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Il bene pubblico della salute

La pandemia da Covid-19 ha fatto crescere la fiducia dei cittadini nei sistemi sanitari nazionali, che ora sono però chiamati a importanti sfide future

Il trend

Il Time lo ha definito «il peggiore di sempre»: quasi certamente il 2020 passerà alla storia come l’anno del Covid-19 e dell’emergenza sanitaria globale, con conseguenze catastrofiche – in parte ancora inespresse – sulla società, l’economia, gli equilibri geopolitici.

 

In tutto il mondo la pandemia ha messo a nudo le fragilità sistemiche di molti e le virtù pochi. I modelli presentati via via come eccellenze – quello tedesco, quello coreano, quello neozelandese, quello australiano – si sono rivelati non replicabili in contesti economicamente e tecnologicamente meno avanzati o in ritardo di anni in termini di organizzazione, controllo e pianificazione sanitaria.

 

Nonostante le profonde diversità tra paesi, la resilienza dei sistemi sanitari nazionali, ovvero la loro capacità di adattarsi a uno shock improvviso, è risultato un tratto caratteristico che, oltre a permettere a una larga fetta della popolazione mondiale di accedere a cure mediche e trattamenti, ha accresciuto il livello di fiducia nelle istituzioni pubbliche, indispensabile per la tenuta sociale in un contesto di emergenza come quello che stiamo affrontando.

 

Con lo scoppio della pandemia da coronavirus – e forse proprio in virtù di questo – sono molte di più le persone che valutano positivamente la qualità dei sistemi sanitari dei propri paesi. Secondo il recente report Ipsos Global Health Service Monitor 2020, realizzato su oltre 20mila persone di 27 paesi del mondo (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Gran Bretagna, India, Italia, Giappone, Malesia, Messico, Paesi Bassi, Perù, Polonia, Russia, Spagna, Svezia, Stati Uniti, Sudafrica, Turchia e Ungheria), il 50 per cento degli intervistati a livello globale considera molto buona o buona la qualità dei servizi sanitari ricevuti (che includono trattamenti medici, servizi ospedalieri, test per le diagnosi e trattamenti farmaceutici per vari disturbi); un dato in aumento di 5 punti sulla precedente rilevazione del 2018.

 

Alcuni punti salienti

Com’era facilmente prevedibile, il coronavirus rappresenta il principale problema sanitario a livello mondiale. A crederlo è il 72 per cento degli intervistati, con picchi nella popolazione compresa tra i 50 e i 75 anni e nei paesi dell’America Latina, con in testa Perù e Brasile (l’Italia è a metà classifica, in linea con i dati globali).

 

Tra le altre urgenze sanitarie segnalate figurano il cancro, la salute mentale, lo stress, l’obesità e il diabete, che già comparivano ai primi 5 posti nella rilevazione Ipsos del 2018.

 

In confronto alle altre aree del mondo, in Europa quasi un intervistato su due (il 48 per cento) considera il cancro uno dei maggiori problemi sanitari (l’Italia è quarta al 53 per cento). Il problema legato alla salute mentale sembra invece preoccupare maggiormente la fascia più giovane della popolazione (il 31 per cento ha meno di 35 anni vs il 26 per cento della fascia tra 35 e 49 anni e il 21 per quella tra i 50 e i 74) e le donne (31 per cento vs 22 per cento degli uomini). A livello globale l’obesità preoccupa solo il 18 per cento della popolazione, con un calo di 18 punti sul 2018, ma con picchi in Messico (52 per cento), Cile (36 per cento) e Regno Unito (27 per cento). Lo stress è considerato un grosso problema in Corea del Sud, Giappone e Svezia. Anche in questo caso, è la popolazione più giovane, quella sotto i 35 anni e quella tra i 34-49 anni, a identificare lo stress come importante sfida sanitaria.

 

Come anticipato, metà dei partecipanti alla survey in 27 paesi si dichiara soddisfatto della qualità del proprio sistema sanitario. I più soddisfatti sono gli australiani, gli olandesi e i britannici, mentre lo è il 42 per cento degli italiani, un dato comunque in aumento del 9 per cento sul 2018. Sia le aspettative future – oltre un terzo dei partecipanti alla survey è convinta che la qualità del sistema sanitario del proprio paese migliorerà – sia la fiducia che attualmente vi viene riposta – la metà dei rispondenti dichiara di fidarsi dei trattamenti medici ricevuti, + 9 per cento sul 2018 – sono entrambi dati che ben testimoniano della grande importanza che i cittadini affidano ai sistemi sanitari nazionali.

 

A preoccupare sono tuttavia gli alti costi e le possibili disuguaglianze sociali nell’accesso alle cure. Il 59 per cento dei rispondenti crede infatti che siano in molti a non potersi permettere le spese sanitarie necessarie (il dato italiano si ferma al 53 per cento), mentre solo il 37 per cento crede che il sistema sanitario del proprio paese fornisca a tutti lo stesso livello di trattamento contro un 38 per cento che è del parere opposto (il dato italiano, a riguardo, è rispettivamente del 36 e 32 per cento). La maggioranza mondiale, il 55 per cento, afferma inoltre che il sistema sanitario del proprio paese è sovraccaricato. In testa a questa classifica vi sono il Regno Unito, l’Ungheria e la Svezia.

 

Nell’immediato futuro, i sistemi sanitari dovranno affrontare tre grandi sfide: la diminuzione dei tempi d’attesa (a crederlo è il 40 per cento dei rispondenti; l’Italia è terza con il 60 per cento), la carenza di staff (39 per cento) e gli elevati costi delle cure mediche (31 per cento).

 

Molto significativo il dato sull’obbligatorietà del vaccino contro gravi malattie infettive. A livello globale si dice favorevole all’obbligatorietà il 64 per cento degli intervistati. Colpisce come nessun paese europeo figuri nei primi 10 posti di questa classifica: l’Italia è ferma al 55 per cento (con 18 per cento di contrari), la Germania al 54 (contrari il 21 per cento), i Paesi Bassi al 53 (contrari il 27 per cento), la Francia al 50 (contrari 21 per cento).

 

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