
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 10 Set 2025
- 6 giorni
- Class
- Inglese
Identifying growth opportunities and drive innovation with a strategic agenda, understanding key external trends and effectively merging financial and market perspectives.
Davvero un bell’incontro quello con José Antonio Altozano, da tre anni e mezzo General Manager di Norgine Italia. Con lui parliamo di business, impatto sociale e leadership, in un momento storico particolarmente delicato in cui l’industria farmaceutica ha giocato un ruolo fondamentale.
Business e impatto sociale. Come è stato possibile conciliare queste due dimensioni, soprattutto durante l’anno passato, caratterizzato da una forte crisi legata alla pandemia?
Una premessa fondamentale da fare è che si è trattata di una situazione totalmente nuova, che nessuno capiva. Le prime informazioni che arrivavano non erano certe. Il virus era sconosciuto e la situazione in Cina altrettanto. Il primo paese ad essere colpito è stata l’Italia, eravamo i primi a fronteggiare questa situazione e a dover prendere determinate decisioni. Nessuno sapeva come reagire. L’unica certezza che avevamo è che non si trattava di qualcosa a cui eravamo già abituati. La priorità assoluta è stata quella di salvaguardare la salute e la sicurezza delle persone. Il virus si dimostrava molto contagioso e molti dei nostri dipendenti si muovono con i mezzi pubblici per raggiungere l’ufficio.
Abbiamo, quindi, deciso di fare leva fin da subito su un benefit che avevamo già introdotto dal 1 gennaio 2020: da una survey interna condotta nel 2019 era emerso che lo smart working avrebbe potuto rappresentare un fattore utile a supportare i dipendenti dell’azienda nella gestione casa-lavoro. Nessuno a livello global lo aveva ancora introdotto ma, intravedendo un’opportunità per aumentare il grado di soddisfazione dei nostri collaboratori, abbiamo deciso con le risorse umane di implementarlo ugualmente. Dopo una fase pilota durata quattro mesi a fine 2019, il piano definitivo prevedeva un giorno alla settimana di smart working per ogni dipendente in sede per tutto il 2020, per passare successivamente, nel 2021, a due giorni alla settimana.
Il virus, in questo senso, non ci ha colto impreparati. Il 24 febbraio 2020 si è riunita l’Executive Committee e ho chiesto di chiudere immediatamente gli uffici. Era la prima volta che ci trovavamo di fronte a questa decisione a livello mondiale. Ho garantito loro che si poteva fare, che in questo modo avremmo in primis salvaguardato la sicurezza dei nostri dipendenti e saremmo riusciti anche a garantire una totale continuità nel business. Dal giorno dopo tutti lavoravano da casa, e in molti hanno manifestato la propria gratitudine per questa tempestiva decisione da parte dell’azienda.
Per quanto riguarda invece la rete vendita, per cui non era previsto lo smart working, abbiamo ugualmente implementato una pianificazione che consentisse da un lato la salvaguardia della loro salute e, dall’altro, la continuità del business. Come prima cosa, per approfittare del fatto che fossero a casa e per evitare di fare affidamento sulla cassa-integrazione, abbiamo deciso di concentrare e somministrare in quelle prime settimane tutti i programmi di formazione che solitamente sono previsti in vari momenti dell’anno. Inoltre, essendo la rete vendita il punto di contatto principale con i nostri clienti, e venendo a mancare le tradizionali visite face to face, ci siamo preoccupati di come riuscire a mostrare ugualmente la nostra vicinanza ai medici, e lo abbiamo fatto tramite il lancio di un apposito programma di comunicazione basato su newsletter, chiamate, messaggi personalizzati, social media. L’obiettivo non era parlare o promuovere i nostri prodotti. In un momento così delicato, l’unica cosa importante era motivare e supportare chi operava in prima linea negli ospedali.
Un’altra importante decisione per supportare i medici ha riguardato la gestione del nostro magazzino che ha sede a Settala. Tra gli altri, noi abbiamo un prodotto salva vita e non potevamo assolutamente correre il rischio che i nostri pazienti che lo necessitavano, ne restassero privi a causa di un eventuale lock down. Per questo abbiamo dislocato metà della merce a Roma per assicurare una fornitura continua agli ospedali.
A fine anno, il bilancio è stato positivo e credo che questo sia stato fortemente dovuto alla gestione implementata, le cui dimensioni chiave sono state certamente la trasparenza nella comunicazione interna ed esterna insieme a una continua affermazione della centralità della persona che ha sicuramente accresciuto il senso di appartenenza all’azienda.
Alla luce della tua esperienza, considerando anche quanto visto e vissuto nell’ultimo anno, quali sono gli ingredienti chiave di una leadership positiva?
Ti direi che un buon mix è:
Promuovere il lavoro di squadra. È fondamentale, specie in momenti di grande incertezza, muoversi tutti nella stessa direzione. Avere chiari gli obiettivi e lavorare insieme per il raggiungimento degli stessi. Se in un momento di crisi ognuno segue i propri interessi è un disastro.
Guidare, dando l’esempio. Di questo ho fatto esperienza tante volte. Un esempio recente è stato quando si è trattato di chiedere ai miei collaboratori di tornare progressivamente alla normalità. Dovevo essere io il primo a farlo. Ho la mia famiglia a Madrid, e da settembre, non appena è stato possibile, ho iniziato a alternare una settimana di smart working in Spagna e una settimana in ufficio in Italia. Questo per dimostrare che era possibile continuare a lavorare sia da casa che in sede, date tutte le misure di prevenzione che l’azienda aveva adottato.
Essere vicini alle persone. Quando sono arrivato in Italia 3 anni e mezzo fa, le persone in azienda non mi parlavano. Ero molto stranito da questo fatto. Solo dopo qualche tempo ho capito che si trattava di un fattore culturale. Ero il capo, il general manager e per questo non mi parlavano. Un modo distorto di vedere l’autorità. Ho introdotto, allora, la cena con il general manager, momento che dedicavo ai singoli per conoscerci e abbattere quella barriera disfunzionale nel rapporto con loro. Se, infatti, voglio sapere cosa succede in azienda, le persone mi devono parlare e io mi devo preoccupare di metterli nelle condizioni per farlo.
Comunicare in modo chiaro e trasparente. Noi, ad esempio, facciamo uno staff briefing ogni mese. In quel meeting sono invitati tutti i dipendenti, si condividono aggiornamenti e tutti possono fare domande o condividere dubbi. È utile prevedere momenti come questo, perché tutti si sentano coinvolti nel raggiungimento degli obiettivi che abbiamo.
Essere curiosi e ascoltare attivamente. Per me è fondamentale la formazione continua, continuare a imparare, dialogare con persone nuove e diverse perché questo ci espone continuamente a mettere in discussione la bontà e l’appropriatezza di quello che facciamo nel tempo che stiamo vivendo. Nelle riunioni passo più tempo ad ascoltare che a parlare, promuovo spesso sessioni di brainstorming, perché capita che la soluzione ad un problema arrivi da un ambito, in apparenza, totalmente, differente.
Appassionarsi al proprio lavoro. Essere appassionati al proprio lavoro è una leva fondamentale. Se gli altri intorno a noi dovessero notare che ci importa relativamente poco di ciò che facciamo, avremmo già perso una buona dose di credibilità nei loro confronti.
Saper adattare il proprio stile al contesto o situazione in cui ci si trova. A volte occorre uno stile direttivo: se le persone, come spesso abbiamo visto, ad esempio, nell’ultimo anno, hanno paura a prendere decisioni o assumersi responsabilità, il capo deve intervenire. Altre volte, invece, vince un stile empowering. Questa capacità di discernimento va allenata e non è certamente immediata.
A proposito di uno stile capace di adattarsi a situazioni e persone diverse…come gestire le nuove generazioni? Spesso in azienda i più giovani risultano essere quelli meno motivati e difficili da gestire. Noti che ci sia qualche aspetto da curare in modo particolare con i giovani?
I giovani oggi capiscono molto bene il concetto di orizzontalità nel rapporto capo-collaboratore. Con loro non c’è quasi mai il problema di comunicare apertamente e in modo continuativo. Quello che fanno fatica a cogliere è la necessità di rispettare la gerarchia, l’autorità. Se il capo ti dedica del tempo per chiederti come stai, è perché gli sta a cuore sapere come sta andando, ma questo non fa di lui un tuo amico. Imparare il rispetto per la gerarchia è conveniente per un giovane che ambisce a diventare manager. Il manager, infatti, non è incaricato di svolgere una mansione specifica, ma è colui che si mette al servizio dei suoi collaboratori per far sì che questi abbiano tutti i mezzi necessari per svolgere loro tale mansione. Imparare a mettersi al servizio degli altri, e quindi , quando si è all’inizio della propria carriera, in primis del proprio capo, è una competenza fondamentale da imparare oggi per essere un buon manager domani. Ho notato che i giovani che capiscono questo, progrediscono molto più velocemente nel proprio percorso professionale, rispetto a chi invece vuole tutto, subito, senza aver capito bene, in fondo, cosa significa essere leader e avere cura dei propri collaboratori.
Grazie José Antonio, grazie a leader come te che in un difficile presente insegnano l’uso positivo degli strumenti tipici di un’organizzazione complessa; e che alimentano in tutti – vecchie e nuove generazioni - il coraggio e la consapevolezza necessari per andare verso il futuro.