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Oltre New York, Londra e Shanghai: come cambia la geografia della competitività

”CompLab” è il blog su competitività e crescita curato da Carlo Altomonte 

 

Negli ultimi tre decenni la mappa della globalizzazione è stata dominata da tre grandi principali ‘hub’: New York, Londra e, progressivamente, Shanghai che ha sostituito Tokyo. Sono questi i poli competitivi di un’ideale mappa della globalizzazione — città che hanno rappresentato i pilastri del sistema economico internazionale e i punti di snodo delle Global Value Chains (GVCs). 

 

La logica che porta a identificarli è semplice. Secondo la teoria dei network, in una rete in cui tutti i nodi hanno uguali probabilità di interazione — cioè in cui i flussi di scambio, capitale o informazione possono potenzialmente connettere qualsiasi punto — i nodi geograficamente e funzionalmente più centrali tendono a presentare una maggiore densità di connessioni.

 

Gli hub delle global value chain

Global value chain hubs

  • Hub tradizionale
  • Hub emergente

In altre parole, la posizione conta: chi si trova “al centro” della rete ha più opportunità di scambio, più interazioni e più controllo sui flussi complessivi. Applicata alla geografia economica globale, questa teoria spiega bene perché New York, Londra e Shanghai si siano affermate come hub dominanti. Queste metropoli non solo sono collocate ai tre vertici delle macroregioni economiche emerse con la globalizzazione (Nord America, Europa, Asia orientale), ma godono di una posizione topologicamente privilegiata: 

 

  • New York collega il Nord America con l’Europa e costituisce il baricentro finanziario globale. 
  • Londra ospita la finanza europea e funge da piattaforma di servizi avanzati per i mercati emergenti africani e mediorientali. 
  • Shanghai è la porta d’ingresso della manifattura asiatica e il principale snodo tra produzione e consumo globali. 

 

La “centralità” non è quindi solo geografica, ma anche funzionale: queste città concentrano infrastrutture, istituzioni e capitale umano che garantiscono, nel linguaggio dei network, alta “betweenness centrality” — ossia quante volte un nodo si trova “sul cammino” minimo che connette altri due nodi, cioè la capacità di intermediazione dei flussi globali. Senza di loro, i percorsi dei flussi internazionali di finanza, conoscenza e commercio diventerebbero più lunghi, più costosi e meno prevedibili. 

 

Negli ultimi anni, tuttavia, la rete mondiale ha perso parte della sua omogeneità. La probabilità di interazione tra nodi — cioè la facilità con cui capitali, merci, persone e dati si muovono — non è più uniforme. Tensioni geopolitiche, guerre commerciali, barriere tecnologiche e sanzioni hanno infatti creato “sotto-reti” regionali, più dense al loro interno (il commercio mondiale sul PIL in assoluto non si è ridotto) ma più debolmente connesse tra loro (è diminuito il commercio tra grandi blocchi). 

 

Tornando alla teoria dei network, quando una rete si frammenta, i nodi che diventano centrali non sono più quelli al centro del sistema globale, ma quelli che si trovano sui confini tra due (o più) reti interne fortemente integrate. In altre parole, la nuova centralità emerge ai margini, nei punti di contatto dove le connessioni possono ancora passare. Sono questi i “bridging nodes” — i nodi di confine che collegano aree parzialmente disconnesse. 

 

Guardando alla mappa mondiale di oggi, quali sono le città che incarnano queste caratteristiche? La selezione si basa su alcuni segnali strutturali: attrattività per capitali, capacità di trattenere talenti, crescita demografica e ruolo di interfaccia tra regioni. Ebbene, sulla base di questi indicatori le città che emergono come hub competitivi nella nuova globalizzazione potrebbero essere: 

 

  • Singapore, la capitale dell’efficienza asiatica, hub logistico e digitale insieme. Negli ultimi tre anni il saldo migratorio netto di lavoratori ad alta qualificazione è cresciuto del +9% annuo (fonte: Singapore Department of Statistics), sostenendo il boom di settori come fintech e biotech. 
  • Dubai, la piattaforma di servizi e re-esportazione tra Asia, Europa e Africa. Tra il 2020 e il 2023 i residenti stranieri con redditi medio-alti sono aumentati del +15% (Dubai Statistics Center). 
  • Il Texas, che più che una singola città rappresenta oggi una piattaforma regionale di connessione tra il mercato nordamericano (NAFTA/USMCA) e la rete produttiva latinoamericana, sempre più interconnessa attraverso il nearshoring, con oltre 1 milione di nuovi residenti tra il 2020 e il 2023 (U.S. Census Bureau), un incremento del +20% nelle nuove registrazioni di imprese high-tech e industriali (Texas Economic Development 2024) e una forte crescita dei flussi di investimenti diretti esteri, trainati dalla transizione energetica, dall’industria dei semiconduttori e dal rilancio della manifattura avanzata. 

 

Più vicino a noi possiamo pensare a Casablanca, oggi la porta finanziaria dell’Africa verso l’Europa, con una crescita delle imprese internazionali registrate nella Casablanca Finance City sono cresciute del +40% dal 2021 (CFC Authority, 2024). E ovviamente Milano, che unisce manifattura avanzata e servizi finanziari, giocando un ruolo di “ponte” tra il Nord industriale dell’Europa e il Mediterraneo, con un incremento del +22% negli investimenti diretti esteri nella regione Lombardia dal 2021 al 2024 (EY Attractiveness Survey). 

 

In termini di network theory, tutte queste città mostrano potenzialmente un’alta “edge betweenness”: gestiscono i pochi ma cruciali collegamenti che ancora uniscono le grandi reti regionali tra loro. La loro forza non è la densità interna, ma la capacità di mediare — di trasformare la frammentazione in opportunità. 

 

Per mantenere questo ruolo di nodi-ponte, in un mondo dove la rete globale non è più omogenea e la competitività si sposta dal centro ai confini tra aree, serve però un’altra risorsa: la conoscenza. Nell’economia di oggi, le aree geografiche che prosperano non sono solo quelle che collegano capitali, tecnologie e merci, ma quelle che producono e trasmettono sapere in forma originale e creativa. Perché nell’era dell’AI è la dotazione, attrazione e creazione di capitale umano che consolida la funzione di “hub cognitivo” — una nuova forma di centralità, e di competitività. 

 

In effetti tutto questo sembra confermato se pensiamo a Singapore o Dubai e alla crescente produzione di conoscenza che stanno riuscendo a creare negli ultimi anni, attraverso lo sviluppo e l’attrazione di istituzioni accademiche e centri di ricerca di eccellenza. Ma non dimentichiamo Milano, che su questa partita ha le sue carte da giocare. 

 

La nuova globalizzazione non avrà dunque pochi nodi dominanti al centro, ma molti nodi intelligenti ai margini. E in questa nuova geografia del valore, vinceranno quei luoghi che sapranno trasformare la loro posizione di confine in una piattaforma di conoscenza e cooperazione. 

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