Branded World

Importanza di un Brand per l'Europa

Lo sguardo è rivolto all’Europa, con uno “spirito” di osservazione apolitico e apartitico, senza colori, ma con tante luci ed ombre su cui riflettere, volendo andare un po’ oltre liste e/o capolista, che tanto fanno urlare, litigare e…narrare.

Sì, proprio narrare.

La narrazione – termine a cui si fa sempre più ricorso a livello politico, geopolitico, di Paese, di Federazione di Stati, di Continente - oggigiorno assume connotati di fiaba (con l’intento dell’intrattenimento), di favola (con un intento morale) o anche di short o long fiction, popolate da personaggi (reali, immaginari o meme) - all’interno di generi quali show, reality, sit-com…horror, etc. - e rivolta a un pubblico, un’audience, un “consumatore”, un elettorato (nel caso delle vicine elezioni europee!), più distante, meno attento, “ingaggiato” e coinvolto, da attrarre, convincere e richiamare ad una scelta, una decisione, al voto e all’azione (alle urne per quanto qui interessa!), combattendo e sfatando (con diversi mezzi e media) il mito dell’astensionismo - generalizzato, in crescita e in particolare giovanile, additato “…come sinonimo di disinteresse o superficialità” (cfr. Maria Cristina Pisani, Presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani) – soprattutto da parte di coloro con diritto al voto (di giovane età tra nuovi elettori, Millenials e GenZ).

 

Ciò che nel marketing si chiama path, funnel, experience, sales-cycle, e così via, deve essere rispettato e rispettoso nei confronti di coloro verso cui ci si indirizza.

 

Da ciò parte la riflessione sull’Europa, non prima di un passaggio…

 

Country branding: un argomento importante!

Al Country branding si è dedicata la ricerca dagli anni '90 sino al nuovo millennio e ai giorni nostri.  Giusto citare alcuni autori che hanno studiato, seguendo diverse angolature, il tema in termini d Paesi, Continenti, Federazioni di Stati (Kotler, 1997; 1999; 2002; 2005; Jaffe e Nebenzhal, 2001; Van Ham, 2001; Papadopoulos e Heslop, 2002; Nworah, 2004; Brymer, 2003; Roberts, 2004; Kyriacou e Cromwell, 2004); menzione merita lo special-issue dedicato al Country Branding in Journal of Brand Management (dell'Aprile 2002), che ha accolto importanti contributi dal mondo accademico e professionale (tra cui, difficile non citare Anholt e Olins, da sempre ricercatori internazionali dediti al tema). Ed anche in Branded World ce ne siamo occupati negli ultimi tre anni (es. Place branding, Nation branding, Soft power, Dietro le quinte, Fatto a mano, etc).

 

Ad evidenza e da tempo, i principi, le logiche e gli approcci al marketing e, in particolare, al branding – e non solo alla narrazione! – sono stati ricercati, interpretati, rivendicati, applicati (o semplicemente anelati?) per i Paesi, similmente a quanto fanno le imprese, evidenziandone estrema attualità e rilevante complessità, nonché capacità nel trarre vantaggio e valore in termini economici, politici, culturali e sociali.

 

Per Paesi e imprese vale una “pratica” fondamentale: creare un’identità unica che cerchi attivamente di realizzare un’immagine competitiva - su pubblici di riferimento, stakeholder, mercati e con attività, iniziative e strumenti diversi – volta ad un posizionamento, sia internamente sia esternamente, impiegando e facendo leva su associazioni (vere, reali e autentiche) in grado di rendere “un luogo, una casa”, un Brand: da conoscere e far conoscere (affidandosi sempre meno agli stereotipi), verso cui indirizzarsi (di destinazione, in cui lavorare o recarsi in visita), in cui investire (a livello personale o professionale), da acquistare (es. prodotti/servizi  “made in”), in cui credere (per politiche interne ed esterne, di diplomazia pubblica), immedesimarsi (per cultura, storia, tradizione e persone), da vivere (es. immigrazione) e “da abitare”.

 

In una società pluralistica e democratica, il branding inerisce quindi a creazione, sostegno e formazione di una presenza rilevante nelle menti e nei cuori delle persone. In tal senso, riferendosi al valore emotivo derivante dalle associazioni dei consumatori verso un Brand-Paese, si arriva a definirlo “Nation equity” (Shimp e Saeed, 1993) o, ancor più incisivo, a trasformarlo in lovemark (Roberts, 2005 ed edizioni precedenti), ossia "segno dell'amore" unico in grado di generare reputazione e rispetto, raggiungendo la fedeltà “oltre ogni ragione" (Van Ham, 2005).

 

Ciò implica non solo una crescente consapevolezza di come il "branding” può promuove interessi economici, commerciali e politici (in patria e all'estero), ma anche di come poter essere fautori di una trasformazione sistematica dell’identità e dell’immagine guidando interno-esterno e viceversa, nonché tralasciando i “soli" affari interni (dell’identità) e preoccupandosi degli “affari esterni” (dell’immagine) nel sistema (e non solo last-minute!) - in continuo mutamento - geografico, economico, politico e sociale. 

Può l’Europa essere un brand?

Difficile rispondere, ma proprio per questo intrigante! Alcune domande più puntuali nel seguito.

 

Va considerata la portata del Brand - pensando proprio alle elezioni europee e ai pubblici interni ed esterni verso cui indirizzare il branding (e non solo la comunicazione!) - frutto di una “formula identitaria” multi-sfaccettata (oggetto di modifiche, cambiamenti, trasformazioni progressive e sovrastrutture evolutive), complessa, non facilmente intellegibile e, pertanto, “distanziante” e non compresa, e agendo al contempo sulla “buona pratica” per l’immagine dell’Europa.

 

Iniziamo con le domande!

 

Prima domanda: Lo sapevi che…?

 

Il Manifesto istituzionale, adottato per tutti i nove Paesi, che allora costituivano la Comunità Europea, e impiegato per tutte le forze politiche che nei singoli Paesi parteciparono alla competizione elettorale citava: “L’Europa è la speranza-Scegliete la vostra Europa” ed era disegnato da Folon in occasione delle prime elezioni dirette del Parlamento Europeo, il 10 giugno 1979.

L’affiche, commissionata da Giovani del PPE all’artista, una volta realizzata, riscosse tali apprezzamenti da essere adottata come immagine ufficiale della campagna elettorale europea.

 

Il passaggio istituzionale, rilevante e atteso da anni, chiamava alle urne i popoli dell’Europa, per sancire inequivocabilmente l’avvio della riforma delle Istituzioni Comunitarie e realizzare l’Unione Europea. E come tale venne percepita l’immagine di quest’ultima dall’elettorato italiano che per storia, cultura, abitudine a ibridazione e inclusione, ha vissuto quel momento come espressione di “adesione agli ideali europei”, il cosiddetto europeismo.

 

Seconda domanda: Altri tempi? Forse a livello identitario bastava uno slogan e un’immagine?

Forse sì, però…

 

…le aggiunte successive, con l’allargamento dell’Unione Europea a 27 Paesi, attraverso l’accumulo e la somma di tanti e diversi Stati, con storie, culture e politiche non avrebbe dovuto cancellare l’immagine di un’Europa dei Popoli e annullare l’obiettivo di un’adesione europeista.

 

Gli inevitabili (e necessari) ampliamento, estensione ed espansione dell’Unione Europea hanno però comportato una diluizione dell’immagine di luogo/marca autorevole, credibile e “casa” dei Paesi Europei?

 

Terza domanda: Lo sapevi che?

 

a livello identitario pochi luoghi e tanti strumenti, procedure e istituzioni sembrerebbero focalizzarsi più sull'ottenimento di ruoli atti al posizionamento (interno) che a chiarire (e realizzare) vere e proprie strategie di Country Branding e/o Federazione di Country Brand (esterno e interno). 

I numerosi elementi identitari, poi, tendono a confondere e arricchire ben poco la conoscenza (e l'eventuale distinzione) necessaria (e base di alimentazione continua) tra Europa e singolo Stato Membro, tra Consiglio Europeo e Consiglio d’Europa, con denominazioni molto simili e con una “casa” in un unico luogo di “abitazione”: Strasburgo. Ed ancora, il Consiglio d’Europa, Organizzazione internazionale nel palazzo dell’Europa, con il ruolo di promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea, e costituito da 46 Stati membri, tra cui i 27 dell’Unione Europea; tra gli organi esecutivi dell’Unione Europea: il Consiglio Europeo (che definisce le priorità e le strategie), il Consiglio dell’UE (che esercita una funzione legislativa e di bilancio), la Commissione Europea (braccio esecutivo dell’UE, con competenze esclusive per le normative europee, l’esecuzione delle decisioni del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’UE), la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’UE (esercitata a turno dai vari Stati membri, con durata semestrale e condivisione trinitaria tra presidente di turno, turnista precedente e turnista successivo designato)…e tanto altro! 

 

Il Parlamento Europeo è sede di dibattito politico e del processo decisionale dell'UE, con deputate e deputati scelti direttamente dal corpo elettorale degli Stati membri per rappresentarne interessi nel processo legislativo europeo e garantirne il funzionamento democratico in concerto con le altre istituzioni dell'UE. Nel tempo e con le modifiche dei trattati europei, il Parlamento ha acquisito poteri legislativi e di bilancio che con il Consiglio esercita per imprimere la direzione al progetto europeo.

 

Forse troppi ruoli, istituzioni, attività, iniziative e programmi?

 

Purtroppo, è difficile sapere o rammentare tutto; può esserci sufficiente consapevolezza da parte di politici, studiosi, funzionari pubblici, gruppi dirigenti dell’imprenditoria e delle forze sociali, ma scarsa è la conoscenza e la consapevolezza necessarie per opinione pubblica, detentori del diritto di voto, giovani, etc.

 

A livello di immagine e di associazioni per un Country Branding sovranazionale e per arricchire e non depauperare l’UE e la Federazione dei Country Brand molti i viatici funzionali - dediti alla soluzione dei grandi temi, spesso drammatici – e troppi gli strumenti delegati alle "performance" più che all'immaginario, proposti spesso dalle singole nazioni o dai singoli partiti.  

 

Il risultato, connesso all’immagine dell’Europa è un allontanamento da una marca poco conosciuta, distante, scarsamente coinvolgente e molto poco “lovemark”, anche per i giovani, nativi europei, che non si sentono parte del sogno del popolo d’Europa e/o aderenti ad un progetto europeista in cui immedesimarsi e “da abitare”.

Quarta domanda: So what?

Detto in altri termini è necessario partire con una chiara identità di Brand Europa, per il quale progresso e immagine, innovazione e immaginario, vanno di pari passo, poiché un'immagine positiva è la conseguenza del progresso, e l’immaginario (soprattutto per i giovani) si costruisce con azioni (concrete) innovative, non viceversa, e quando immagine e progresso sono gestiti in tandem (Anholt, 2010), si aiutano a vicenda, attivando “quel” processo consapevole di creazione, acquisizione, miglioramento e rimodellamento della presenza distinta del brand nelle menti e nei cuori (del popolo).

 

Se pensiamo poi al “segno d’amore” (ed ai giovani), è naturale che scopo fondamentale diviene far sentire meglio tutti i cittadini europei nell’avere anche più fiducia in sé stessi e fornendo un senso di appartenenza ad una community che accolga tali self! Il branding offre una sorta di surrogato di ideologie e programmi politici che hanno perso la loro rilevanza da “mito fondatore” dell’Europa, soprattutto per i giovani. Non basta, infatti, dotare gli europei di una cittadinanza continentale e rafforzare la credibilità e l'attrattiva dell'Europa nei confronti del mondo esterno (tipicamente attraverso le “grandi” prestazioni); per ottenere il rispetto e alimentare lo spirito europeista, forse bisognerebbe puntare maggiormente alla combinazione del mix delle culture identitarie di ciascun Paese dell’Europa e ad una altrettanto forte combinazione tra hard power e soft power (e come Italia, Stato Membro, ne siamo importanti “portatori”!).

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