Consumi & costumi

Verso nuove infrastrutture urbane

Il trend

In questo ultimo decennio le infrastrutture sono diventate ancor più un elemento centrale a livello economico, politico e sociale. Hanno favorito la globalizzazione e ne hanno caratterizzato lo sviluppo; hanno modellato il concetto di urbanizzazione e favorito il consolidamento di nuove morfologie urbane. Attorno agli assi e alle infrastrutture urbane e alla loro concentrazione si è inoltre consumata la tragedia della pandemia. Nel 2021 la ripartenza economica globale ha visto le infrastrutture al centro del delicato rapporto tra Stato e mercato; in Europa, attorno a loro si è innervato il PNRR, mentre negli Stati Uniti è stato approvato il più ambizioso piano di investimenti dal dopoguerra a oggi.

In realtà il tema dell’infrastruttura urbana interviene in un solco ancora più profondo: tocca i meccanismi dello sviluppo globale e del vantaggio competitivo delle global cities.

La rivoluzione verde, il green deal, la sostenibilità passano attraverso il modo di concepire il rapporto tra infrastruttura pubblica, collettiva e privata, modificando i confini esistenti nel secolo scorso. Inoltre, vengono rivisti i concetti di «public work», di sharing, di erogazione a tariffa di beni prima inesistenti o poco sviluppati in quanto dentro un perimetro indefinito. Il 5G, la banda larga, i cavi, le app, le infrastrutture onnipresenti (ubiquitous) e le interazioni tra queste e le infrastrutture fisiche tradizionali modificano radicalmente il lay out del privato, del modello organizzativo del lavoro, delle abitazioni che in alcuni casi diventano il prolungamento dell’ufficio; si modifica addirittura la privacy.

I beni privati come l’automobile con lo sharing si spostano dal privato al collettivo, e non è escluso che questo finisca per riguardare anche l’abitazione da intendere come bene transitorio. La «financialization» (finanza e fondi) sembra sempre più essersi accorta di questo cambiamento. Ha spostato sulle infrastrutture urbane ingenti quantità di risorse, modificandone le basi costitutive. Il nuovo consumo energetico, la concentrazione di popolazione, le nuove compatibilità urbane, le smart cities così congeniate passeranno attraverso queste nuove forme di infrastruttura.

Nei prossimi anni le politiche di bilancio di molti Paesi europei dovranno conciliare il riequilibrio dei conti pubblici con uno sforzo in grado di rendere i propri sistemi produttivi parte attiva della ripresa economica. Per questo sarà necessario riallocare le risorse verso quei settori con maggiore potenziale di espansione economica.

Il tema delle infrastrutture è al centro di una recente indagine Ipsos, che getta un’interessante luce sul rapporto di queste con in cittadini. Da questa indagine emerge come il 68 dei rispondenti italiani dichiari che in Italia non si stia facendo abbastanza per soddisfare le esigenze infrastrutturali. Una certa insoddisfazione si registra anche negli Stati Uniti: dal 2016, anno della prima rilevazione Ipsos, la percentuale di coloro che si dichiara soddisfatto o molto soddisfatto verso le politiche infrastrutturali è passata dal 36 al 27 per cento, mentre il 61 per cento degli americani afferma che il proprio Paese potrebbe fare di più per sostenere il settore.

Alcuni punti salienti

Condotto nell’estate 2021 in collaborazione con la Global Infrastructure Investor Association, il report Ipsos ha coinvolto oltre 19.000 rispondenti adulti provenienti da 28 Paesi del mondo.

A livello globale, le aree di investimento infrastrutturale percepite come maggiormente prioritarie sono l’approvvigionamento idrico e le fognature (42 per cento dei rispondenti), gli impianti di energia solare (39 per cento), gli interventi a difesa delle inondazioni (36 per cento), la fornitura di nuovi alloggi (34 per cento).

La percentuale globale di cittadini soddisfatti delle proprie infrastrutture si attesta al 39 per cento, un dato in crescita rispetto al 2016 (33 per cento) ma in calo di 4 punti rispetto al 2020. Se gli italiani risultano i più insoddisfatti, cinesi, sauditi e olandesi fanno registrare i massimi livelli di soddisfazione (rispettivamente con il 77, 75 e 74 per cento).

Il report suggerisce una crescente volontà dei cittadini a un più rigoroso controllo sugli aspetti di sostenibilità e a una maggiore attenzione alle ricadute sociali di questi: l’indagine rileva infatti come, in media, il 51 per cento degli intervistati ritenga che quando si prendono decisioni su come migliorare le infrastrutture si dovrebbe tenere in considerazione il loro impatto sull’ambiente; sempre a livello globale, il 48 per cento dichiara che bisognerebbe incentivare le infrastrutture sociali come scuole, ospedali e nuove soluzioni abitative, un dato in crescita di 6 punti rispetto al 2020.

La maggioranza dei cittadini concorda sul fatto che investire in infrastrutture creerà nuovi posti di lavoro e rilancerà l’economia: i più fiduciosi in tal senso sono i sudafricani, i peruviani e i cinesi (rispettivamente al 90, 88 e 87 per cento), mentre in fondo alla classifica ci sono i giapponesi (51 per cento) e sudcoreani (56 per cento). Gli italiani si collocano a metà classifica, in linea con la media globale (75 per cento).

Come già rilevato negli anni precedenti, i rispondenti dimostrano una chiara preferenza per l’intervento sulla manutenzione e la riparazione delle infrastrutture esistenti (scelte dal 55 per cento a livello globale) piuttosto che spendere per nuovi progetti infrastrutturali (20 per cento). Vi è anche una significativa apertura degli intervistati verso i capitali privati: favorevoli il 63 per cento degli intervistati.

 

Verso nuove infrastrutture urbane

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