Consumi & costumi

La seconda vita della moda

A livello mondiale sono sempre di più i consumatori che decidono di acquistare vestiti, accessori o scarpe usati

Il trend

Il primo a uscire allo scoperto lo scorso aprile è stato Giorgio Armani con una lettera inviata al magazine WWD Women’s Wear Daily. Una presa di posizione forte sulle storture – o «immoralità», come le ha definite – dei ritmi di produzione del mondo della moda, che impongono un’offerta sempre nuova a discapito della durata estetica e materiale dei prodotti.

 

Una denuncia che non è caduta nel vuoto, seguita a distanza di qualche settimana dall’appello promosso dallo stilista belga Dries Van Noten – e sottoscritto da diversi esponenti di primo piano del settore – per rendere il mondo della moda «più sostenibile per l’ambiente e la società, e per riallinearlo ai bisogni dei consumatori».

 

Già da qualche anno, e in questo senso la pandemia da Covid-19 è stato un fenomenale acceleratore di un processo in atto, il tema della sostenibilità a livello ambientale e sociale della moda è stato oggetto di dibattito dento e fuori il settore.

 

I richiami che da più parti si sono alzati a favore di una moda che sposi etica ed estetica – più attenta all’ambiente, ma anche al rispetto dei diritti di lavoratrici e lavoratori e al benessere animale e delle comunità in cui opera – hanno già sortito alcuni effetti (si pensi a quei brand che da anni hanno optato per produzioni circolari e a zero emissioni).

 

Questa nuova sensibilità si sta riflettendo anche sulle scelte dei consumatori, interessati oggi più che mai ad avere, con scelte oculate, un impatto ambientale e sociale positivo. Tra queste scelte sembrerebbe rientrare l’acquisto di prodotti di seconda mano, con un mercato dell’usato che sta facendo registrare ottimi livelli di crescita e che interessa indistintamente sia gli store fisici sia quelli online.

 

È questo il dato più significativo emerso da un recente report Ipsos Global advisor on fashion: Consumer views on the second-hand market and sustainability, secondo cui il 41 per cento degli intervistati dichiara di aver acquistato articoli di moda, accessori o scarpe di seconda mano.

 

La ricerca, condotta su un ampio campione di oltre 20mila persone sparse in 27 paesi (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Gran Bretagna, Ungheria, India, Italia, Giappone, Malesia, Messico, Olanda, Perù, Polonia, Russia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Sud Africa, Turchia), offre un interessante spaccato sull’atteggiamento dei consumatori nei confronti della moda di seconda mano.

 

Alcuni punti salienti

I mercati più attivi sul fronte degli acquisti di seconda mano non sono quelli dove la moda è nata, ma paesi come il Perù, il Cile e l’Arabia Saudita dove rispettivamente il 62, il 57 e il 55 per cento degli intervistati dichiara di aver acquistato almeno una volta articoli di moda, accessori o scarpe di seconda mano, risultando ai primi posti della classifica Ipsos per accesso al mercato dell’usato. Con la sola esclusione della Polonia, sesta in classifica, i paesi europei sembrano al momento i meno propensi a farlo: Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania, Olanda, Svezia e Spagna fanno registrare percentuali inferiori alla media globale, con l’Italia – terz’ultima – che registra una percentuale del 28 per cento. I più restii ad acquistare prodotti della moda di seconda mano sono i consumatori cinesi. Solo il 22 per cento dichiara di averlo fatto mentre più della metà, il 51 per cento, afferma di non averlo mai fatto né nei negozi fisici né tramite siti o app. In questo grande mercato sembrerebbe esistere un tabù culturale rispetto all’usato.

 

Molto significativi anche i dati su coloro che dichiarano di non aver mai acquistato articoli di moda, accessori o scarpe di seconda mano. A livello globale la percentuale si ferma al 32 per cento, con i paesi europei che occupano sette dei primi dieci posti: l’Olanda è al secondo posto con il 48 per cento, l’Italia al quarto (45 per cento), seguite da Francia (42 per cento), Spagna (41 per cento), Svezia (40 per cento), Germania (39 per cento), Gran Bretagna (38 per cento).

 

I consumatori spagnoli e cinesi sono coloro che più di tutti si dicono disponibili a un’apertura verso il mercato dell’usato (rispettivamente il 31 e il 24 per cento degli intervistati), mentre il 29 per cento degli olandesi dichiara di non essere interessato a prodotti di seconda mano (l’Italia è quarta con il 26 per cento).

 

Se è vero che la propensione al consumo di prodotti della moda di seconda mano è molto diversa nei paesi europei rispetto a tutti gli altri, nel vecchio continente (ma anche negli Stati Uniti) vi è però una maggior consapevolezza degli impatti del settore della moda sull’ambiente. A livello globale, il 63 per cento degli intervistati ritiene che i brand della moda siano meno rispettosi dell’ambiente di quelli di altri settori industriale: le uniche, significative, eccezioni sono rappresentate dall’Arabia Saudita, dall’India e dalla Cina dove rispettivamente il 60, il 45 e il 39 per cento ritiene che il mondo della moda sia più virtuoso degli altri dal punto di vista della sostenibilità ambientale.

 

In generale, resta da capire se la crescita di acquisti di usato sia realmente legata solo al tema della sostenibilità o piuttosto a una minore disponibilità economica dei consumatori. Certamente un aspetto positivo del resale è lo stimolo dato ai brand di ripensare l’intero ciclo di vita utile dei propri prodotti che non si ferma al primo acquisto.

 

 

 

La seconda vita della moda

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