, di quanto non lo sia il loro libretto degli esami. Non tutti possono fare gli imprenditori ma gli imprenditori sono il lievito del dinamismo economico. La convinzione ormai diffusa che l'imprenditoria si possa insegnare in un'aula o che comunque non possa che uscire da una univesità, è forse una delle cause del nostro declino".

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