Niente più dell’aria e del mare sono elementi globali: il flacone di plastica finito in mare nel Golfo del Messico può facilmente giungere sulle coste di qualsiasi Paese rivierasco persino se a destinazione esistesse una legge che vietasse l’uso di contenitori di plastica. Oppure, peggio, può finire nel ventre dei mammiferi marini che popolano l’oceano, mettendo a repentaglio la biodiversità a danno di tutto il pianeta, anche di quei Paesi con normative severe sull’uso della plastica. A un problema globale, nessuna iniziativa nazionale può porre davvero rimedio. L’abbassamento dei livelli di inquinamento può avvenire efficacemente solo a seguito di scelte internazionali, attraverso una regolamentazione quanto più uniforme per tutti i Paesi.
Secondo un recente report Ipsos condotto su 28 Paesi, quasi il 90 per cento dell’opinione pubblica è convinto che solo l’introduzione di un trattato vincolante a livello mondiale possa arginare l’inquinamento da plastica.
Contenere l’utilizzo della plastica nei prodotti monouso e negli imballaggi garantirebbe un abbassamento dei livelli di inquinamento grazie al minore numero di oggetti in circolazione. Tuttavia, non sarebbe la soluzione del problema: semplicemente lo ridimensionerebbe. La guerra all’inquinamento da plastica – già dichiarata dall’Unione Europea, che negli scorsi anni ha scelto di affrontare il tema sancendo una serie di divieti per gli Stati membri, per esempio bandendo posate e piatti e molti altri oggetti monouso – sembra avere conquistato anche la sensibilità dei consumatori. In tutti i Paesi intervistati, una media dell’82 per cento delle persone è infatti d’accordo nel voler comprare prodotti che usino meno imballaggi di plastica possibile e l’85 per cento ritiene che produttori e rivenditori dovrebbero agire in prima persona per ridurre, riutilizzare e riciclare i packaging di plastica.