Casi di management

Cambiare si può: il caso Amgen Italia

Per superare una crisi di fiducia nell’organizzazione è fondamentale adottare un approccio fondato su trasparenza e coinvolgimento, nell’intento di creare un senso di comunità

La sfida

Troppo spesso il tentativo di cambiare la cultura organizzativa in azienda si rivela alla prova dei fatti una chimera: certe abitudini e pratiche sembrano troppo radicate per poterle davvero modificare. Questa resistenza al cambiamento può apparire un ostacolo insormontabile per un management che voglia incidere in profondità sul clima aziendale. E la questione si fa ancora più critica se al vertice c’è un passaggio di testimone, con l’intenzione di segnare una discontinuità rispetto al passato.


Eppure cambiare si può, anche in tempi relativamente rapidi: al punto da poter passare in appena tre anni dall’essere tra i peggiori al primo posto in assoluto in termini di soddisfazione dei collaboratori all’interno di un grande gruppo multinazionale. È la storia di Amgen Italia, sussidiaria italiana della public company californiana attiva nei settori biotech e farmaceutico.

I numeri del caso

 

Azienda: Amgen

Settore: pharma e biotech

Ricavi complessivi globali: $ 21.7 miliardi (2015)

Vendite Amgen Italia: $ 249.6 milioni (2015)

Dipendenti Amgen: 17.900 (2015)

Dipendenti Amgen Italia: 267 (2015)

Dipendenti Amgen Italia orgogliosi di lavorare per Amgen: 96% (2015)

Posizione Amgen Italia nella Great Place to Work: 8th (aziende di medie dimensioni)

 

Alla radice c’è un passaggio complicato, per non dire doloroso, nella storia aziendale. Costituita nel 2002 coinvolgendo un team di professionisti molto qualificati, nei primi anni di attività la «startup» Amgen Italia aveva operato fianco a fianco con lo storico distributore dell’azienda californiana nel nostro paese, portando avanti con successo forme di co-marketing. Un cambiamento legislativo impone però nel 2008 una fusione tra le due aziende – con una contestuale riduzione di circa il 50 per cento della forza lavoro impiegata.


Agli inevitabili contraccolpi dei licenziamenti sul clima aziendale si associava la difficoltà di integrare la cultura di una «giovane» sussidiaria di una multinazionale americana (Amgen Italia) con un’azienda familiare tradizionale presente solo in Italia (il distributore storico). Tra le conseguenze immediate un’evidente mancanza di spirito di squadra e di cooperazione tra le diverse funzioni. Per parte sua il management si concentrava esclusivamente sulla performance finanziaria prestando poca attenzione all’engagement dei collaboratori – tutti elementi puntualmente venuti alla luce nel 2012 in occasione di una rilevazione interna alle sussidiarie Amgen sul clima organizzativo.


Per il nuovo General Manager di Amgen Italia, da poco entrato in carica, un intervento per cercare di invertire la rotta era quanto mai urgente. L’azione doveva dispiegarsi su più livelli, configurandosi non come un intervento calato dall’alto, ma come un «flusso di lavoro» con un coinvolgimento proattivo dei dipendenti.


Un primo ambito era quello delle opportunità di carriera: limitare il reclutamento di profili qualificati dall’esterno, su cui si era fino ad allora puntato, per lavorare maggiormente sullo sviluppo dei propri dipendenti. La direzione era quella dell’investimento in formazione e nel creare un maggiore allineamento tra i dipendenti e la vision aziendale. I risultati in termini di accresciuta motivazione, soddisfazione e lealtà verso l’azienda sono stati presto evidenti.


Altra questione non differibile era quella dell’approccio eccessivamente burocratico, con bassi livelli di delega e autonomia, all’interno dell’organizzazione. In questo senso, anzitutto era imperativo intervenire sui leader, spingendoli ad approcciare in maniera diversa i propri collaboratori, ridisegnando anche i meccanismi di valutazione interna. Tra le parole d’ordine complementari: semplificazione, con una task force dedicata a ripensare i processi interni per conferire più autonomia ai singoli; delega, grazie a una ridefinizione dei processi decisionali; e collaborazione interfunzionale, per superare gli steccati che avevano precluso possibili sinergie in passato. A questo si aggiungeva una forte spinta a coinvolgere i dipendenti nei nuovi progetti di responsabilità sociale promossi dall’azienda. Nel complesso, i collaboratori di Amgen Italia ne hanno ricavato un senso di empowerment, la percezione di essere messi nelle condizioni di poter prendere delle decisioni importanti in autonomia.


Agli interventi in ambito HR e di revisione dei processi doveva accompagnarsi un ripensamento della comunicazione interna, all’insegna della trasparenza. Per favorire una discussione aperta su tutti i temi relativi all’attività di azienda sono stati promossi incontri regolari tra il General Manager, il management aziendale e lo staff, con la possibilità di porre domande e sollevare problemi in libertà e senza tabù. Il principio ispiratore era quello giapponese del GEMBA, secondo cui la maggior parte dei problemi di un’organizzazione sono evidenti all’interno del contesto stesso in cui si svolge l’attività operativa.


Le ricadute del nuovo approccio sono state rapide e durature, con un incremento stupefacente dei livelli di allineamento dichiarato tra i collaboratori e gli obiettivi aziendali, il riconoscimento e l’identificazione con i valori di Amgen e un senso di rinnovato ottimismo riguardo al futuro dell’azienda, come testimoniato dai risultati stellari riportati dalla sussidiaria italiana nell’indagine Amgen 2015. E tutto questo, va sottolineato, grazie a interventi incentrati sulla dimensione culturale e organizzativa, non su quella della compensation: la dinamica degli incentivi interni non è stata infatti modificata.


Non si è trattato di un fuoco di paglia: Amgen Italia ha continuato a ottenere ottimi riscontri in termini di soddisfazione dei dipendenti, come testimonia l’ottavo posto ottenuto nel ranking Great Place to Work 2016. In quella circostanza sono emersi anche alcuni possibili punti di miglioramento: i dipendenti vorrebbero che venissero allentate alcune forme di controllo e pressione giudicate ancora eccessive. Una riprova di come la ricerca di un equilibrio ottimale tra miglioramento delle performance aziendali e soddisfazione dei collaboratori non possa mai dirsi conclusa, ma debba sempre essere oggetto di attenzione e ripensamento da parte del management.

Le implicazioni

  • Per vincere le resistenze culturali e cambiare davvero, i leader devono per prima cosa guadagnare credibilità e fiducia tra i propri collaboratori. Trasparenza, coinvolgimento nelle decisioni, disponibilità al dialogo sono segnali importanti che possono spingere a superare i preconcetti e generare un senso di appartenenza e inclusione nella comunità aziendale.

  • Gli incentivi finanziari possono aiutare ad assumere persone qualificate e di valore, ma di per sé non sono sufficienti a incoraggiare lealtà, dedizione e motivazione. Per intervenire su questi aspetti è indispensabile una riflessione sul clima aziendale, per creare un ambiente in cui lavorare sia piacevole.

  • L’ambidestria è la capacità di un’organizzazione di svolgere contemporaneamente in maniera efficiente e performante le attività odierne avendo allo stesso tempo una prospettiva di sviluppo di lungo periodo. Per spingere i dipendenti a concepire il proprio lavoro operativo in un’ottica più ampia, è fondamentale riuscire a instillare in loro un senso di comunità che li spinga a guardare oltre la routine.

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