- Data inizio
- Durata
- Formato
- Linua
- 27 ott 2025
- 3 giorni
- Class
- Inglese
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In Italia le donne nei ruoli di vertice restano ancora troppo poche: appena il 18,1% dei manager executive. Ma, per la prima volta, la fotografia non è ferma. La seconda edizione dell’Osservatorio Donne Executive di SDA Bocconi, condotto in collaborazione con Eric Salmon & Partners, mostra segnali di crescita lieve e un profilo femminile in evoluzione, più giovane, più internazionale e più presente nei ruoli strategici. A parità di perimetro, la percentuale dello scorso anno si attestava al 17,4%.
La comparazione internazionale continua però a penalizzare l’Italia, che è ancora fanalino di coda rispetto a Francia, Germania e Belgio. Il nostro Paese registra la percentuale più bassa di donne nei top team aziendali e la quota più alta di imprese (22%) che non hanno nemmeno una donna executive. Ma il movimento c’è: la presenza femminile si rafforza leggermente sia nelle funzioni di staff (risorse umane, legale, sostenibilità), sia nelle posizioni di marketing e vendite, funzioni più esposte al business e al mercato.
Lo studio muove da una questione aperta: perché le donne arrivano ancora così raramente ai vertici aziendali, nonostante anni di norme e iniziative per la parità di genere?
Dopo la Legge Golfo-Mosca, che ha cambiato i consigli di amministrazione, l’attenzione si sposta ora sui ruoli executive, dove non contano solo le regole, ma la cultura e le pratiche organizzative. Il confronto internazionale chiarisce il quadro: la Francia è il Paese più avanzato (32% di donne executive) grazie a un impianto normativo coerente e a una cultura di inclusione ormai consolidata; la Germania (23%) non riesce a mettere pienamente a frutto il suo sforzo normativo; il Belgio (24%) mantiene un equilibrio discreto in un campione più piccolo; e l’Italia, con il suo 18%, resta indietro, anche se in leggero miglioramento rispetto alla prima edizione dell’Osservatorio.
L’obiettivo della ricerca è comprendere quali fattori istituzionali, culturali e organizzativi possano sbloccare il passaggio da una parità formale a una parità sostanziale.
La ricerca ha analizzato 5.376 executive di 647 imprese quotate (168 in Italia) in quattro Paesi europei. La comparazione con lo scorso anno ha riguardato solo l’Italia e ha coinvolto 320 aziende tra quotate e non quotate.
I risultati dicono che:
Uno dei risultati più interessanti riguarda il ruolo dei Comitati Nomine. La ricerca mostra che la presenza di donne in questi organismi aumenta sensibilmente la probabilità di nomine femminili nei ruoli di vertice: in Francia, ogni donna in più nel comitato fa crescere del 12,4% la probabilità che un’altra donna venga nominata a un incarico executive. In Italia, l’effetto positivo della presenza femminile nei Comitati Nomine è diventato più forte dopo la legge Golfo-Mosca.
Infine, le interviste qualitative con HR director e top manager restituiscono un quadro a due velocità: da un lato, resistenze culturali ancora forti (scetticismo sulle quote, autoesclusione femminile, carenza di profili nei settori tecnici); dall’altro, pratiche aziendali più mature che stanno cambiando il clima organizzativo. Tra queste:
Se le organizzazioni che favoriscono la leadership plurale ottengono migliori risultati in termini di innovazione, gestione del rischio e capacità di adattamento, la sfida è sostenere il cambiamento culturale con strumenti mirati: incentivi per le aziende virtuose, percorsi STEM al femminile, programmi di formazione e internazionalizzazione dedicati.
Per i manager e i board, emerge un appello operativo: la diversità di genere deve entrare tra gli obiettivi strategici, al pari della sostenibilità e della digital transformation.
L’Italia resta in ritardo, ma si è aperto uno spiraglio. Ora serve accelerare, per senso di giustizia e per godere dei benefici di una rappresentanza di genere equilibrata.
Leggi l’articolo sulla prima edizione dell’Osservatorio Donne Executive:
Minichilli, D’Angelo, Corbella- Executive in Italia: solo una su sei è donna